Mi sono domandato spesso quale sia l’origine del rito del galluccio ripieno, che la tradizione vuole venga consumato a Foggia il giorno di Ferragosto.
Gastronomicamente parlando, la cucina foggiana è un melting pot, un crocevia all’interno del quale s’incontrano, spesso con esiti stupefacenti, la tradizione partenopea, quella abruzzese portata nella piana del Tavoliere dai pastori che vi conducevano a svernare le greggi, e quella legata ai terrazzani e al loro raccogliere funghi, erbe selvatiche, ciammaruchelle, e catturare rane e allodole.
In nessuna di queste culture gastronomiche occupa un posto di rilievo il galluccio, per giunta ripieno, come si addice ad un piatto della festa.
A darmi una dritta interessante è stato mio genero Salvatore Russo, di professione macellaio, ma anche persona con il cuore e la testa profondamente radicati nella foggianità.
Mi suggerisce Salvatore che l’uso del galletto per imbandire la tavola ferragostana, doppiamente festiva perché a Foggia si celebra anche la festa patronale della Madonna dei Sette Veli, scaturisce dall’usanza, molto diffusa nei tempi passati, di allevare presso la propria abitazione polli e galline. Era un uso particolarmente diffuso tra quanti abitavano a pianterreno, o potevano disporre di un po’ di spazio all’esterno della propria casa.
Un modo intelligente di soddisfare il fabbisogno proteico familiare, in tempi in cui comprare la carne ma anche le uova, era un lusso che assai pochi potevano permettersi. Così, quando arrivava la festa si faceva… la festa al galletto.
L’usanza è venuta via via rarefacendosi, quando le case basse ad un piano sono state sostituite, dopo la guerra, da palazzi a più piani. È obiettivamente difficile allevare polli all’interno di un condominio.
Per fortuna, con la ricostruzione post bellica è arrivata anche il boom economico: almeno in occasione della festa si poteva andare al mercato a comprare il galluccio, vivo o già macellato.
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