“Uno spezzatino senza amalgama che suddivide in sedicesimi la programmazione degli interventi di modernizzazione competitiva del Mezzogiorno”. Così Isaia Sales, uno degli ultimi meridionalisti, ha definito qualche giorno fa sulle colonne de Il Mattino, i Patti per il Sud varati dal governo Renzi chiosando così il suo giudizio sulla misura che avrebbe dovuto rilanciare le politiche nazionali per il Sud :”inefficaci”.
Impossibile non essere d’accordo con la severa valutazione dello studioso, tanto più che mancano le risorse che avrebbero potuto mettere le ali ai Patti.
Manca soprattutto un’anima comune. E non è stato esorcizzato il rischio che le diverse visioni regionali facciano venire meno una idea unitaria e nazionale di Mezzogiorno.
Il rischio – e il paradosso – è che la frammentazione regionale e la priorità attribuita alle aree metropolitane inneschino nuovi divari, come si sta ad esempio registrando proprio in Puglia ai danni della provincia di Foggia.
Oppure che vengano del tutto dimenticati i problemi che angustiano le aree meridionali più deboli, come le aree interne appenniniche e subappenniniche. Per affrontare questo rischio e per limitare i danni dello spezzatino cucinato da Renzi le Regioni meridionali devono fare rete, a cominciare dalla Puglia e dalla Campania, passando per il Molise.
Lo auspica Michele Petraroia, consigliere regionale molisano, in una lettera inviata al governatore regionale pugliese, Michele Emiliano, e al sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, che trae lo spunto proprio dall’articolo del Mattino.
“Isaia Sales – osserva Petraroia – ripropone l’irrisolta ed iniqua ripartizione delle risorse ordinarie del bilancio dello Stato tra le diverse regioni italiane, che penalizzano il Meridione, costretto a utilizzare i finanziamenti europei in sostituzione degli omessi o inadeguati trasferimenti ordinari nazionali. La lucidità di queste riflessioni obbliga i firmatari dei 16 Patti per il Sud ad aprire un confronto col Governo, finalizzato a recuperare una politica nazionale uniforme, coordinata e raccordata per il Mezzogiorno”.
Si tratta, insomma, di superare i limiti intrinseci ai patti, facendo rete e individuando all’interno della rete, il bandolo della matassa perduto nello spezzatino.
“Se l’insieme della strategia attivata – incalza Petraroia- si limita all’assegnazione dei fondi strutturali europei divisi regione per regione, a cui si sommano i fondi FSC regione per regione, non si potrà mai avviare un’azione per macroarea che riprende i corridoi infrastrutturali europei, da e verso il Mediterraneo o da e verso i Balcani. Lungo l’Adriatico la terza corsia autostradale si ferma ad Ancona e la linea ferroviaria Lecce – Milano è lontana dal garantire la percorrenza di treni ad Alta Velocità. La Napoli-Benevento-Foggia-Bari sull’alta capacità ferroviaria stenta a partire e in tutti i casi non si incrocia in termini logistici con il traffico merci tra i porti di Salerno – Napoli sul Tirreno con quelli di Bari – Brindisi – Taranto sull’Adriatico e lo Ionio”.
“Se la programmazione della Puglia – ha rimarcato ancora Petraroia comincia da Foggia in direzione Bari, e quella della Campania stenta a raggiungere Avellino e Benevento, rimane tutto l’osso appenninico centrale come una vasta area marginale alla stregua delle denunce di Manlio Rossi Doria, Salvemini e di Pasquale Saraceno. Da Sulmona a Lucera, passando per il Sannio e l’Irpinia, c’è un’Italia minore, dimenticata ed estromessa dai piani di sviluppo e di modernizzazione logistica, infrastrutturale ed economica. Il tratto Taranto – Reggio Calabria, sulla 106 ionica rimane periferia di un Sud più a Sud dilaniato da conflitti, localismi e dall’assenza di una macropianificazione nazionale su porti, aeroporti, strade a quattro corsie, ferrovie, banda ultralarga, centri di ricerca e poli di eccellenza nell’innovazione tecnologica”.
“Se al Nord si finanziano i quadruplicamenti dei tratti di rete ferroviaria, nel Sud si può ipotizzare da Reggio Calabria a Taranto, e poi sulla dorsale adriatica almeno il doppio binario. Il punto è che se ogni regione predispone il suo Patto per il Sud, non si finanzierà mai il collegamento ferroviario Campobasso – Benevento per accedere alla direttrice Napoli– Bari, e sarà difficile collegare meglio Sulmona a Lucera o a Caserta. Basterebbe vedere dove sono ubicati gli stabilimenti della FiatFca tra Valdisangro in Abruzzo, Termoli, Foggia, Pomigliano d’Arco, Pratola Serra, Cassino e Melfi, per ipotizzare una logistica di supporto che oggi manca e che con i 16 Patti per il Sud non viene nemmeno ipotizzata”.
Un discorso che non fa una piega, e che speriamo non venga fatto cadere nel vuoto da Emiliano e De Magistris, che non hanno mancato di esprimere perplessità e critiche alla filosofia dei Patti e alla loro scarsa dotazione finanziaria.
Petraroia sa benissimo di che parla. Viene da una approfondita formazione sindacale, e da una cultura abituata a riflettere sui temi dello sviluppo. E’ stato segretario regionale della Cgil, ed in quella veste è stato tra i promotori e i sottoscrittori del documento Azioni comuni per lo sviluppo delle province di Foggia, Campobasso, Benevento, Avellino, prodotto dalle Camere del Lavoro delle quattro province. Iniziativa che cercò di recuperare la logica ed il percorso del Patto delle Quattro Province che qualche anno prima aveva visto protagonista l’amministrazione provinciale guidata da Antonio Pellegrino, assieme a quelle delle altre province campane e molisane (per approfondimenti, potete cliccare qui).
Non è per niente un caso se chi si sta battendo in provincia di Foggia per mettere n campo logiche di rete nella definizione degli interveneti del Patto è il coordinatore provinciale di Lavoro&Welfare, Salvatore Castrignano, che con Petraroia fu uno degli ispiratori di quella intesa sindacale.
Un originale esperimento di “federalismo dal basso”, si disse.
Ora , come allora, il Mezzogiorno ha bisogno di un federalismo che parta dal basso. Ha ragione Michele Petraroia.
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Quella di Michele Petraroia, ben ripresa e contestualizzata da Geppe, è una giusta analisi, che rivela un aspetto della complessità della questione Meridionale. Ovvero la difficoltà della integrazione delle nostre aree interne a fronte di una pressoché inesistenza di visioni e politiche di sistema che le considerino potenzialità aggiuntive per accrescere la complessiva offerta culturale, naturalistica, paesaggistica ed anche insediativa territoriale.
La competizione tra debolezze più o meno accentuate non aiuta. Sui temi della dotazione e funzionalità infrastrutturale, ma non solo, il Governo nazionale e quelli regionali farebbero certamente cosa eccellente se incentivassero partenariati ed azioni fra diversi territori regionali, come quella accennata con riferimento alle quattro province di Foggia, Campobasso, Avellino e Benevento, intuizione e progettualita' che 10 anni fa la CGIL perseguì e che non a caso vede il rilancio nel merito nelle valutazioni di Petraroia, che ricordo bene aver contribuito fattivamente alle proposte progettuali ed alla redazione del richiamato documento. Oggi quella attività pionieristica potrebbe e dovrebbe ricevere più ampie convergenze, ricordo che anche Giulio Colecchia alla Conferenza del 4 dicembre scorso sul Masterplan per il Mezzogiorno accenno' ad una necessità di coordinamento progettuale tra le regioni meridionali, auspicando al proposito una regia del Governo. Ora, per quanto ci riguarda, l'impegno e l'azione delle Istituzioni e delle parti sociali del nostro territorio sembrano farsi più mature. Finalmente ci si muove ri-mettendosi insieme. Nel confronto con la Regione e verso le azioni del Governo per affermare le ragioni di uno sviluppo equo e qualificato occorre anche e forse soprattutto recuoerare il senso e la memoria delle cose fatte. Quelle valide e rivelatesi ancora oggi obbligate e decisive. Non solo strategie di rete per marcare un principio di equità e per evidenziare che la Capitanata esiste. Quella da aprire e continuare con grande coraggio e continuità non è una gara di fioretto che si vince assestando qualche stoccata. Ci vuole il respiro ampio e lungo necessario per una maratona, un grande dinamismo che comporta atti concreti e decisioni da assumere con soggetti di più territori e portatori di esigenze ed interessi articolati su aspetti della vita quotidiana dei cittadini e delle imprese. Non solo la testimonianza di un ruolo e l'indicazione di priorità, ma la lungimiranza di un tessuto vitale che costruisca con l'ausilio della conoscenza e con la indispensabile perseveranza percorsi ed attività che lo impegnino in diversi "campi" ed i cui obiettivi siano motivo di nuove e tangibili speranze di riscossa sociale, di un rinnovato protagonismo e coinvolgimento per l'insieme delle forze produttive e del lavoro. Pianificare questo processo richiede tappe vincolanti come quelle di monitorare e rendere più consono l'uso delle risorse in campo, ascoltare e dare voce ai bisogni, saper interpretare la propria storia economica e sociale ed organizzare le energie e le potenziali iniziative utili ed attivarle accettando di correre il rischio di navigare in mare aperto. Il resto, oggi forse molto altro, attiene anche al dinamismo civico e sociale… ma questa è una storia a parte e certo conviene che tra i cittadini si parli anche di come essi dovrebbero interessarsi al proprio futuro.