Questo è il tempo di scavare tra le macerie. Magari un respiro, magari una voce.
Questa sarà la prima notte in cui migliaia di persone dormiranno per strada.
Questa per molti sarà la prima notte senza un figlio, una madre, un amico, un fratello, una nonna, un padre.
Ma un domani di qualche giorno che verrà, qualcuno mi deve spiegare cosa è stato fatto nel nostro Paese dal 1997, quando il sisma in Umbria e nelle Marche distrusse la basilica di Assisi facendo undici morti.
Un domani di qualche giorno che verrà, qualcuno mi deve spiegare cosa è stato fatto nel nostro Paese dal 2002, quando un terremoto in Molise provocò il crollo della scuola elementare di San Giuliano di Puglia, facendo 30 vittime di cui 27 bambini.
Un domani di qualche giorno che verrà, qualcuno mi deve spiegare cosa è stato fatto nel nostro Paese dal 2009, quando la terra in Abruzzo seppellì 308 persone, tra cui molti studenti.
Un domani di qualche giorno che verrà, qualcuno mi deve spiegare cosa è stato fatto nel nostro Paese dal 2012 in Emilia Romagna, quando altre 27 persone se ne andarono per sempre.
Domani quando la conta dei morti e dei feriti sarà, forse, finita, qualcuno deve spiegare a un ignorante come me, com’è possibile che nel cuore dell’Europa e della civiltà si muoia così, sotto le macerie della propria casa per un terremoto di magnitudo 6.0.
È davvero solo colpa del terremoto?
È sempre tutto colpa di una dannata fatalità che piomba assassina di notte?
O navighiamo ancora a vista, cavalcando l’onda dell’emergenza, mettendo una pezza qua e là – e abbastanza male?
Quante volte ancora dobbiamo ripeterci che il nostro territorio è ad alta pericolosità sismica?
Quanta lungimiranza doveva avere chi ha governato e chi governa e non ha avuto?
Quanti morti dobbiamo ancora piangere?
Quante macerie dobbiamo ancora rimuovere?
Quanti centri storici dovranno ancora essere rasi al suolo?
Quanta paura dobbiamo ancora avere quando dormiamo di notte nei nostri letti, o quando i nostri figli sono a scuola?
Possiamo cominciare a costruire un Paese migliore, rispettando il territorio su cui camminiamo e viviamo, edificando con sapienza e mettendo in sicurezza ciò che non lo è mai stato?
Non cerco colpevoli, ma responsabilità.
Il problema è enorme, colossale, forse più grande di noi, ma dobbiamo saperlo affrontare – magari insieme -, non riducendolo all’ennesimo dibattito televisivo o alla solita conferenza stampa.
Serve molto di più.
Ci salveremo solo se (ri)partiremo da qui.
Tutto il resto sono chiacchiere, polvere e morte.
Francesco A. P. Saggese
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Articolo fin troppo condivisibile, e forse in ciò sta il suo limite. Secondo me è assolutamente vero che la catastrofe naturale da sola non spiega l'estrema vulnerabilità del nostro Paese, e che ad essa sono collegate responsabilità politiche in senso ampio (ossia della classe politica, ma anche della classe dirigente in senso ampio, ed anche della comunità nel suo complesso). Non è vero, invece, che in Italia non si sia fatto niente, da quel 23 novembre del 1980 che segna un punto di svolta. Si è fatta una legge sismica, intanto; e si sono definite con sempre maggiore precisione le aree di criticità, stabiliti con sempre maggiore severità le prescrizioni edilizie e così via. Abbiamo costruito la Protezione Civile migliore d'Europa (id est del mondo) e abbiamo avviato timidi, timidissimi tentativi di prevenzione. Detto questo, per trovare le responsabilità basta guardarsi allo specchio. Non penso al signor Saggese, di cui ammiro la passione civica, ma a tutti noi. Penso che l'autore dell'articolo sia, come me, di Foggia, che è la città di viale Giotto, di via delle Frasche e di altri più remoti crolli, di un'edilizia che spesso è venuta su senza regole, dominata dall'urgenza del profitto. Quali conseguenze ha avuto quella tragedia? Quanti edifici hanno adottato il (cosiddetto) fascicolo del fabbricato. Sbaglio se rispondo "nessuno"? Perché sull'onda della tragedia e della commozione è molto facile dire che ci si doveva pensare, che bisognava mettere in sicurezza ecc. Ma la realtà è che questo è il Paese dove si costruiscono case abusive sulle pendici del Vesuvio e dell'Etna, e che i sindaci, compresi quelli "rivoluzionari" come De Magistris, si fanno attaccare per pazzi alla sola idea di abbatterle. È un Paese dove le messe in sicurezza possono dare brillante prova di sé (come è successo a Norcia) o pessime (come per la scuola di Amatrice crollata malgrado gli investimenti del 2012). Ma di sicuro, trascorso l'impatto emotivo del dramma, piante e tumulate le vittime, aiutati con la consueta generosità i superstiti, il Paese tornerà all'usata noncuranza. E nessuna forza politica e nessun Governo avranno il coraggio di dire sul serio: "ragazzi, adesso variamo un investimento straordinario per la messa in sicurezza del patrimonio edilizio nelle nostre aree a rischio; servono da 200 (secondo alcuni) a 800 (sostengono altri) miliardi di euro. Lo Stato ne mette la metà, tagliando su pensioni, sanità e aiuti ad imprese e famiglie; i privati mettono l'altra metà." Nessuno lo farà perché quelle forze politiche e quel Governo sarebbero spazzati via alla prima elezione disponibile.
La riflessione è comprensibile ma solo in parte condivisibile perché le leggi ci sono da anni, tant'è che a 16 km dall'epicentto, cioè nella vicina Norcia, spavento a parte non è successo nulla. E la ricostruzione del Friuli dimostra che leggi serie sono state fatte e, se applicate correttamente, i danni saranno progressivamente sempre meno. Dipende da sindaci e da costruttori onesti. Serve certamente una presa d'atto comune sulla necessità di uniformare gli interventi e di investire meglio e di più in prevenzione. Cordialmente (Maurizio De Tullio)