La vicenda dell’impianto Energas di Manfredonia ha un valore simbolico particolare. Perché si tratta della città sipontina, perché presenta molti tratti in comune con la storia dell’ex ANIC che sorse a Manfredonia negli anni Sessanta, e da cui prese le mosse il processo di industrializzazione che l’intera Capitanata ha vissuto, nel bene e nel male, nel secolo scorso.
Anche cinquant’anni fa, fu aspro il confronto tra quanti sostenevano l’inserimento chimico e quanti erano preoccupati delle ripercussioni che esso avrebbe avuto sull’ambiente, sul paesaggio e sulle attività economiche verso cui il territorio pareva maggiormente vocato, come il turismo e la pesca.
L’Anic arrivò come contropartita di un’autentica beffa che la Capitanata e soprattutto i Monti Dauni avevano patito, con il metano scoperto nelle viscere delle colline subappenniniche dirottato ad alimentare un altro discutibile processo di industrializzazione poco rispettoso dell’ambiente, in quel di Taranto.
I fatti sono andati come sapete tutti: l’Anic a Manfredonia e l’Ilva a Taranto hanno creato occupazione e ricchezza, ma provocato anche seri danni all’ambiente, e alla salute dell’uomo.
Il contesto in cui si situa la vicenda del deposito Energas presenta molte analogie con quanto accadde allora. Anche oggi la Capitanata viene sistematicamente scippata (basti pensare all’enorme prezzo pagato dal paesaggio per il proliferare di parchi eolici e fotovoltaici, la cui energia prodotta non viene utilizzata in loco), ed anche oggi le contropartite sembrano muoversi in una logica di puro capitalismo, attento soltanto ai (propri) profitti.
La presa di posizione della Chiesa di Manfredonia sul deposito GPL, per iniziativa del suo pastore, l’arcivescovo Michele Castoro, è importante perché affronta il problema dal punto di vista della qualità dello sviluppo. L’analisi del presule rappresenta la prima applicazione concreta in provincia di Foggia dell’enciclica sull’ambiente di Papa Francesco: è una profonda, lucida riflessione su quello sviluppo a misura d’uomo che avrebbe potuto trovare, che potrebbe trovare sul Gargano, nell’intera Daunia un suo laboratorio naturale. Leggetela. Meditatela. Condividetela. (g.i.)
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Ho seguito con grande attenzione e non senza preoccupazione il dibattito che in questi ultimi mesi ha suscitato nella nostra città di Manfredonia, e non solo, la proposta di impiantare nel nostro Golfo un enorme deposito costiero di Gpl. Come sempre accade in questi casi si sono formati due schieramenti che vedono da un lato chi è a favore, dall’altro chi è contro. E’ una questione cruciale che riguarda tutti e che chiama in causa autorità politiche, istituzioni, associazioni, singoli cittadini.
Come realtà attenta alle vicende del nostro territorio, anche la Chiesa è chiamata a esprimere la propria opinione nel rispetto delle varie posizioni e per la realizzazione del bene comune. Quando è chiamata a pronunciarsi su tali questioni, la Chiesa non interviene né per motivi politici, né economici e ancor meno ideologici, ma solo per richiamare l’attenzione di tutti affinché siano rispettati i valori fondamentali dell’uomo e dell’ambiente di cui l’uomo stesso fa parte.
A ben vedere, sarebbero più le ombre che le luci, più le incertezze che le garanzie, più le perplessità e i dubbi che le sicurezze. E il futuro che ci viene proposto appare più una minaccia che una promessa.
Infatti, per legittimare l’installazione di tale impianto non basta addurre come motivazione la creazione di posti di lavoro. Proprio perché non bisogna contrapporre i valori e il diritto al lavoro con i valori e la tutela dell’ambiente, è necessario valutare quale impatto ambientale una tale iniziativa comporti. E questo non solo nell’ordine dell’oggi più immediato, ma anche nel futuro, guardando con senso di responsabilità anche alle generazioni che verranno.
E’ giusto dunque chiedersi quale impatto avrà questo deposito sulle caratteristiche ambientali, paesaggistiche, marine, faunistiche e botaniche del nostro mare e del nostro territorio. E, ancora, quali conseguenze sulla salute dei cittadini che verrebbero esposti a rischi non sempre prevedibili e tecnicamente gestibili.
Come ha richiamato Papa Francesco nella sua enciclica Laudato si’: «Quando compaiono eventuali rischi per l’ambiente che interessano il bene comune presente e futuro, questa situazione richiede che le decisioni siano basate su un confronto tra rischi e benefici ipotizzabili per ogni possibile scelta alternativa. Questo vale soprattutto se un progetto può causare un incremento nello sfruttamento delle risorse naturali, nelle emissioni e nelle scorie, nella produzione di rifiuti, oppure un mutamento significativo nel paesaggio, nell’habitat di specie protette o in uno spazio pubblico. Alcuni progetti, non supportati da un’analisi accurata, possono intaccare profondamente la qualità della vita di un luogo per questioni molto diverse tra loro» (n. 184).
Tutti auspichiamo vivamente che le autorità competenti abbiano sempre a cuore, nelle loro scelte, il bene dei cittadini e la salvaguardia del nostro territorio.
Manfredonia, 24 agosto 2016
+ Michele Castoro, arcivescovo
+ Michele Castoro, arcivescovo
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