La Puglia è attraversata da venti scissionisti. Mentre le province di Lecce, Brindisi e Taranto affilano le armi per il Grande Salento, in Capitanata parte l’iter per il referendum che potrebbe portare l’intera provincia di Foggia a cambiare aria e confini, facendosi annettere dal Molise.
Il capoluogo regionale è stretto d’assedio: a nord l’idea della Moldaunia, a sud quella del Grande Salento. Non è una novità, ed anzi è quasi un prezzo da pagare, per la regione più lunga d’Italia, il cui toponimo era una volta al plurale. Puglie e non Puglia, proprio ad attestare l’estrema diversità di parlate, di cultura, di tradizioni che contraddistinguono il Tacco dello Stivale.
La Puglia dovrebbe trovare la sua identità unendo una volta per tutte le Puglie, ed è questa l’improba e non spesso percepita fatica cui dovrebbero attendere il governo regionale e la sua assise consiliare. Il nodo – mai del tutto dichiarato e mai del tutto sciolto – riguarda il ruolo del capoluogo regionale: mamma che si occupa di tutta la famiglia, oppure matrigna che divide la prole tra figli e figliastri?
Il dilemma non è di poco conto, e a ben vedereriguarda in primo luogo la Puglia centro-settentrionale che è quella che più direttamente ricade nell’orbita del capoluogo, perché nella bassa Puglia un progetto ce l’hanno, e pure unitario: il Grande Salento appunto, il cui fine non dichiarato, ma evidente, è quello di mettere in in discussione le centralità, la leadership o se preferite il carisma di Bari.
Per uscire dalla secca, il pallino sta nelle mani proprio del capoluogo. È Bari che, paradossalmente, deve decidere da che parte stare, ripensando profondamente al suo ruolo, e riaffermando il suo carisma nella prospettiva della Puglia mamma e non matrigna, nella prospettiva della Puglia una, e non delle Puglie tante. La questione riguarda di conseguenza in modo prevalente la Puglia alta, ovvero quella porzione di territorio regionale compresa tra la provincia di Bari e quella di Foggia, passando attraverso la provincia ofantina.
È in questa zona, infatti, che la Puglia matrigna ha esercitato più che altrove il suo ruolo, ha diviso il territorio tra figli e figliastri, senza mai porsi la domanda fatale: cui prodest? Per uscire dalla metafora, è sotto gli occhi di tutti lo scempio compiuto in occasione del raddoppio della SS.16.
Sotto tutte le latitudini, generalmente le grandi opere cominciano dal nord e finiscono al sud. Non la stessa sorte è arrisa alla statale adriatica, e se era sacrosanto cominciare a raddoppiarla dal Salento (che non è provvisto di un’autostrada alternativa e che lascia a desiderare anche quanto a ferrovie), è intollerabile che l’opera si sia fermata a Foggia, lasciando il resto, il famigerato tratto Foggia-San Severo – Chieuti praticamente una schifezza.
Il punto è: ma tutto questo, che sicuramente nuoce ai foggiani, giova ai baresi? Giova ai baresi che d’estate settimanalmente salgono alle spiagge garganiche, aver lasciato cadere nel dimenticatoio il completamento della superstrada garganica. Giova ai baresi non aver mai del tutto riconosciuto il ruolo nevralgico dell’aeroporto Gino Lisa di Foggia per lo sviluppo turistico del Gargano, che affida il suo futuro al miglioramento dei collegamenti?
La risposta è sì, se si vede Bari come capoluogo di provincia. La risposta è no, se invece si vede Bari come capoluogo regionale: e di una Regione che affida le sue prospettive di sviluppo alla scommessa dall’identità “unitaria”: Puglia, e non Puglie.
Diciamoci la verità fino in fondo. La Puglia non sarà mai una. Non è possibile, per ragioni che affondano le loro origini nel passato remoto, per questioni culturali, per vocazioni e per tradizioni. Ma se la Puglia non può essere una, che almeno di Puglia ce ne siano due, e non sei, come accade attualmente.
Occorrerebbe insomma, che il progetto del Grande Salento che accomuna idealmente e non solo Lecce, Brindisi e Taranto venisse in qual- che modo replicato nella Puglia centro-settentrionale, che non ha mai avuto né un progetto strategico di sviluppo, né una percezione integrata di se stessa. Le aree vaste prevista dalla programmazione comunitaria 2007-2013 potevano rappresentare una grande occasione, se non fossero state polverizzate così come è invece accaduto, o se avessero comunque lavorato in modo omogeneo ed integrato.
Ma la sfida resta ancora del tutto aperta. E in ballo non c’è soltanto il futuro della Puglia, o di Foggia, o di Barletta. La campana è suonata anche per Bari, che deve risolvere il dilemma: vuol essere capoluogo di provincia, o di Regione?
Geppe Inserra
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