Non compro né leggo più Repubblica da anni, perché non sono di destra, e non mi piacciono i giornali di destra, soprattutto quelli travestiti da giornali di sinistra. Non li sopporto più: sono quelli che hanno fatto a pezzi la Repubblica fondata sul lavoro, che hanno riempito la sinistra di veleni facendole perdere di vista i valori essenziali (che sono minimi minimi: la giustizia, la libertà, il lavoro), in omaggio al giustizialismo a tutti i costi, al jobs act e soprattutto all’attenzione spasmodica ed indecente “a quel che vuole il mercato”.
Non leggo più Repubblica, ma sapete come sono le app che aggregano notizie: drin ed eccoti servita l’ultima ora. È successo poco fa. Inews mi ha fatto lo squillo e servito la notifica. Sono stato attratto dal titolo smaccatamente antimeridionalista di Repubblica, che recita “Invalsi, male il Sud in Italiano e Matematica. Faraone: “Via il quizzone da esami medie”. Se questo è il titolo, il sommario è ancora peggio: “I risultati dei test 2016. Cresce il divario tra Settentrione e Meridione e la polarizzazione tra scuole buone e scuole pessime.” Che nettezza…. scuole pessime, neanche scuole cattive che sarebbe il contrario di buone. Pessime. L’infallibilità non conosce sfumature.
Sull’attendibilità delle prove Invalsi quale strumento per misurare la qualità e il livello degli studenti si possono scrivere corposi volumi. All’università mi hanno insegnato (vi avverto, però: ho frequentato, con profitto e divertimento, una di quelle università comunistacce e di sinistra dove si fischiava perfino Luciano Lama…) che nessun test è neutrale.
Non è possibile garantirne l’imparzialità rispetto alle condizioni sociali, culturali e linguistiche di partenza dell’individuo sottoposto alla prova. Per dirla in soldoni: che uno studente o una scolaresca totalizzino un punteggio basso ai test Invalsi non significa che siano ignoranti, e di conseguenza non significa che il livello della scuola che li educa sia scadente.
Ma Repubblica e l’Invalsi (sembrerebbe il cognome di un pedagogista finlandese, invece è un pomposo acronimo che sta per Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione) non hanno dubbi: “il ritardo nell’apprendimento degli istituti meridionali – nelle discipline dell’Italiano, la comprensione di un testo e la sua grammatica, e della Matematica – è a un livello da allarme sociale”, si legge nell’incipit dell’articolo che potete trovare qui, se avete voglia e fegato di leggerlo integralmente.
Il prosieguo mantiene il tono ideologico del titolo e dell’attacco: dare addosso al Mezzogiorno.
Illuminante, in questo senso il paragrafo successivo. Fatte attenzione alle virgolette, utili per capire dove finiscono le dichiarazioni di Invalsi e dove comincino le personalissime considerazioni del giornalista:
Cresce il divario Sud-Nord, “a tutto vantaggio delle regioni settentrionali”, e cresce la polarizzazione, nel Meridione, tra scuole ottime e scuole pessime.
Attenzione, la polarizzazione di cui si parlava nel sommario, e che pareva di primo acchito differenziasse Nord e Sud , è invece un fenomeno generalizzato. Tradotto dal finlandese vuol dire più o meno: i risultati non sono omogenei tra un istituto e l’altro, e perfino tra una classe e l’altra.
Orbene, se la macchia di leopardo disegnata dai risultati si registra perfino all’interno di uno stesso istituto, come si può concludere, così come fa Repubblica, che cresce la polarizzazione tra scuole buone e scuole pessime?
Il tono di Invalsi è assai meno apodittico di quello utilizzato dal giornale fondato da Eugenio Scalfari che, si sa, diversamente da papa Francesco, non nutre dubbio alcuno circa la sua personale infallibilità: “Nel Mezzogiorno la variabilità dei risultati tra scuole e tra classi, addirittura tra classi diverse dello stesso istituto, è molto elevata anche nel primo ciclo di istruzione con un impatto preoccupante sull’equità del sistema educativo di queste aree del Paese”.
Insomma, l’istituto manifesta espressamente qualche perplessità sulla equità del sistema educativo del Paese.
La vera notizia sarebbe questa: il sistema scolastico ed educativo del Paese non è equo, perché penalizza le zone già sottosviluppate socialmente ed economicamente. Ma Repubblica neanche se ne accorge: il tono complessivo dell’articolo serve a bocciare gli studenti del Mezzogiorno. “Uno studente di un istituto tecnico del Nord-Ovest ha risultati in Italiano simili a quelli di un liceale del Sud, dove le ore dedicate alla materia sono sensibilmente superiori. “
Nonostante il drammatico divario disegnato dai risultati dei test, secondo l’articolista di Repubblica, “la scuola italiana si rivela ancora inclusiva, soprattutto quella primaria”, perché “i risultati degli allievi di origine immigrata restano distanti da quelli degli studenti di famiglia italiana, ma il divario si riduce in maniera sensibile per gli stranieri di seconda generazione, nati nel nostro Paese e che hanno frequentato per intero la nostra scuola.”
Il nostro autore lo lascia solo intuire, senza spingersi così tanto lontano: i meridionali sono i peggiori di tutti, e in prospettiva faranno peggio anche degli immigrati.
Ma come si fa a definire inclusivo un sistema educativo che presenta invece divari così evidenti?
La cosa più sensata che si legge nel dotto articolo è quanto sostenuto dal sottosegretario Davide Faraone che a sua volta boccia il sistema di valutazione, annunciando che le prove Invalsi saranno soppresse nell’esame finale di terza media, trattandosi di “una collocazione sbagliata”. E non solo.
“Chi dice che la scuola è tutta uguale in tutto il Paese – ha aggiunto il buon Faraone – dice una solenne fesseria. Per le noi le prove Invalsi servono per capire dove esistono elementi di difficoltà per investire proprio in quelle scuole e far sì che, invece, gli istituti più efficaci diventino un modello”.
È una dichiarazione impegnativa quella formulata dal sottosegretario, perché finora le cose sono andate esattamente nel senso opposto a quello invocato dal viceministro. A beccarsi premi e incentivi sono state le scuole che hanno totalizzato i punteggi migliori, penalizzando ulteriormente le aree più deboli.
Sarebbe il caso di riflettere seriamente e complessivamente sull’utilità di un sistema di valutazione che giova soltanto ai valutatori e agli scoop mediatici: sembra che il costo annuale della “rilevazione degli apprendimenti” ammonti a 20 milioni di euro. Tanti, troppi, considerando che gli edifici scolastici crollano, e che gli insegnanti italiani sono i peggio pagati del mondo occidentale.
Geppe Inserra
Views: 0