Le parole giuste, di Francesco A. P. Saggese

Di fronte ai nuovi dispacci di morte che Sky news annuncia sul suo banner rosso rimango sospeso a una ragnatela di ‘perchè’ e di ‘ancora’.
Cerco parole ma non ne trovo. Non ne puoi trovare di fronte a un corpo di bambina disteso sull’asfalto con a fianco la sua bambola più bella.
Più passano i minuti e più l’odore della morte si fa opprimente; sbarra la strada a ogni possibilità di trovare una via d’uscita da un nodo in gola sempre più pesante, sempre più stretto.
Aspetto un nuovo sole, ma è difficile trovare una luce d’alba nella notte.
Così, con una scusa qualsiasi, chiamo mia madre.
‘Com’è il tempo giù?’ ‘Comincia a piovere’.
Tiro il primo sospiro di fronte ai conti che il dolore mi chiede e cerco di afferrare l’appiglio nei confronti della vita e di chi me l’ha data. Forse è qui che devo cercare le parole.
Perché bisogna trovarle le parole, il silenzio appartiene alla morte.
Quelle che vedo intorno a me sono parole d’odio: mi sfiorano, palpitano su ogni commento che leggo; ma alla vita a cui mi sto aggrappando e al suo rispetto non c’è posto per loro, perchè l’odio appartiene alla morte.
Allora devo cercare ancora.
Le parole giuste le ho riposte in qualche angolo di me, o le ho messe lì, in libreria, nascoste tra le pagine di un libro.
Le cerco ancora, le cerco bene, fino a che le vedo e corro a riprendermele, insieme a quello che resta della lucidità.
Credo che la lotta contro i fondamentalismi sarà molto lunga, difficile, attraverserà nuove dolorose strade e che questo inevitabilmente deve renderci vigili, attenti.

Credo che siamo tutti vittime di insensate guerre proclamate nel giro di una notte e che la guerra vada sempre bandita, come tutti gli affari legati al traffico internazionale di armi.
Credo che siamo tutti vittime di una disintegrazione sociale senza precedenti – ammesso che ci sia stata un’integrazione sociale -, che un po’ alla volta sta svendendo i cervelli a indottrinamenti senza scrupoli.
Credo che la comunità musulmana sana – che pure piange le sue vittime – debba fare ogni cosa per sradicare i tentativi sempre più evidenti della radicalizzazione islamica.
Credo che la paura possa generare vendette da ogni parte e che queste possano innescare meccanismi non controllabili, per questo dobbiamo combatterla con la cultura.
Credo che il continente più vecchio del mondo di fronte a queste crisi, prima umana e poi economica, dovrebbe unirsi anziché studiare il modo per disunirsi in pompa magna.
Credo che ci sarà tanto da lavorare negli asili, nelle scuole, nelle università.
Credo che le ragioni della convivenza debbano sempre prevalere, ridando spazio a nuove relazioni e rinsaldando le vecchie.
Ecco, io credo in questo. Ci provo, almeno, e voglio scriverlo, perché a volte scrivere è come un esodo dalla parte peggiore di sé a quella migliore.
Quella parte che credo sia in ognuno di noi e che dobbiamo alle persone lasciate su quell’asfalto. Quella parte che deve educare i figli, nel difficile tentativo di non consegnare lo scettro del mondo all’odio, cieco, assoluto, incontrollabile e quindi alla sola morte.
Francesco A.P. Saggese
Le parole così dolorosamente e profondamente cercate e scavate da Francesco sono anche le mie. E mi piace pensare anche le parole degli amici e lettori di Lettere Meridiane. Grazie Francesco.
g.i.

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Author: Geppe Inserra

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