A volte per capire il gioco del calcio ci vuole lo psicanalista più che l’esperto. Prendete Messi e Pellè, le due facce del pallone, che ripropongono una storia vista già tante volte, che sta diventando una regola.
Ci sono campioni che con la maglia della Nazionale non vincono e non convincono, ci sono calciatori onesti – bravi ma non fuoriclasse – che quando difendono i colori del loro paese si trasformano, diventano autentici trascinatori.
L’Argentina di Messi fallisce la terza finale di fila, per colpa di un rigore fallito proprio dal cinque volte Pallone d’Oro. L’Italia di Conti mette sotto prima il Belgio e poi la Spagna, grazie alle prodezze di Graziano Pellé, centravanti operaio per eccellenza, affiancato dal’oriundo Edèr, che nella sua squadra neanche gioca.
Messi con la palla tra i piedi fa quello che vuole. Pellé ed Eder no, ma in campo danno l’anima. Il bello non è quanto tirano e quanto segnano, ma come corrono in campo, come inseguono ogni pallone, come tornano per aiutare i compagni a difendersi.
Giocare per il proprio paese, sotto ogni latitudine ha un effetto speciale. Devi metterci i cuore, prima della classe, o meglio la classe non basta. Anzi forse i palloni d’oro (nella serie dei campioni che in nazionale fanno cilecca va annoverato anche Cristiano Ronaldo che con il Portogallo non ha quasi mai brillato) sortiscono un effetto controproducente: troppa pubblicità, troppe aspettative, troppa tensione.
Ma sta in questo la bellezza del calcio. Dovremmo abituarci a considerare il gesto atletico di Pellè che insegue l’avversario per quaranta metri per coprire la difesa, altrettanto bello di un gol alla Messi.
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