Ecco come noi umani trasformiamo il paesaggio, sembra dire questa foto, scattata sulla spiaggia di Marina di Chieuti. Passeggiando verso la foce del torrente Saccione che segna il confine tra la Puglia e il Molise, si ha l’esatta percezione di quello che viene scaricato nel mare incolpevole da una comunità che ormai si caratterizza più per le cose che getta via che non per il modo con cui le produce e le consuma.
È un’immagine amaramente eloquente delle condizioni in cui abbiamo ridotto il mare: una gigantesca discarica di rifiuti a cielo aperto, in cui spadroneggia soprattutto la plastica delle bottiglie, che le onde poi riversano sull’arenile, restituendo alla “civiltà” i suoi simboli, la sua immondizia. In fondo, quelle orride bottiglie vuote di plastica sono un’espressione simbolica di una civiltà che si autodefinisce civiltà sei consumi, ma che invece è soprattutto civiltà dei rifiuti.
È un’immagine amaramente eloquente delle condizioni in cui abbiamo ridotto il mare: una gigantesca discarica di rifiuti a cielo aperto, in cui spadroneggia soprattutto la plastica delle bottiglie, che le onde poi riversano sull’arenile, restituendo alla “civiltà” i suoi simboli, la sua immondizia. In fondo, quelle orride bottiglie vuote di plastica sono un’espressione simbolica di una civiltà che si autodefinisce civiltà sei consumi, ma che invece è soprattutto civiltà dei rifiuti.
Siamo in uno dei tratti del litorale adriatico a più alto pregio naturalistico, con una macchia mediterranea a tratti ancora del tutto incontaminata.
Non altrettanto incontaminata è purtroppo la costa che, pur non essendo urbanizzata e cementificata, è però ricettacolo dei rifiuti restituiti dai flutti marini.
Una mano ignota, raccogliendo le bottiglie di plastica colorate sparse sulla battigia, ha pensato bene di decorare così l’albero che vedete nella foto. L’effetto è spettacolare: una sorta di opera d’arte materica, che è anche monumento alla (in)civiltà e totem dello pseudo progresso che ci assedia.
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