di Maurizio De Tullio
Matteo de Palma qualche giorno fa ha lasciato un lapidario post sulla pagina Fb di ‘Lettere Meridiane’: “Foggia come Guernica: vergogna USA, e getta”. Se era un paragone tra le due città, accomunate da una terribile pagina di guerra, era fuori luogo; se era una battuta, sul gioco di parole finale, questa è stata fatta già un migliaio di volte.
Guernica era una cittadina basca di circa 7.000 abitanti senza grossi obiettivi, né di tipo militare né strategico. Faceva parte legittimamente di una Repubblica democratica, quella spagnola, che dall’inizio degli anni ’30 operava per una trasformazione profonda del proprio tessuto economico e sociale. Nel 1936 le elezioni furono vinte dal Fronte Popolare, cioè dall’insieme delle forze di sinistra, che aveva più del doppio dei deputati della destra (278 contro 134).
Nonostante ciò, la Destra si organizzò per sovvertire l’ordine democratico. Nacque la Falange che aveva dalla sua parte l’Esercito spagnolo (guidato dal Generale Francisco Franco, che in breve tempo prenderà il potere) e che, in un’ottica anticomunista, ottenne l’appoggio sostanziale dei regimi nazi-fascisti europei (Italia e Germania in primis) e della stessa Chiesa cattolica.
L’Italia di Mussolini aderì inviando un vero e proprio corpo di spedizione mentre la Germania di Hitler lo fece fornendo massicci aiuti all’aviazione franchista. Fu infatti inviata la Legione Condor, un’unità dell’aeronautica tedesca che proprio in Spagna sperimentò quelle tecniche di bombardamento in seguito usate in maniera massiccia durante la Seconda Guerra Mondiale. Al suo interno, poi, il Fronte democratico spagnolo non rimase unito e le lotte intestine ne indebolirono l’organizzazione.
Fu in questo clima che il 26 aprile 1937, in una tranquilla giornata di primavera, la Falange attaccò senza alcun preavviso. La cittadina in buona parte fu rasa al suolo e in tre ore e mezza di continui attacchi aerei morirono dalle 400 alle 800 persone, considerando anche i feriti che nei giorni seguenti non riuscirono a salvarsi.
Di quell’attacco indiscriminato su Guernica riferì due giorni dopo il quotidiano inglese “The Times”: “Il lunedì a Guernica è giorno di mercato per la gente delle campagne. Alle 16,30, quando la piazza era affollata, e molti contadini stavano ancora arrivando, la campana diede l’allarme. Cinque minuti dopo un bombardiere tedesco volteggiò sulla città a bassa quota, quindi lanciò le bombe mirando alla stazione. Dopo altri cinque minuti ne comparve un secondo, che lanciò sul centro un egual numero di esplosivi. Un quarto d’ora più tardi tre Junker continuarono l’opera di demolizione e il bombardamento si intensificò ed ebbe termine solo alle 19,45, con l’approssimarsi dell’oscurità. L’intera cittadina, con settemila abitanti e oltre tremila profughi, fu ridotta sistematicamente a pezzi. Per un raggio di otto chilometri, tutt’intorno, gli incursori adottarono la tecnica di colpire fattorie isolate. Nella notte esse ardevano come candele accese sulle colline.”
La Guerra Civile spagnola fu combattuta con asprezza e determinazione da ambo le parti e durò fino al 28 marzo 1939 con un bilancio tragico consistente in circa un milione e mezzo di vittime. I franchisti vinsero e centinaia di migliaia di repubblicani fuggirono o vennero fatti prigionieri. Il Gen. Francisco Franco salì al potere imponendo una dittatura fascista, e vi restò per oltre trent’anni.
Veniamo a noi. È il 1943. Da tre anni l’Italia era in guerra, voluta da Hitler e appoggiata da Mussolini, e Foggia era un multipresidio militare con oltre 2.000 soldati nazisti di stanza (oltre alle migliaia di nostri militari), varie caserme, centro nevralgico sul piano aeronautico e ferroviario e sede di un potente Centro Chimico Militare appositamente voluto per la produzione di micidiali gas. La fabbrica (annessa alla Cartiera) doveva produrre fosgene (gas soffocante), iprite (gas vescicante), ossicloruro di carbonio (gas lacrimogeno e asfissiante), nitrocellulosa ed altri aggressivi chimici in una logica offensiva militare e civile. Ma ai foggiani fu detto che si trattava di una fabbrica per la produzione della birra.
Con ciò si evince quanto delicata fosse la posizione di Foggia nello scacchiere bellico e ciononostante il Regime fascista non si attivò nelle dovute misure per salvaguardare i suoi abitanti con adeguati rifugi antiaerei. I foggiani, fra l’altro, furono più volte avvisati dalle forze angloamericane – con volantini scritti in italiano – che la loro città di lì a poco sarebbe stata bombardata.
Quel che avvenne dal 28 maggio a metà settembre 1943 è noto a tutti. Ci furono grandi atti di eroismo tra ferrovieri, pompieri e sacerdoti e atti di viltà tra le truppe naziste accampate nella Villa Comunale. Tanti tedeschi, infatti, per confondere i piloti nemici, si spogliarono delle divise militari e si mischiarono tra i civili foggiani che cercavano rifugio sotto gli alberi della Villa e negli androni dei palazzi. Operazione che non passò inosservata e il mitragliamento divenne indiscriminato.
La città di Foggia non fu affatto rasa al suolo o distrutta per il 75% del suo patrimonio edilizio. Il dato sulle distruzioni e sui danneggiamenti fa il paio col numero di oltre 20.000 morti, il che – a mio avviso – non corrisponde certamente alla realtà dei fatti.
Porre sullo stesso piano la tragedia di Guernica (che, probabilmente, in proporzione ebbe lo stesso numero di morti) con quella di Foggia a me pare non corretto storicamente e, soprattutto, offensivo. Nessun cittadino di Guernica partì per bombardare Foggia mentre diversi foggiani, “orgogliosamente” gonfi di giustizialismo fascista, si sentirono in dovere di violare la Spagna per annientare i repubblicani che avevano legittimamente vinto le elezioni.
Mi risulta che molti militari americani e inglesi, sia in quei caldi e luttuosi giorni che in tempi a noi più vicini, abbiano espresso dolore e disagio per quanto commesso ai danni di Foggia e dei suoi cittadini. Non so quanti di quei volontari foggiani, mossi da un anelito… bellico, dopo aver bombardato Guernica e altre città spagnole, abbiano mai espresso analoghi sentimenti di dolore. Non ho testimonianze da portare ma ne dubito fortemente.
Questo per riflettere sul fatto che da foggiani dobbiamo certamente “non dimenticare mai”, come ammonisce giustamente l’artista pisano Cristian Baisci nella sua opera scelta per testimoniare il dramma subìto da Foggia nell’estate del 1943. L’importante, però, è che quel messaggio non venga letto solo come la speranza che non accadano più altri nefasti episodi ai danni di Foggia pari a quelli dell’estate del ’43.
Quest’opera deve essere considerata anche come un inno alla pace e non solo il simbolo di un interesse di parte, per quanto legittimo.
Il richiamo netto e convinto alla concordia tra i popoli e, soprattutto, a non usare mai più alcun tipo di violenza per affermare un principio o un preteso leso diritto, deve essere patrimonio di un ideale comune e laicamente condiviso.
Cordialmente
(Maurizio De Tullio)
(La foto riproduce il dipinto di Pablo Picasso che ricorda il bombardamento e il martirio della città basca.)
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Rispondo volentieri ad Antonio Del Vecchio, che mi dedica sempre belle parole e che ricambio con analoga stima.
Dal tuo breve commento, però, non si evince il nome del caduto rignanese.
Si trattava per caso di Giuseppe Urbano? Se sì, come penso, mi pare però che morì in Spagna nel 1938 e non nel 1937 come scrivi. Può essere?
E, a scanso di equivoci, l'Urbano di cui parlo non è la stessa persona alla quale Foggia ha dedicato una sua centrale via. Il nostro Urbano si chiamava Giovanni, era nato a Foggia, e perì sul Carso nel 1916, durante la Grande Guerra.
Due modi uguali di morire, due modi diversi di "immolarsi" per la Patria.
Cordialmente (Maurizio De Tullio)