Chi è stata Maria Celeste Crostarosa, prima beata foggiana

Pubblichiamo la seconda parte del saggio di Vittorio Longo Una perla nascosta – La venerabile Sr. Maria Celeste Crostarosa fondatrice delle Redentoriste. La prima puntata del lavoro, bello ed esauriente, sulla “santa priora” proclamata Beata dalla Chiesa cattolica, è stata pubblicata da Lettere Meridiane mercoledì, 22 giugno scorso, ed è disponibile a questo indirizzo web: http://letteremeridiane.blogspot.it/2016/06/maria-celeste-crostarosa-una-perla.html .
La seconda puntata della pubblicazione coincide con la Prima parte del libro di Longo. Nella prima puntata sono state pubblicate l’introduzione e la cronologia della vita della Crostarosa. Nella parte che pubblichiamo oggi, la vita commentata della Beata, dalla nascita fino alla tempestosa conclusione della sua esperienza a Scala. Buona lettura.

* * *
PARTE PRIMA
Chi è Sr. Maria Celeste Crostarosa?
È colei a cui il Signore ha affidato la missione dl
istituire un nuovo Ordine religioso, per un rinnovamento della Chiesa, in
un’epoca oscura della storia della spiritualità, giacché le «luci della ragione
» tendevano, come tendono ancora oggi, a distruggere ogni influsso
soprannaturale nella vita dell’uomo.
Sr. Maria Celeste Crostarosa resta faro di spiritualità in
chiave oltremodo moderna, tanto da corrispondere agli attuali dettami della
Chiesa in piena sintonia col Concilio Vaticano II.
Il suo indirizzo tutto cristocentrico, d’ispirazione divina
e che in fondo esalta ciò che già S. Paolo ha predicato e scritto, la sua
maniera di intendere l’imitazione di Cristo — «la viva memoria » — per la
continua attualizzazione dell’opera e dell’azione del Divin Maestro per la
salvezza dell’uomo, formano la base della sua dottrina, del suo ascetismo, del
suo misticismo.

I suoi scritti sono di contenuto così elevato da non
sfigurare di fronte ad altri più noti, anche se, per la sua limitata formazione
culturale, essi presentano errori i ortografia, parole dialettali, ecc., ma è
da considerare altresì che al tempo in cui ha vissuto, alle donne non veniva
impartito l’insegnamento dello scrivere, che Lei apprese per via carismatica.
In conseguenza non farebbe meraviglia, anzi lo sarebbe il contrario,
considerare M. Celeste «dottore della Chiesa », così come non farebbe
meraviglia se i vari moderni movimenti femminili cattolici ricorressero a Lei
per attingere quel coraggio e vigore evangelico per l’affermazione della
dignità della donna.
Sì, a Lei, che si è dimostrata donna forte, decisa,
energica, leale e che in mezzo a tante avversità, oltre all’ambiente di per sé
già ostile all’agire delle donne, che erano escluse da ogni attività, ha saputo
ben difendere, con tutte le forze e con ogni sacrificio e mortificazione
personale, la volontà del Signore, preferendo l’obbedienza a Dio più che
l’obbedienza agli uomini. Si, a Lei che ha avuto il coraggio di dire ai suoi
superiori quello che vedeva e che «sentiva dentro », con una visione della «
libertà e dignità di coscienza », che andava oltre ogni ardire in quei tempi di
cieca obbedienza, anche se la sua azione, riveniente dalla guida sicura e
diretta di Cristo, centro di tutta la sua vita, aveva un unico scopo, quello di
irradiare la «donazione dello Spirito », quello di essere sempre in Cristo, con
Cristo, per Cristo per la vita del mondo.
Non è da trascurare, infine, che è Lei — una semplice donna
—, forse unico caso della storia della Chiesa, che dà origine ad un movimento
ascetico ed apostolico di sì vasta portata, quale quello « redentorista, anche
se si avvale poi di un uomo —S. Alfonso dei Liguori — per la realizzazione
dell’opera.
Dopo questo sguardo sommario sulla personalità di Sr. Maria
Celeste, diventa una necessità conoscere qualcosa in più del la sua vita. Ella
nacque a Napoli il 31404696 in una famiglia pia e be nestante. Il padre,
Giuseppe Crostarosa, era un noto magistrato di Napoli c la madre, Paola
Battistini, faceva parte della nobile famiglia dei Caldari .
Era la decima di dodici figli 5 maschi e 7 femmine. ‘
Il giorno seguente alla nascita venne portata nella chiesa
parrocchiale di S. Giuseppe Maggiore — non più esistente — per essere
battezzata coi nomi di Giulia, Marcella, Santa.
Sin da piccolissima sperimentò un forte impulso del divino.
Infatti, dall’età di 5 o 6 anni le si manifestarono voci interne; che la
spingevano ad una vita interiore più intensa e, quindi, sin da allora «
cominciò il Signore a darle cognizione della Sua Divinità, passivamente  » (Au)
Poiché, comunque, era di natura allegra e vivace, non mancò,
vivendo nella casa paterna, di partecipare a quella vita di frivolezze dell’età
infantile, da cui ben presto si allontanò per essere più sensibile alla
chiamata del Signore ed a cui rispose in maniera definitiva, con una profonda
conversione, all’età di 11 anni, quando fece la Prima  Comunione. È in questo periodo che ha il primo
contatto con la “teologia”. Allorché, infatti, si confessò da un padre domenicano,
avendo sentito parlare di “orazione mentale”, gli chiese come fare “orazione
mentale”, ricevendo di contro il consiglio della lettura di due libri:
Cibo dell’anima
ovvero Pratica dell’erezione mentale secondo la Passione di nostro Signore Gesù
Cristo, per tutti i giorni del mese
, attribuito a P.Segneri;
Le meditazioni
di S. Pietro d’Alcantara.
Con impegno si dedicò a queste pie letture ma, dall’autobiografia
(Au) si rileva che durò poco, giacché ogni volta che vi si dedicava, subito si
immergeva in un profondo raccoglimento, che le impediva di proseguire. finché «un
giorno lesse la meditazione della lanciata, che ebbe in Croce nostro Signore
Gesù Cristo ed ella restò assorta nell’amore di questo Divin Cuore ferito, che
da quell’ora non piglio mai più libri per meditare. » (Au)
Poco più che quindicenne prese la direzione spirituale di un
giovane sacerdote del clero della cattedrale di Napoli, il quale le impose di
scrivere le sue esperienze mistiche. Ed è proprio in questa circostanza che lei
imparò a scrivere per via carismatica per dargli “conto di coscienza”. Conservò
questa direzione spirituale per due anni, nonostante l’opposizione della madre,
che si preoccupava della giovane età del sacerdote, peraltro principiante.
All’età di 17 anni e per 10 anni si pose, per ispirazione
divina, sotto la guida spirituale di Don Bartolomeo Cacace delle Missioni
Apostoliche di Napoli‘ Era questi «  uomo
di singolare santità di vita e di dottrina eccellente, stimato in Napoli per
uno dei primi Padri di quel tempo.» (Au). Fu Don B. Cacace, senza dubbio, la
persona che più influì sulla sua formazione, non solo per il tempo in cui
stette in contatto con lui , ma anche per la profonda impronta che di solito
lascia la prima formazione ricevuta nell’infanzia o nell’adolescenza, tanto più
che lei aveva già ben assimilato i sani principi della vita in famiglia, che si
svolgeva in un clima di sincero affetto e pieno di fede. Certamente don Cacace
non le tracciò una linea di spiritualità definitiva, però seppe darle criteri
solidi, fondati su una sana teologia, in quei tempi di dubbi ed errori.
Inoltre, l’assicurò che « era di Dio il suo cammino e l’animò e le disse che
dovea seguitare a camminare appresso al Signore con semplicità di cuore.» (Au)
L’autorizzò a comunicarsi tutti i giorni, cosa insolita in
quei tempi di rigore; autorizzazione che confermò anche dopo l’entrata in
convento, contro il parere del confessore del monastero.
Nel dicembre del 1716, in occasione di una predica tenuta
nella sua chiesa parrocchiale dall’antico giovane direttore spirituale, per
soddisfare la sua sensibilità, sentì il desiderio di conferire con lui. Ed è
per questo che il Signore la privò della sua abituale «consolazione interiore
»: fu per lei la sua « prima prova», o meglio la sua prima esperienza vitale
del mistero pasquale di Cristo. »
È significativo il fatto che la prova terminò al “Gloria “ della
messa del Sabato Santo della Pasqua successiva, come a conferma del “ rinascere”,
 della “risurrezione”  alla vita. Molto incisive sono le espressioni
che, al riguardo, si leggono nell’autobiografia :
«Stava l’anima mia così ammutolita
nel colmo delle sue afflizioni avanti al tuo divin cospetto in umiltà. ma
venuta l’ora della S. Messa gloriosa della tua Risurrezione, mentre si cantava
Gloria in excelsis Deo, mi sentii tutta rinvigorita e ritornare l’anima mia nel
tuo Santo e Divino Amore . »
E poi:
«Tu, Signore Dio della Verità,
giusto e retto nei tuoi giudizi, sei quello che contrappesi il cuore dell’uomo
e lo penetri fino nell’intimo e sai umiliare la sua superbia e penetri e
trapassi ogni suo minimo movimento. Sei scrutatore dei cuori e sei esattore di
giudizio e di giustizia rettissimo. La tua infinita misericordia ha curato le
mie piaghe, perché il mio proprio amore e la superbia del mio malizioso cuore
sempre si mescolava con i tuoi doni e con le tue grazie, si stimava di qualche
cosa; e tu Dio di bontà, volendomi disingannare, mi spogliasti dei tuoi beni,
lasciandomi in preda dei miei inimici e facendomi saggiare la mia propria
miseria.
Mi facesti conoscere che non solo
non ero io giustificata ma tutto all’opposto, deforme e piena d’impurità e mali
abiti e di amore di me stessa; e però Tu, con somma bontà e pietà, curavi la
mia infermità e sopportasti con tanta longanimità la mia malizia, senza
abbandonarmi del tutto in potere di essa. »
All’età di 21 anni entrò nel monastero carmelitano di Marigliano,
che seguiva le regole di S. Teresa, mitigata dalla Ven. Serafina da Capri. Con
lei entrò in convento anche la sorella maggiore Orsola e più tardi una terza
sorella — la minore — di nome Giovanna, Col noviziato assunsero il nome,
rispettivamente di: Sr. Candida del Santo Deserto: Giulia; Sr. Maria Colomba
del S. Cenacolo: Orsola; Sr. Maria Evangelista: Giovanna.
Il silenzio e la vita di solitudine del « Carmelo »
favorirono la sua ascesa mistica. Varie volte dice che cercava « gli angoli
remoti del monastero »per viverci più profondamente la presenza continua di
Dio, di cui godeva, e per « non lasciarsi vedere ne’ osservare da alcuno in
quella alienazione ».
Sr. Crostarosa assimilò molto bene la spiritualità carmelitana
ma andò anche oltre, seguendo criteri personali di spiritualità, che le
venivano inculcati da quei « colloqui interni», sino a raggiungere la piena
contemplazione, anche se non trascurò mai l’azione a favore dei fratelli.
Intese l’imitazione di Cristo « non il vivere come Cristo » ma un «vivere con
Cristo dentro di sé»: il proprio agire doveva essere l’agire di Cristo, la
continuazione, l’attualizzazione dell’azione di Cristo.
I primi germi di questo cristocentrismo si possono intravedere
nelle Sette Regole sui doveri religiosi, che scrisse per le sue consorelle e
che possono così sintetizzarsi :
1.    
Appena alzate, concentrarsi con lo spirito in
Dio, riconoscendo i propri peccati. Per quanto si può, restare ritirate e
solitarie, orando di continuo. Considerare il proprio cuore come stanza del
Signore e fare la propria cella nel Divino Cuore. di modo che Cristo stia nel
tuo cuore e tu nel Suo.
2.    
Nella refezione e ricreazione, lasciare i sensi
quanto basta per compiere quelle due azioni, senza lasciar turbare l’animo, che
deve rimanere rivolto al Signore.
3.    
Osservare il ritiro ed il silenzio, ricordando
le tre ore di Gesù sulla Croce.
4.    
Svolgere tutte le azioni con rettitudine e
purità d’intenti. Avere il solo scopo della gloria del Signore.
5.    
Tre sono gli esercizi che l’anima deve svolgere:
a.    
abitare e convivere con le creature solo per
aiutare loro nell’eterna salute, senza inserirsi in altre cose
b.    
abitare con lo spirito sempre in Dio, come
l’anima di Gesù stava sempre unita al Verbo col Padre e Spirito Santo in Dio;
c.     
 non
fermarsi a nessuna cosa né della vita passata, né della presente, né della
futura ma fermarsi solo al Sommo Bene.
6.    
Amare il prossimo senza lamentarsi mai. Stare
sempre nel proprio nulla. Come è infinita la grandezza di Dio, così è infinita
la propria miseria e povertà, Non giudicare e compiacersi delle grazie, che il
Signore elargisce agli altri. Ricevere con umiltà tutti i disprezzi. Avere il
tutto per nulla.
7.    
Onorare la Superiora (così i Superiori) e
ubbidire; nelle sorelle vedere i Santi Apostoli. Stare in loro compagnia come
nel Cenacolo. Altro desiderio: non nutrire che il solo e puro amore di Dio. In
definitiva, in tutte le azioni, operare come
se il Cristo e non tu vivessi nella tua vita
.
La sua intensa spiritualità ed il suo enorme fervore fecero
sì che sin da novizia poté di fatto esercitare cariche nel mona stero, per le
quali subì una piccola persecuzione, dovuta più che altro al maggior rigore
imposto nell’osservanza delle regole. Con la professione religiosa, ottenne in
maniera ufficiale le cariche, che prima aveva svolto solo di fatto.
Nell’inverno del 1722, in occasione della missione in Marigliano,
conobbe il P. Tommaso Falcoia dei Pii Operai di Napoli. il quale doveva poi
avere tanta parte nei successivi avvenimenti. Sotto vari aspetti fu l’uomo
della « Provvidenza ».
Da quello che la stessa Crostarosa scrive, si apprende che
il primo colloquio « si verificò per comando di Dio, che intervenne nei due
indipendentemente ». In più aggiunge:
«Il Signore mi pose nelle mani di
questo Padre per farmi assaggiare i preziosi frutti della Croce, da me non
provati l’addietro, sebbene egli fosse gran servo di Dio. » (Au)
L’importanza del ruolo del Falcoia appare allorché il convento
di Marigliano dovette chiudere. Questo monastero era sorto in territorio di
possesso feudale del Duca Mastrilli, la cui moglie, Isabella, inserendosi abusivamente
e gradualmente negli affari del convento, rese addirittura impossibile
l’ulteriore normale svolgimento della vita claustrale, tanto che lo stesso
vescovo di Nola — Mons. Carafa —, nella cui giurisdizione rientrava Marigliano,
consigliò alle monache di disperdersi.
Le tre sorelle Crostarosa uscirono il 17 ottobre 1723, dopo
oltre cinque anni di permanenza, durante i quali “Giulia” ricevette la più profonda
formazione tanto quella che le veniva dall’ambiente, come quella che Dio le
dava nell’intimo, preparandola così intensamente alla sua futura missione.
Da Marigliano, rilevate dai parenti, si trasferirono nella
villa paterna di Portici, ove rimasero tre mesi in attesa di una sistemazione.
Poiché nel frattempo “Giulia” aveva scritto al Falcoia per chiedergli aiuto e
per mettersi sotto la sua direzione, ebbe da questi l’invito di entrare nel
monastero visitandino dell’Immacolata di Scala, riorganizzato da poco proprio
dallo stesso P. Falcoia e dal suo superiore P. Maurizio Fìlangieri. Questo
monastero seguiva le Regole della Visitazione, secondo le Costituzioni di S,
Francesco di Sales, senza però appartenere giuridicamente all’Ordine, dato che
dalla sua fondazione non era mai andata alcuna figlia di S. Giovanna Francesca
di Chantal a portare lo spirito salesiano, cosi come voleva la regola e,
pertanto, mancava l’anello di congiunzione all’Ordine della Visitazione.
Le tre sorelle, su indicazione di Giulia, che a sua volta
era stata ispirata dal Signore, scelsero questo monastero ed in tal modo, sia
pur inconsciamente, si portarono in un convento che, nato e mantenuto in
situazione irregolare, in effetti era pronto ad accogliere il nuovo indirizzo,
che il Signore doveva ispirare a “Giulia” Il trasferimento a Scala avvenne il
27/1/1724.
Le tre religiose furono accompagnate da numerosi parenti e
c’erano anche il Vicario della diocesi di Scala e quello di Ravello, venuti
appositamente a rilevarle. Nel nuovo convento ebbero festosa accoglienza da
parte di tutte le consorelle ivi esistenti.
Su loro richiesta, rinnovarono il noviziato e “Giulia” , nel
vestire l’abito della Visitazione il 9/2/1724 cambiò il norne da Sr. Candida,
già portato quale Carmelitana, in Sr. Maria Celeste del Santo Deserto, e quale
novizia rimase sotto la direzione della Maestra Sr. M. Angela del Cielo.
Mentre era ancora novizia, Sr. Maria Celeste il 25/4/1725
ebbe la prima rivelazione del nuovo Istituto da fondare. Nell’autobiografia si
legge:
«Il giorno delle Rogazioni  del mese di aprile, essendosi andata a
comunicare la consaputa religiosa, si fece nell’anima sua di nuovo quella
trasmutazione dell’essere suo in quello di nostro Signore Gesù Cristo. Ma
questa volta non come le passate, che solamente provava l’anima sua quella
trasmutazione, ma per brevissimo atto vide nostro Signore Gesù Cristo che univa
le sue santissime Mani, Piedi e Costato con quelle della religiosa, ma non come
corpo umano, ma di una bellezza e splendore divino, che lingua umana mai potrebbe
dichiarare. L’anima sua provò un atto di spirituale purità e dolcezza mai
provate; le parve che uscisse dalla presente vita in un momento di felice beatitudine.
Ivi provava che tutti i beni preziosi della vita di nostro Signore Gesù Cristo
le si imprimevano nel suo cuore non solo, ma in tante anime che per mezzo suo
avevano da aver vita in Lui. »  (Au)
Nei giorni successivi, le rivelazioni si rinnovarono sino a
precisarne i dettagli: spirito dell’Istituto, Abito, Regole, che andavano
scritte in 40 giorni e per un’ora al giorno, subito dopo la S. Comunione.
Quando M. Celeste comunicò alla sua Maestra, Sr. M. Angela,
le rivelazioni che aveva avuto, questa le confido le preoccupazioni e le
sofferenze della comunità a causa dell’instabilità spirituale in cui erano vissute
e, perciò, si rallegrò di quanto il Signore, suo tramite, ora concedeva loro in
accoglimento delle loro preghiere. Immediatamente Sr. M. Angela avvisò il P.
spirituale Falcoia, il quale in un primo tempo considerò M. Celeste una
sognatrice, visionaria ed illusa ma, allorché in possesso delle Regole scritte,
— che sottomise anche ad un gruppo di teologi napoletani, che ritennero il
tutto come opera di Dio —, si convinse anche lui che la nuova Istituzione era
veramente rivelazione di Dio.
A sua volta il Falcoia informò il suo superiore P. Maurizio
Filangieri ed insieme si recarono a Scala per proporre alla comunità il cambio
delle Regole, ricevendo piena adesione.
Sennonché, il P. Filangieri, istigato dalla Superiore del monastero,
Sr. M. Giuseppa, e da altre due monache cambiò ben presto opinione e divenne
anzi strenuo oppositore della Nuova Regola, che nel frattempo era già stata
approvata dalla comunità. In pratica, verso la fine di quello stesso anno 1725
il Filangieri proibì al Falcoia di ritornare a Scala, promise alle monache
aiuto economico in cambio dell’abbandono della direzione spirituale del Falcoia
e chiese, ma non ottenne, l’espulsione di M. Celeste, la quale però fu
imprigionata per quindici giorni nel soffitto del monastero.
Per ubbidienza M. Celeste rinunciò — almeno per il momento —
al progettato cambio di Regole ed il 28/12/1726 provvide persino a rinnovare la
sua professione di fede sotto la Regola della Visitazione. Seguì cosi un buon
periodo di pace, tanto più che, nel frattempo, la sua Maestra era stata
nominata superiora del monastero: periodo che durò sino alla morte del Filangieri,
che avvenne il 27/2/1730. In quello stesso anno il Falcoia venne nominato
vescovo di Castellammare di Stabia.
Sembrava così che si rimuovessero gli ostacoli per la realizzazione
dell’Opera voluta dal Signore.
Nel settembre di quell’anno 1730 Mons. Falcoia inviò a Scala
il dotto P. Alfonso dei Liguori, anch’egli dei Pii Operai di Napoli, per
predicare alle suore gli esercizi spirituali e, con l’occasione, investigare e
dare il suo giudizio sulle rivelazioni di M. Celeste. S. Alfonso in quel primo
incontro con Sr. M. Celeste, riconobbe subito l’opera di Dio e sin da allora si
prodigò per ottenere l’autorizzazione per l’istituzione del nuovo Ordine.
Nello stesso periodo, Maria Celeste, su comando del Falcoia,
riscrisse le Regole — e questa volta in sole due ore —, dato che le precedenti
erano andate smarrite. Contemporaneamente l’assemblea capitolare del monastero
approvò e provvide al cambio dell’abito, del nome dell’Istituto e del convento
ed organizzò la vita monacale secondo le linee generali delle nuove Regole, non
ancora stabilite,
Col cambio dell’abito, Maria Celeste variò il suo nome in
Sr. Maria Celeste del SS. Salvatore. assumendo quell’attributo di SS.
Salvatore, che doveva essere il nome del nuovo Istituto ed esprimeva la ragione
dell’essere del nuovo Ordine: continuare nella “viva memoria “ del Cristo la
missione che questi ha ricevuto dal Padre per la salvezza dell’uomo (cifr. Bibliot.
stor. C. Ss. R., vol. 1969 pag. 52).
La Santa Sede, per evitare la confusione con un altro istituto
dello stesso nome già esistente, fece poi a suo tempo prevalere il nome del SS.
Redentore.
Per l’introduzione della nuova Regola, fu decisiva la
collaborazione di S. Alfonso, come lo fu più tardi, nell’estensione dell’Ordine
anche al ramo maschile, la cui istituzione fu rivelata a M. Celeste il 3/10/1731:
dall’autobiografia
«Mentre una sera la
religiosa  si trovava in refettorio, ed
era la vigilia di S. Francesco d’Assisi, 3101731, il Signore in un momento tirò
a Sé lo spirito della religiosa, e le mostrò nostro Signore Gesù Cristo assieme
col serafico P. S. Francesco in lume di gloria; ed il P. D. Alfonso dei Liguori
era ivi presente. Allora il Signore disse alla religiosa: quest’anima è eletta
per Capo di questo mio Istituto, egli sarà il primo Superiore della
Congregazione delli uomini. E la religiosa vide in Dio quest’opera già fatta e
come affettuata. Resto l’anima sua piena di giubilo senza poter prendere altro
cibo corporale, sospesa da una gioia interiore; e le restò la compagnia di quel
S.to Patriarca, che compariva trasformato in nostro Signore Gesù Cristo, E questo
durò, mentre durò la mensa, ma per allora non le fu dichiarata altra cosa.
 La mattina seguente, era il giorno del Santo
Patriarca, del quale la religiosa era molto divota, andò a comunicarsi; spensierata
affatto di quanto la sera antecedente le era occorso. Fu di nuovo sorpresa l’anima
sua dalla chiarezza e lume del Signore; e intese, che scrivesse nella formola
dell’Istituto quelle parole, che sono nel Vangelo, che dice: ANDATE E PREDICATE
AD OGNI CREATURA, CHE SI APPRESSA IL REGNO DE’ CIELI. » (Au)
Sr. Maria Celeste, appena poté, riferì a S. Alfonso questa
nuova volontà del Signore e dopo avergli trasmesso lo spirito, col carattere
missionario, di questo ramo, null’altro influì sul suo ulteriore cammino, che
Alfonso intraprese, sottoponendosi, con voto di cieca obbedienza, sotto la
direzione di mons. Falcoia, il quale a sua volta assunse il comando assoluto di
questo nuovo Istituto.
Per Maria Celeste, invece, iniziò il periodo di tribolazioni
che, in una visione, poté conoscere in anticipo:
dall’autobiografia
«Ella doveva essere un compendio
di travagli ed un bersaglio dove sarebbero stati tirati molti colpi dagli
uomini del mondo. Le mostrò con una viva distinzione tutto quello che doveva
accaderle, che come un mare di pene se le fece presente. Doveva essere diffamata,
disprezzata, abbandonata dai suoi più cari amici e restare in un abbandono e
derelizione di ogni umano aiuto; e che doveva essere reputata rea da tutti gli
uomini e che, derisa e schernita, sarebbe stimata un vaso di contumelie. E
tutto per riprodurre la Sua Vita. Sarebbe tenuta come un’illusa; e così sarebbe
restata senza alcuno splendore e sepolta tra gli obbrobri, priva di ogni
conforto spirituale, e piena di timori sarebbe rimasta in mano degli inimici e dell’inferno.  Sebbene 
in tale spavento ed agonia mortale, l’anima, però, era in una pace e
rassegnazione totale nelle dolcissime Mani del Signore.» (Au)
Queste sofferenze e persecuzioni, che culminarono con la
espulsione dal convento, scaturirono dal contrasto da tempo sorto tra il
Falcoia e Maria Celeste; contrasto che, in un primo tempo, si manifestò sotto
forma di incomprensione per il cammino di fede, che la suora andava seguendo
sotto la diretta direzione divina, in difformità di quella terrena, culminato
poi in una aperta ribellione, allorché il predetto Falcoia si accinse, più che
all’adattamento — come lui asseriva — al rifacimento delle Regole, scritte per
ben due volte da M. Celeste su ispirazione del Signore, con la pretesa poi di
farle da lei accettare come proprie.
Maria Celeste, che per umiltà ed obbedienza aveva sopportato
e superato le incomprensioni, divenne ardita ed intransigente di fronte
all’alterazione delle sue Regole, che erano espressioni della volontà divina:
aveva ricevuto un messaggio, che doveva trasmettere; aveva ricevuto una
missione, che voleva compiere, sia pur nel dolore dell’incomprensione.
Osò, quindi, rifiutare l’obbedienza agli uomini per rimanere
obbediente al Signore e giunse anche a ricusare quella direzione del Falcoia,
che per dieci anni l’aveva resa insicura nel cammino col Signore.
Per questa presa di posizione, audace a quel tempo e,
peraltro, verso un’autorità della chiesa, fu tacciata di superbia, isolata ed
incarcerata. Interessante e significativa è al riguardo la seguente sua
espressione autobiografica: … «nulla teme, perché… le sono contribuite
forze ben grandi. Né sa tacere tutto quello che è utile e di profitto al
prossimo. Qui è che il mondo condanna bene e spesso questa sua santa audacia,
perché chi non sa quale spirito la muove, la giudica di temerarietà e superbia.
Ma ella sta ferma, desiderosa di patire. » (Au)
Comunque, di fronte a tante contrarietà, incertezze e dubbi
e sollecitazioni, anche Maria Celeste pensò internamente di essere un’illusa e
che potessero essere false tutte le cose che aveva creduto grazia del Signore e
fu per lei la « seconda prova », ossia la sua seconda esperienza vitale della
Passione di Cristo, con la perdita della « consolazione interiore ». Questa
volta la prova durò quasi cinque anni. Infatti solo nel 1737, durante la festa
dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, riebbe la « consolazione interiore del Signore
», che le suggerì:
«Scrivi quanto ti dico: Perché tu
mancasti di credere alla mia Misericordia, dubitando che tali grazie non
fossero veramente opera Mia in te, fu necessario che Io per cinque anni ti
privassi di questi doni e di quei beni, che erano solo miei, e ti lasciassi
nelle tue miserie per farti conoscere quale erba produce la tua natura da sé
stessa, senza la Grazia mia straordinaria, che questa solo ti ho sottratto. Che
se ti avessi privato della grazia ordinaria, quanti e quali mali avresti
commessol… Ma la mia misericordia mai la nega ad umana creatura ». (9°
Soliloquio)
Intanto, l’ambiente di Scala si era fatto teso, incerto,
oscuro, dato che c’erano stati altri incagli con la morte del vescovo
Guerriero, che solo oralmente aveva concesso a S. Alfonso il permesso del
cambiamento della Regola del convento. Il successore, mons. Santoro, prima
confermò l’autorizzazione ma poi, non più sicuro di quello che accadeva nel
monastero, preoccupato per le teorie eretiche dell’epoca, si premurò di
ritirare l’autorizzazione, anche se permise la continuazione della vita scelta
dalla comunità ma a condizione che fosse il Falcoia a scrivere le Regole.
Le difficoltà dell’ambiente e la intollerabile situazione di
Maria Celeste, ormai isolata e perseguitata, spaventarono la sorella minore
Giovanna, che manifestò la decisione di lasciare il convento, facendo
intervenire i parenti.
Mons. Falcoia, per evitare le eventuali complicanze, che ci
sarebbero state con l’intervento della prestigiosa famiglia Crostarosa, e
poiché erano rimasti vani tutti i tentativi per ridurre sotto la sua piena
volontà M. Celeste, fece immediatamente riunire il Capitolo che, su sua
pressione, decise l’espulsione delle tre sorelle Crostarosa, sotto l’accusa di
aver rifiutato di accettare le condizioni loro imposte.
Al riguardo, quanto è dolce ed umile la lettera di comunicazione
che la Venerabile indirizza a suo padre per comunicargli la decisione del
monastero nei suoi confronti :
«Sig. Padre carissimo,
Le do avviso come queste buone
Religiose del Monastero, per le mie imperfezioni, mi hanno licenziato, e
vogliono che io esca da questo loro Monastero; così ha disposto Dio. Pertanto,
la prego far ritrovare un Monastero per essere ivi ricoverata fino a tanto che
Dio disporrà, perché non e bene di stare a casa se colare. La prego a non
affliggersi, che Dio provvederà; e mi benedica; e gli bacio i piedi».

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Author: Geppe Inserra

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