Quando la Capitanata era un grande cantiere di trasformazione

La buona letteratura e il buon giornalismo hanno la capacità di farti guardare alle cose di cui parlano – posti, o persone, o contesti – non uno sguardo nuovo, perfino se si tratta di cose familiari, e note.
Il brano che segue di Guido Piovene è una delle cose più belle e nitide che mi sia capitato di leggere sulla grandiosa pagina di  storia che la Capitanata ha vissuto alla metà del secolo scorso, quando, per effetto della bonifica, della cosiddetto rivoluzione irrigua e della riforma fondiaria, diventò il cantiere di uno dei più grandi processi di trasformazione che  il Mezzogiorno abbia mai vissuto.
Lo scrittore vicentino visitò la Capitanata nel 1956, per una puntata di Viaggio in Italia,  fortunata trasmissione messa in onda da Radio Uno. La straordinaria capacità di sintesi di Piovene rende il racconto quanto mai accattivante e vincente.
Lettere Meridiane sta pubblicando a puntate la trascrizione della trasmissione radiofonica.
La prima puntata è stata pubblicata qualche giorno fa, con il titolo  Foggia “tra i Borboni e il West”. Per leggerla, cliccare sul collegamento.

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Il Tavoliere pastorale, più tardi cerealicolo e latifondista era la plaga più scarsa di strade. Coi fondi della Cassa per il Mezzogiorno le strade sono state portate a mille chilometri circa, raggiungendo così l’indice medio italiano, e la situazione appare  nell’insieme soddisfacente.

Di trentamila ettari circa di acque nocive, oltre ventimila sono stati prosciugati, ridimendo il terreno alla coltura. E’ sparito, ad esempio, il cosiddetto Lago Contessa. Le restanti paludi verso Manfredonia spariranno tra breve.
Terreni acquitrinosi o sabbiosi, intorno ai graziosi laghi di Lesina e di Varano, ai margini del Gargano sulla costa marina, sono stati pure redenti per coltivarli a cotone e a ortaggi.
Questa bonifica non è esente da controversie. A Lesina, per esempio, mille e cinquecento ettari sono stati occupati dai contadini via via che uscivano dalla palude onde il conflitto coi quattro o cinque proprietari degli acquitrini.
Un esperimento finora compiuto su cinquecento seicento ettari dovrà estendersi su tremila. E cioè ricoprire le terre sabbiose con terra fertile tratta dal fondo dei laghi,m per poi coltivarla ad ortaggi.
Filari di alberi si stanno qui impiantando come in Sardegna.
La bonifica dalla pianura via via risale sulla collina e per quanto riguarda specialmente la parte idraulica, con la acquisizione di nuovi, vasti terreni alla coltura il sessanta per cento può considerarsi compiuto.
Meno rapida, invece, procede la trasformazione. Bisogna coltivare più vigneti e ortaggi. Dare impulso alla zootecnia, finora scarsa e nomade. Far sorgere una rete di industrie. Un radicale cambiamento delle condizioni ambientali richiede, inoltre, un’irrigazione più diffusa. Dovranno provvedervi soprattutto le acque del Fortore e dell’Ofanto.
L’invaso dell’Ofanto, già finanziato, irrigherà diecimila ettari circa intorno a Cerignola. Opera più cospicua sarà la costruzione di una diga e la creazione di un lago artificiale tra Carlantino e  Colletorto, disciplinando le acquue del Fortore.
Il Fortore corre tra i monti ai confini della provincia di Benevento e di Campobasso, in una bella e povera zoina priva di ferrovie, percorsa ancora dalle mandrie, rigata dai tratturi delle transumanze. Da lì, le acque irrigheranno sessantamila ettari circa delle pianure sottostanti.
La bonifica è legata alla riforma agraria. Il Tavoliere presenta forse la maggiore concentrazione di braccianti in Italia: una massa enorme di circa settantamila braccianti, che ha Cerignola e San Severo come principlai centri, soggetta alle vicende delle stagioni, ai capricci della siccità.
La grande proprietà, dopo il frazionamento iniziato tra le due guerre, ha ricevuto un altro colpo dalla riforma: l’estensione media delle proprietà classificate come grandi è passata da cinquecento a duecentocinquanta ettari. A differenza di altre parti d’Italia, non si è espropriato solo pascolo, ma anche vigneti ed oliveti, assumendo come criterio non la qualità del terreno, ma il reddito del proprietario.
Sei borgate rurali sono sorte, in aggiunta a quelle dell’anteguerra. I braccianti, stipati in Cerignola, San Severo e in altri centri, formicai di lavoratori dei campi lontani dai campi, secondo il costume del Sud, sono stati infatti assorbiti dalla piccola proprietà. Ma le quote assegnate ai braccianti risultano troppo piccole perché vi possano vivere da contadini, senza un’attività completmentare.

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Author: Geppe Inserra

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