L’impossibile Masterplan: il Mezzogiorno è ancora più povero

C’è il patto? No il patto non c’è. Ma perché? Di chi è la colpa? Di Renzi? No! Ormai gira il sud come una trottola, scansando però ogni protesta. Allora, di Emiliano? Ni, verrebbe da dire. In quanti vogliono il patto? Boh! Ma i progetti ci sono? Si, pronti per più miliardi di investimenti. Quali sono questi progetti? Non si sa. Chi li ha scritti? Boh. Qual è la logica seguita? I cittadini sono stati coinvolti? Non me ne sono accorta! Quindi?

Tutto questo si chiede, con la consueta onestà intellettuale e intelligenza giornalistica, Daniela Eronia su Il mattino di Foggia, a proposito del patto per il Sud che in questi giorni oppone in un braccio di ferro mediatico e politico il premier Matteo Renzi e il governatore regionale pugliese, Michele Emiliano.
I patti avrebbero dovuto costituire il cuore di quel Masterplan per il Mezzogiorno che Renzi aveva calorosamente annunciato ed enfaticamente promesso l’estate scorsa, ai primi di agosto, nel corso di una direzione del Pd in cui, per la prima volta nella non lunga vita di questo partito, la questione meridionale era stata affrontata, almeno a parole, con una nuova consapevolezza.
Non ho alcun motivo di dubitare della sincerità delle intenzioni del premier sul Mezzogiorno. Ma, se a distanza di un anno poco o nulla si è mosso, bisogna ammettere che qualcosa non ha funzionato, e forse perché era stata sottovalutata la reale portata della questione, il cui spessore è puntualmente elencato nelle diverse domande, tutt’altro che retoriche, poste da Daniela Eronia. 
L’idea di affidare a patti interistituzionali le strategie attuative del Masterplan era intrigante, ma a condizione che vi fosse il necessario pathos, la necessaria tensione morale, la passione culturale e politica. Ridurre il divario che separa Nord e Sud non è affare di contabili e neanche di ingegneri dello sviluppo. Ha bisogno di una volontà politica forte. Di un patto appunto, i cui contraenti condividano obiettivi e portata, senza remore né infingimenti.
Questo pathos avrebbe dovuto essere cercato (e sarebbe stato probabilmente anche trovato) azionando percorsi nuovi come quelli indicati da Eronia: costruire un progetto di sviluppo, qualcosa che somigliasse ad un progetto d’impresa per il Mezzogiorno condiviso dai meridionali,   e dall’intero sistema paese. Andare in piazza (possibilmente non solo quella virtuale…), confrontarsi, discutere.
Quel che davvero non si comprende è la visione, il progetto ‘strategico’ per il Sud, scrive ancora Daniela, e non si può non convenirne. Una visione si cerca, un progetto ci costruisce. Ma molto poco è stato fatto, in questa direzione.
I partiti, compreso quello che accomuna i due litiganti ovvero il premier e il governatore, hanno fatto come gli struzzi non concedendo al Masterplan neppure una liturgica serata in qualche Festa dell’Unità.  Ma non è andata meglio con l’opposizione pentastellata, anche questa rimasta in silenzio.
In provincia di Foggia si è mossa la società civile, ed è il caso di ricordare la bella iniziativa dello scorso mese di dicembre, promossa dalle associazioni Lavoro&Welfare e Capitanata Futura. Troppo poco, per un progetto condiviso, però.
Vi siete chiesti perché Salvini ed i suo i leghisti non hanno fatto una piega quando hanno sentito parlare di Masterplan e dintorni: perché devono essersi resi conto che, quand’anche fosse andato in porto, non avrebbe spostato di una virgola il piatto della bilancia a favore del Sud.
Il problema della riduzione del divario resta così quello di sempre: non si può sperare di affrontarlo limitandosi a spostare qualche rivolo della spesa corrente oppure semplicemente definendo “straordinario” qualcosa che ricade nell’ordinario. La questione meridionale va affrontata invertendo la tendenza: alleggerendo i flussi di spesa pubblica verso le aree più forti del paese, per devolverii verso quelle più deboli e marginali.
Questa è coesione sociale. Il resto è aria fritta. 

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Author: Geppe Inserra

3 thoughts on “L’impossibile Masterplan: il Mezzogiorno è ancora più povero

  1. L’ANSIA DEL PAESE, IL DILEMMA DEL MEZZOGIORNO, L’AUSPICATO RISVEGLIO DELLA CAPITANATA (1)
    Le politiche di Renzi e del suo Governo sembrano o sono incongruenti, ambigue, fumose, motivate più dalla ricerca di visibilità mediatica e dal consenso di poteri forti che dall’adeguatezza e coerenza dei contenuti, ciò è valido in particolare per le decisioni annunciate e maggiormente per quelle adottate in tema di economia e di lavoro.
    L’idea di tanti cittadini e anche mia è di trovarsi a vivere oggi in un Paese in continua fibrillazione, come se esso attraversasse, sì, una nuova fase costituente, ma, nel mentre, ogni sicurezza sociale e ogni valore centrale per le libertà democratiche del Paese diventa motivo di scontro tra e dentro ogni sua componente intermedia.
    Fibrillazioni continue tra poteri dello Stato, relazioni politiche sempre sul filo di lana, debolezza e radicalità delle forze sociali: il sale della democrazia appare spesso come il quadro di una società allo sbando e senza valori di riferimento validi per tutti.
    È naturale? È un bene, un male? Giusto chiederselo con apprensione. Ma giusto anche guardare avanti.
    Non è forse vero che sono in ballo tante cose? Riforme delle nostre Istituzioni, riforme della nostra Costituzione, riforme elettorali, riforme del mercato del lavoro, interventi su questioni ed emergenze ataviche, come la giustizia e i ritardi dello sviluppo al Sud…
    La strategia di Renzi è volutamente frenetica, tale che alla fine per i più sarà fatale accettare anche le ingiustizie sociali contenute nel “pacchetto”, impressionati dalla spinta per il cambiamento e dalla mole di dinamiche che appaiono scomode per le cariatidi della politica che nell’immaginario collettivo le ostacolano per proprie inconfessabili convenienze.
    In questo scenario si è dunque calato anche il Masterplan per il Mezzogiorno. È uno strumento di vero sviluppo? Il tema ispiratore è reale, nessuno può sottovalutarne la pesantezza e la gravità. Perciò non mi paiono utili le sole critiche, i distinguo che non indicano proposte migliori, neanche i tentativi di rialzare la posta giocati sulla roulette del peso personale anziché sul gioco di squadra e su visioni e progetti territoriali condivisi, né tampoco le fughe solitarie di chi ostenta credenziali ed accreditamenti. Insegnino un po’ le decisioni delle altre Regioni che hanno subito voluto entrare nel merito e sul campo da gioco.
    Capitanata Futura di smuovere le acque stagnanti della platea degli attori locali, per lanciare una riflessione e delle proposte di sistema sullo strumento poco prima annunciato. Gli esiti, lo immaginavamo, non potevano essere determinanti, ma sono stati ampiamente accusati e considerati, in più azioni e in tanti contributi ideali.
    Troppo poco? Si, ancora poco. Quindi bisogna insistere perché in Capitanata noi ci viviamo! E vorremmo non sentirci più dire da ALTRI che in questo nostro territorio manca il coraggio e che bisogna svegliarsi, come ha fatto da ultimo il Presidente Emiliano alla Fiera di Foggia!

    1. La penultima frase di questa parte di commento è stata riportata in modo incompleto. La frase completa inizia così :
      Con il confronto pubblico del dicembre scorso, l'unico sul Masterplan fatto in Capitanata, abbiamo tentato come Associazioni Lavoro&Welfare e Capitanata Futura di smuovere… (il resto è riportato già ).

  2. L’ANSIA DEL PAESE, IL DILEMMA DEL MEZZOGIORNO, L’AUSPICATO RISVEGLIO DELLA CAPITANATA (2)
    Dico no all’ostracismo ed al disfattismo verso ogni iniziativa che abbia finalità di sviluppo territoriale. Se non c’è analisi e proposta, non serve a nulla recriminare sulle cose già fatte e su quelle decise nei canoni istituzionali. Anche quelle che possono essersi rivelate errate, fanno parte della storia che un territorio ha il diritto di riconsiderare ma anche il dovere di non cancellare semplicisticamente. Fra l’altro, sono sempre i giudizi superficiali e lapidari quelli che, opponendosi pregiudizialmente, lasciano varchi al pressapochismo ed all’insipienza di una classe dirigente come quella che attualmente, dal Parlamento ai Comuni, sostanzialmente ci rappresenta come territorio.
    Penso che non si possa parlare solo demonizzandolo di un qualsiasi processo industriale regolarmente attivato, che certo, con responsabilità precise, ha prodotto molti danni anche gravi alla salutre ed all’ambiente. Vale per l’ex Enichem, per il Poligrafico, vale per i processi della programmazione negoziata (il Contratto d’Area di Manfredonia ed i 6 Patti Territoriali in Capitanata), ecc. Non credo ci si possa limitare però a decretare solo gli errori o il fallimento di tali processi e non entrare nel merito della (in)capacità di governarli, renderli più sani e virtuosi, tutelando salute e ambiente e facendo rispettare le leggi, della generazione derivata da quegli investimenti, soprattutto pubblici e per diverse centinaia di milioni di euro, di produzioni importanti e di una quantità di reddito che, ad esempio, negli oltre 10 anni di attività variamente sostenuta dalle iniziative aziendali della programmazione negoziata hanno portato in diverse migliaia di famiglie di Capitanata redditi e contributi da lavoro per oltre 1 miliardo di euro…
    Non è con giudizi liquidatori sulla sua storia produttiva che la Capitanata può crescere anche nella cultura del governo del suo territorio!
    Perciò penso si debba guardare a strumenti come il Masterplan come una ulteriore messa alla prova, nei termini possibili e dettati dalla capacità, della classe dirigente e delle Istituzioni della Capitanata.
    Concettualmente esso si predispone ad incentivare idee portanti e settori di interventi assolutamente condivisibili. Ovvio che tra il dire ed il fare c’è di mezzo… la cultura del Governo Renzi e del nostro sistema politico, l’unica democrazia al mondo che continua a praticare nella gestione delle risorse la teoria delle vacche di Mussolini.
    Insomma, ed infine, se tra gli obiettivi previsti dal Masterplan (rilancio e riqualificazione aree industrializzate, bonifiche, agro-alimentare, turismo, attrattori culturali, servizi e logistica, infrastrutture, servizi locali di pubblica utilità) la Capitanata, l’insieme delle sue principali Istituzioni, le imprese, le componenti sociali, si coalizzassero per spendersi su un paio di essi, magari non gli stessi già perseguiti con altri percorsi e, perché no, cercando di crescere nei punti di maggiore debolezza, forse non sarebbe una cosa disdicevole. Ad esempio? Puntiamo a proporci come aggregazione di decine di enti locali nella gestione innovativa ed economica dei servizi pubblici. Cerchiamo di ottenere risorse per rilanciare con attività sane a vocazione territoriale le aree industriali già utilizzate ed ora produttivamente quasi deserte, magari concedendo in uso gratuito ai giovani i capannoni dismessi dalle aziende chiuse. Ci sono sintesi, idee e progettualità migliori e condivise? Se si lo si decida condividendole, insieme e non in ordine sparso. La Capitanata migliora se acquisirà autorevolezza unitaria.

    Salvatore Castrignano

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