Foggia “tra i Borboni e il West” di Guido Piovene

Guido Piovene

Devo all’impareggiabile Tommaso Palermo la segnalazione di una straordinaria chicca che si trova nelle teche della Rai, e che non conoscevo: la puntata sulla Capitanata, del Viaggio in Italia di Guido Piovene, messa in onda dalla radio di Stato, l’8 ottobre del 1956.
Il grande scrittore veneto racconta una Foggia che si trovava al culmine del processo di ricostruzione, dopo gli orrori e le distruzioni provocate dal conflitto bellico, ed una Capitanata che veleggiava verso orizzonti nuovi di sviluppo, grazie alla bonifica ed alla crescita dell’agricoltura.
Viaggio in Italia di Piovene costituisce una prova magistrale di documentario radiofonico, “forma che  – come si legge nel sito di Rai Teche – in quegli anni toccava l’apice nella codificazione della sua dimensione di strumento di comunicazione di massa e che rappresentò, prima dell’affermazione della televisione, uno dei tramiti fondamentali di divulgazione degli eventi attraverso il messaggio verbale e, di conseguenza, di evoluzione della coscienza collettiva degli ascoltatori.”
Lettere Meridiane ha trascritto per gli amici ed i lettori il testo di Piovene ritenuto dai critici “uno dei più bei testi mai scritti per la radio, in cui si mostra tutta la potenza evocativa della prosa di Piovene e la sua capacità di raffigurare con l’icasticità propria dei massimi narratori le impressioni suscitate dai luoghi visitati attraverso immagini e suggestioni di rara efficacia.”
Ecco la prima puntata, in cui Piovene parla di Foggia e del Tavoliere. Buona lettura.

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Foggia negli anni Cinquanta

Quella pianura vasta e di un solo colore, un tempo tutta verde perché tutta pascolo, più tardi tutta gialla perché coltivata a grano, il Tavoliere della Puglia, è con la Sardegna ed alcune zone interne della Sicilia l’unica parte dell’Italia troppo scarsamente abitata. Perché una terra fertile dove qualsiasi coltura risulta possibile, fu in certi periodi storici abbandonata da molti suoi uomini?
Il cosiddetto regime di Tavoliere, voluto dai Borboni, che si protrasse fino al 1865, con il breve intervallo di Gioacchino Murat, proibiva le coltivazioni per riservare il pascolo a beneficio dell’erario. Il Tavoliere era il maggiore sbocco dei greggi che scendevano sui tratturi, attraverso il Fortore, dalle montagne molisane ed abruzzesi. Le cronache ci parlano di quell’immensa landa verde in cui si protrasse, fino a meno di un secolo fa, la vita senza data della pastorizia. Decine di migliaia di animali vi pascolavano: pecore, capre, vacche, cavalli e bufali, era il West italiano.
Anche Foggia mescolava, nell’aspetto e negli usi, i caratteri di una cittadina del Texas, e quelli di una cittadina borbonica. Capitale del regno più vasto del bestiame nomade, era anche il maggiore mercato della lana grezza. Tenuto a bella posta incolto, con abitanti fissi sempre più rari, il Tavoliere decadeva quasi a paga selvaggia. Le acque impaludavano vasti tratti di terra. I venti di mare spingevano verso l’interno i miasmi delle paludi. Gli alberi furono distrutti.
In provincia di Foggia il feroce disboscamento ha lasciato soltanto un’isola, la Foresta Umbra nel Gargano.
La legge del 1865 abolì il regime di pascolo, ma provocò la nascita del latifondo.  La bella pianura fu riservata ad una sola coltura, la coltura del grano, che non esigeva né grandi capitali, né strade, né un’abbondante manodopera stabile. Dall’uniforme color verde dell’epoca pastorale, la pianura passò all’uniforme color giallo dell’epoca cerealicola. La siccità la rendeva inadatta a colture più ricche. E l’emorragia demografica continuò in tutto il primo quarto del secolo. Alcuni villaggi della provincia si sdoppiarono, riproducendosi per l’emigrazione oltre oceano, e soprattutto in California. La rinascita vera del Tavoliere esigeva perciò una bonifica a fondo. Il Consorzio formato nel 1933 costruì case e borgate, ma solo in alcune zone. Una bonifica più integrale ed organica, iniziata nel secondo dopoguerra, è ora in corso con grandi mezzi.
Foggia era stata pressoché distrutta dai bombardamenti aerei che vi fecero 18.000 morti. La sua ricostruzione fu spettacolare. Nonostante la decimazione, gli abitanti salirono dai 62.000 censiti nel 1936, a 116.000, quasi il doppio, parte per l’emigrazione dalla provincia, parte da altre regioni, e perfino dal Nord. Tra l’altro, Foggia è uno dei centri ferroviari e stradali più importanti d’Italia, circa 60 autolinee vi fanno capo. Se non lo sviluppo industriale, quello commerciale fu enorme elevando il tenore di vita: più catture, più vino, più dolci, più telefoni, più energie elettrica. Inoltre, Foggia è al centro dell’opera di bonifica, La sua ambizione di diventare uno dei perni della vita meridionale e di competere con Bari, è palese. Certo, ha uno slancio più forte di qualsiasi altra città della Puglia. Perciò Foggia ci appare oggi una città interamente moderna, o meglio una città in cui il moderno, che occupa la facciata, trascina i resti anonimi di una vecchiaia decaduta. L’attrattiva maggiore è nel suo disegno spazioso di grande città in embrione, nelle strade del centro, ampie e ben arieggiate,  nell’acqua squisita, nel vento fresco. Vi sono palazzi, negozi appariscenti, per esempio, di frigidaire e di biancheria fine , anche se per la strada si incontra ancora l’asino e il mulo. Vista sotto tale scorcio, la città dà l’impressione della ricchezza, ma addentrandosi dentro i suoi quartieri, ecco le case ad un solo piano, di genere coloniale. Più che crescere gradatamente il moderno sembra essere esploso, sovrapponendosi in modo vistoso alla vecchia anima meridionale, abitudinaria, guardinga.  Si direbbe che la casa cambi più rapidamente degli animi e delle usanze. Forse un emblema del Sud, nella fase attuale, si scorge in certi interni, grigi ed affollati, dove talvolta, quasi nello squallore, spicca la macchia bianca di un frigidaire lussuoso. Ma impressiona lo sviluppo fisico della città, la cadenza della  trasformazione, la rapidità della corsa.

Foggia negli anni Cinquanta

La provincia di Foggia è prevalentemente agricola. L’industria più importante è una cartiera, di proprietà dello Stato, con una buona produzione di cellulosa. Vi sono industrie alimentari, mulini e pastifici.  La centrale del latte e lo stabilimento per sgranare il cotone sono sorti nel dopoguerra. Tra le risorse più importanti, bisogna citarne almeno due: il sale delle saline di Margherita di Savoia, raccolto ma non lavorato in loco, e la miniera di bauxite preso San Giovanni Rotondo l’unica in Italia che fornisce 270.000 tonnellate di alluminio all’anno. Si ritiene che nel Gargano vi siano altri giacimenti di bauxite. Piccole industrie specie della pelle e del cuoio, potrebbero attecchire. Un notevole guadagno connesso con lo sviluppo della bonifica si avrà dall’apertura della centrale ortofrutticola.
In questa grande plaga agricola, fino ad oggi, infatti, è mancato  il modo di conservare frutti ed ortaggi. Così che si è dovuto vinificare con l’uva pregiata da tavola perché non si avevano i mezzi per conservarla fresca.  Si arrivava all’assurdo che pere,  pesche ed albicocche prodotte nel Foggiano erano conservate nei frigoriferi delle città del Nord, Milano, Verona, Bologna; lo stesso per gli agrumi, che maturano tardi, in Puglia, quando sono finiti quelli siciliani.
(1. continua)

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Author: Geppe Inserra

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