Rauzino rilancia: petizione per chiedere l’esproprio di Kalena

Teresa Maria Rauzino, indomita presidente del Centro Studi Martella rilancia, e pubblica on line una petizione per chiedere l’immediato esproprio dell’Abbazia di Kalena, la più antica del Gargano che per una incredibile e drammatica serie di circostanze è di proprietà di privati che non ne garantiscono però la tutela in quanto bene culturale di eccezionale valore.
L’iniziativa è sostenuta dall’Arcivescovo di Lecce, mons. Domenico D’Ambrosio, originario del Gargano, che una volta ebbe a dire: “Se non fossi un sacerdote, occuperei l’Abbazia”.
Kalena è uno dei beni culturali più importanti della Puglia ma, incredibilmente, la Sovrintendenza ai Beni Culturali se ne disinteressa. Come si legge nel testo della petizione, Pietro Giannone fa risalire la fondazione dell”abbazia all’872, ma Santa Maria di Kàlena pare sia ‘figlia’ di una comunità basiliana approdata da queste parti dall’area greco-turca. Ben presto l’abbazia venne fortificata a difesa e baluardo contro le numerose invasioni, e assunse il ruolo di centro spirituale e materiale, controllando territori sempre più estesi. Nel 1023 il Vescovo di Siponto la assegnò come pertinenza all’ Abbazia di Santa Maria di Tremiti, dalla quale si svincolò, anche se provvisoriamente, riguadagnando la sua indipendenza. Nel tempo i suoi beni si estesero ben oltre l’area garganica: nel 1420, possedeva trenta chiese, con relativi possedimenti di estesi territori coltivati, un numero imprecisato di molini, case, oliveti, ai quali si aggiungeva il diritto sul pescato del lago di Varano oltre ai diritti feudali sulla città di Peschici. 

Dal momento della presa in consegna da parte dei privati, l’abbazia si è avviata verso un triste, inesorabile declino, e il rischio è in costante aumento, visto che le piogge e le intemperie minacciano quotidianamente l’integrità dell’immobile. Questa situazione di degrado e di oltraggio alla memoria ha raggiunto l’apice quando Kalena è stata trasformata in set durante le riprese dello sceneggiato televisivo “Questo è il mio paese”, ospitando una sequenza poliziottesca, in cui veniva usata come stazzo per le pecore
Nello scorso mese di gennaio, l’Arcivescovo D’Ambrosio ha sollecitato l’intervento del Ministro della Cultura, Dario Franceschini, ma finora nulla si è mosso.

L’abbazia e le due chiese, – dice le petizione – un tempo luogo di culto di grande interesse storico-culturale, testimonianze irripetibili dello “spirito dei luoghi”, oggi  versano in uno stato di indicibile abbandono. I tetti, ormai inesistenti, mettono in evidenza capitelli ed affreschi che  le intemperie e l’umidità stanno cancellando lentamente, parti preziose in irreversibile disfacimento.
Dopo 17 anni di innumerevoli tentativi di accordo andati a vuoto, e di cospicui finanziamenti ministeriali e regionali stanziati e immancabilmente perduti, l’esproprio è ormai l’unica strada percorribile con un progetto di pubblico utilizzo che allontani programmi speculativi da parte dei possessori (un progetto di relais o “dimora di charme” con 6 suite a cinque stelle, campo da golf, centro benessere, etc, azzeramento del valore religioso e storico delle due chiese segnalate dagli storici dell’arte di tutto il mondo, da trasformare in reception e sala convegni).
L’intero complesso dell’abbazia di Kàlena deve tornare alla collettività di Peschici e degli innumerevoli “cittadini del mondo” che la scelgono ogni anno come “luogo del cuore” o semplicemente per  trascorrere le loro vacanze e trovano le porte di Kàlena sempre chiuse! L’apertura è infatti concessa soltanto per un giorno all’anno (l’8 settembre)!
Kàlena deve entrare nella politica di recupero e di valorizzazione del patrimonio storico-culturale italiano ed europeo, oltre che della Puglia e del Parco Nazionale del Gargano, per tornare a far parte di quel ” libro aperto”  su cui si possa ancora continuare a leggere la nostra storia. 

Per sottoscrivere la petizione (mancano ancora un migliaio di firme per raggiungere l’obiettivo previsto) cliccate qui. E invitate i vostri amici a fare altrettanto.

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Author: Geppe Inserra

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