La suicida del Gargano, uno struggente racconto di Antonio Fazzini

A conferma dell’attenzione che nel Regno delle Due Sicilie veniva riservata dalla capitale Napoli alla Capitanata, ci sono i frequenti articoli o racconti che lo splendido periodico Poliorama Pittoresco dedicava alle città e ai paesi della terra dauna.
In precedenti Lettere Meridiane abbiamo pubblicato il bel poemetto di  Giuseppe Libetta sull’origine del Santuario della Madonna di Loreto di Peschici (Da Peschici, una struggente storia di solidarietà, integrazione e tolleranza) e il reportage su Lucera dell’illustre Pasquale Stanislao Mancini (Lucera città delle memorie).
Oggi tocca ad un’altra storia garganica, cupa e struggente come s’usava nell’Ottocento. Memorabile la descrizione iniziale della notte garganica, interrotta dal canto del nocchiero che racconta la vicenda della bella e sfortunata donna, suicida per amore. Un racconto che esprime con rara coerenza ed efficacia certi stilemi romantici ed ottocenteschi.
Ne è autore Antonio Fazzini, letterato viestano come il suo più famoso zio, l’abate Lorenzo Fazzini, filosofo e scienziato, cui come vedremo in un prossimo futuro, lo stesso Poliorama Pittoresco dedicò alcuni scritti.
Anche il disegno è firmato da un nome illustre: Filippo Molino, pittore e disegnatore originario di Vasto, che si ritagliò una buona fama nello straordinario fiorire di artisti nella Napoli della prima metà dell’Ottocento.
Di seguito la prima puntata del racconto di Antonio Fazzini. Buona lettura.
LA SUICIDA DEL GARGANO
( Racconto del mio nocchiero.)
Già il sole erasi nascoso dietro le montagne di Molise accompagnato da nuvole rubiconde che gli facevano corteggio al suo ritiro. La monotona campana di Manfredonia batteva i melanconici tocchi dell’Ave alla Vergine Santa, e il suono propagavasene sulla pianura come quello d’un coro di civette cantanti la nenia all’agonia del moribondo. In quell’ora noi salpammo dal porto della città tanto diletta al gentile re Manfredi, dirigendoci alla volta di Vieste.
La immagine e il desìo del mio paese tornavanmi innanzi all’anima come quello del primo amore. Ma i miei pensieri erano intanto lusingati dolcemente dal magnifico spettacolo che presenta nella notte l’Italia, la quale simile a una ritrosa fanciulla pare non isvelar tutte le sue maggiori bellezze che nel tempo delle ombre. Regnava dappertutto un silenzio che invitava a dolci pensieri nella stagione d’Autunno, in una sera rischiarata dalla luna, sul mare, sotto al cielo Italiano.

Niuno maggior diletto per un giovine innamorato che ascoltare il gemito dell’onda intoppar nella carena, il battito del vento nelle vele, il monotono e continuo stridìo dei grilli, che sentivansì negli oliveti della terra ancora vicina; e vedere la luna sorgere dalle opposte sponde della Dalmazia ampia serena, come l’allacciarsi della speranza, e illuminare d’una luce argentina la superficie delle acque, e i viaggi silenziosi delle stelle, e le grigie marmoree rocce del promontorio Gargano, che parevano bianchi spettri uscenti delle onde.
…… Passeggier, che vai
D’Adria solcando le pacifiche onde,
Ora un’ombra verrà spargendo lai
Sopra il Ciel, sopra il mare e sulle sponde.
Quando la notte sul pelago piomba
Riede la mesta a riveder sua tomba.
Là su quel monte che s’ inalza al cielo
Siede un castello che sull’onde impera;
Ivi dorme sepolto il mortai velo
Di questa che fra noi un Angiol era.
Nacque d’un Castellan, d’esto paese;
Per amor la crudel sè stessa offese. —
La sua tomba la romita
Vien di notte a visitare,
Come nebbia sopra il mare
Cinta vanne in bianco vel.
Per quell’ombra sconsolata
Deh! sciogliamo in sulla sera
Questa unanime preghiera,
Che raccolga Dio nel Ciel.
Questa monotona melanconica cantilena del timoniere , il solo che vegliasse di quella ciurma, accresceva per me l’incanto di una sera di paradiso. Sui monti nelle valli per mare per terra io sentii le più patetiche e commoventi storie sempre nella bocca del popolo. Però non potei contenermi dal richiedere il vecchio nocchiero di narrare la storia ch’era il subbietto della sua cantilena. 
« Volentieri , Signore , egli mi disse , se volete piangere e angosciarvi.»
Assicuratolo che nella notte ne’ miei pensieri e nella terra Italiana non v’era più tenero racconto delle sventure d’una misera, egli cosi fecesi a narrare: 
« Signore , vedete lì sulla vetta di quel monte altissimo sedente a cavaliere sulle acque , e sul quale ora si posa la luna , ergersi un castello diruto abbandonato che minaccia rovinar giù; ivi è il sepolcro d’una giovane Signora, che fu in vita l’amore di tutto il paese, ed ora morta n’è il pianto, poiché forse ella è preda delle fiamme d’inferno. Ella era unica figlia del Bar ne di quel paesello , che voi vedete giacer sul lido in anfiteatro appiè de’ monti. Fin dai teneri suoi anni la bella Angelina, chè tal’era il nome di lei, pareva un vero esemplare di bellezza di virtù di costume ; era il sostegno dei poverelli degli orfani delle vedove. Oh fortunata se mai non avesse conosciuto amore ! In quell’età che il nostro cuore privo d’amore è come una colomba abbandonata dal compagno ella fu presa d’un giovane valoroso e gentile del nostro paese , l’avvenente Arrigo , che le voleva bene ancora quanto la vita. Ma questi era povero dei doni della fortuna , i ricchi disdegnano collegarsi alla virtù tapina, Il Barone, padre della fanciulla , che Dio se l’ abbia in pace , era un Signore burbero austero superbo anziché no del suo nascimento ; talché avendo scorto gli amori dei poveri giovani , udivasi dire che avrebbe voluto mille volte spenta la figlia e non isposarla a un suo vasallo. Sovente minacciavala che se non cacciavasi del capo quell’Arrigo avriala rinserrata nel silenzio d’un monistero. 
Ma l’ amore cresceva in lei in mezzo ai tormenti , e le sevizie. La tenera melanconica e diserta Angelina traeva i giorni prostrata appiè della tomba materna sulla quale una croce stendeva le sue braccia proteggitrìci , e là invocava dagli uomini e dal Cielo fossero men crudeli al suo amore. Il padre a quei giorni die nelle furie, udendola non volere ire a marito a un Signore d’ una terra vicina , il quale , struggendosi dell’ amore di Angelina , pressava il Barone a darlaci in isposa. Ma la povera fanciulla come poteva dimenticare Arrigo ? — Aggiungevasi che quel Signore aveva una rinomanza atroce in fatto di marito , correndo una voce sorda cheta sospettosa fra i suoi tirrazzani , ch’egli per cagione di gelosia non provata ed ingiusta aveva legato al collo della prima moglie un macigno , e tuffatala d’ una rupe nelle acque. Immaginate se le donzelle tremavano impallidivano al solo sentirne il nome. 
Passavano così i giorni di quei due nelle incerte speranze dell’ amore. Il Barone a quel tempo chiamato dalle trombe del Re avevalo accompagnato nelle guerre d’ Italia. Avete a sapere che le nostre contrade erano spesso spesso onorate da quei cani dei barbareschi , e non sarebbe stato niente che ci furavano le mandrie devastavano i campi mettevano in fiamme le capanne e’ villaggi , ma ci portavano via ancora le mogli i figli i fratelli e’ padri. Gli spietati li trascinavano in Barberia, ove li malmenavano battevano facevano lavorare come bestie da soma , e poi quando li vedevano stanchi di fatiche per ogni minima mancanza li appendevano morti ad un palo in sulla piazza.
Antonio Fazzini
1.continua

Views: 48

Author: Geppe Inserra

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *