Agroindustria settore ancora strategico per la Capitanata

di Franco Antonucci
Animatore della rete Pro Capitanata
Da qualche giorno in televisione è stato recepito un diffuso allarme sul tema della garanzia, oggi sempre più indistinta, sui prodotti alimentari che noi tutti italiani consumiamo. Soprattutto nei confronti dei nostri “Prodotti di qualità”, che sono uno degli elementi di spicco della nostra economia, ma anche della nostra cultura mediterranea ed italiana in particolare.
Un allarme che arriva dopo le notizie di prodotti agricoli, e loro trasformati, che provengono da varie realtà extra-nazionali. Anche molto più lontane dall’Europa.
Si è presunto che il pericolo derivi anche in parte da una insufficienza produttiva interna dello stesso settore agricolo nazionale e della ancora più carente produzione di trasformazione agricola primaria. Ma si sospetta, al tempo stesso, anche una nuova prepotenza (anche europea) nel voler allargare il mercato a dismisura (il globale non sostenibile), verso prodotti agricoli comunitari ed extra-comunitari, senza imporre gli stessi parametri di qualità italiani. Ovvero favorire Paesi europei emergenti a scapito di tradizioni più consolidate. Ovvero di imporre supremazie commerciali già forti, per l’ulteriore rafforzamento di alcune egemonie.
Come ha detto un giornalista qualche giorno fa in televisione (Red Ronnie), la peculiarità italiana è soprattutto quella alimentare assieme quella del Paesaggio (al cui interno è compresa la storia dell’Arte e dell’Architettura). Con la considerazione aggiuntivo che il Paesaggio, soprattutto nelle nostre parti, contiene l’Agricoltura, ovvero che quest’ultima genera il primo.
L’innesto industriale, in Italia e soprattutto nel Meridione, in effetti, è ed è stato una necessità storica di allineamento alla civiltà mondiale moderna degli ultimi due secoli.
Salvo che l’Italia, forse, non ha poi saputo dare prevalenza netta, fin dall’inizio, alla continuità delle filiere produttive in genere verso una loro più congeniale connessione con le sue caratteristiche vocazionali essenziali.
Tale discorso è assolutamente preminente nel caso specifico della filiera sia della produzione agricola diretta e sia della trasformazione agricola indiretta, in un Paese dove l’alimentazione e la culinaria tipica è un’eccellenza indiscutibile.

Stesso discorso è possibile trasferire, con ovvia riduzione di scala, al territorio agricolo e paesaggistico della Capitanata. Con qualche differenza, che non è riduttiva, ma, al contrario, maggiormente distintiva per il maggior pregio ed eccellenza. La Capitanata è stata talvolta definita la “Food valley” italiana e oltre.
La Capitanata è prepotentemente considerata un territorio agricolo essenziale, con un contorno di Paesaggio (o viceversa o in parallelo perfetto), che da complementare diventa, poi, un primo attore a pari diritto. Una relazione reciproca di moltiplicazione degli effetti.
Con una caratteristica aggiuntiva di una posizione “logistica strategica” di primo piano, a supporto ulteriore e speciale, proprio rispetto alle due stesse vocazioni agricole e paesaggistiche principali. Talmente forte (ancora in nuce) da potersi quasi autodefinire, anch’essa, come un nuovo capitolo vocazionale a se’.
Eppure il settore agricolo, per suo specifico conto, non è ancora riuscito a caratterizzarsi nell’ambito di una continuità, teoricamente ovvia, con il settore specifico dell’AGROINDUSTRIALE, rimettendo ad altre capacità produttive esterne alla stessa Capitanata il valore aggiunto della trasformazione dei nostri prodotti agricoli. Non so se in tal senso la battaglia della trasformazione in loco del pomodoro di Capitanata è stata definitivamente vinta.
Queste considerazioni rappresentano un necessità per rivedere, al più presto possibile, il “modello industriale” globale della Capitanata, con specifico riferimento al settore agricolo nel suo insieme. Che dovrebbe essere, per quanto detto, totalmente capovolto e rimodulato sulla AGROINDUSTRIA principe di Capitanata.
Occorre, quindi, una parallela e contestuale moderazione ragionata (non escludente ovviamente) nei riguardi di un perseverante modello localizzativo del settore Industriale manifatturiero generico. La Capitanata deve uscire dalla propria condizione “di povero”, che accetta qualsiasi regalo localizzativo produttivo-industriale (?) le venga fatto. Deve imparare a scegliere.
La sua nuova Industria generica a tutto spiano deve, così, essere (ri)meditata e (ri)selezionata con metodi di pianificata intelligenza (un nuovo Piano di sviluppo industriale di Capitanata, non solo come capacità insediativa netta, indifferenziata, ma anche come individuazione di una diversa e nuova qualità settoriale industriale). Compatibile con le caratteristiche territoriali, in tal caso generalmente intese.
Deve essere abbandonato definitivamente il concetto della localizzazione dall’alto di specifici ed inappropriati settori industriali estranei ed inadeguati alla Capitanata. Da lungo e storico tempo considerato come un “territorio di periferia”, dove “confinare” settori industriali non desiderati altrove. E non solo in termini di insediamenti industriali inquinanti (esempio eclatante l’ENICHEM di Manfredonia Monte Sant’Angelo).
L’ultimo caso è quello del Contratto d’Area, a supporto dello stesso inconveniente ENICHEM. Il quale ultimo ha dimostrato che la delocalizzazione industriale nord-sud deve essere non solo conveniente alla “provenienza”, ma anche (anzi soprattutto per reciproco interesse) al territorio ospitante.
Allora occorre una nuova attenzione e pianificazione per una ancora inedita AGROINDUSTRIA di Capitanata, come “priorità assoluta”, sempre affermata ma mai perseguita. Un specie di “passaparola”, o, addirittura, una “parola d’ordine” per ogni nuova azione insediativa industriale territoriale, a scala puntuale e vasta al tempo stesso. 
Sarei tentato di suggerire un immediato impegno per sub-Piano strategico AGROINDUSTRIALE di Capitanata. Rimettendo mano processuale al “Piano strategico globale di Capitanata” di qualche anno fa.
Con la specifica convergenza di “Bandi”, “Bonus” ed altro, per la localizzazione privilegiata di Aziende agroindustriali nelle nostre Aree industriali esistenti (ASI e altre Aree industriali di particolare rilevanza territoriale) (ASI Incoronata in primo piano). Mettendo in risalto la stessa peculiarità delle stesse Aree, altrimenti ridotte a comparti ibridi, che sembrano assumere, da questa particolare condizione di misto indistinto, un loro colore “grigio” complessivo. Una specie di limbo misto. 
Non solo prodotti agricoli a kilometro zero, ma anche loro trasformazioni industriali a stesso chilometro zero. Per la Capitanata e (perché no?) per la stessa vastità del contesto nazionale reintegrato.

Eustacchiofranco Antonucci. 28-04-2016
[La foto che illustra il post, intitolata Panorama della campagna intorno a Troia, dotata di Creative Commons License, è di Donato Grisa]

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Author: Geppe Inserra

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