Io lo sapevo, Marco

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Il 5 giugno 1999, la sera che cacciarono dal Giro Marco Pantani è stata sportivamente parlando la peggiore della mia vita, pari solo a quelle del 25 maggio 1967 (Inter-Celtic, 1-2) e del 5 maggio 2002 (Lazio-Inter, 4-2). Che volete, da interista ho una certa esperienza di serate da incubo…
Oggi che si è finalmente saputo che l’avevano soltanto fregato, provo una strana sensazione, più rabbia ed amarezza che non gioia, ed un groppo alla gola che non vuole andarsene.
Io lo sapevo, l’ho sempre saputo, che il Pirata non c’entrava niente. Lo sapevo perché ero andato a guardarlo ed ammirarlo qualche giorno prima, il 20 maggio, quando la carovana era arrivata a Foggia proveniente da Lauria.
Da supertifoso avevo pianificato le cose in modo che potessi vederlo almeno due volte. Se siete tifosi di ciclismo sapete bene di che parlo, conoscete come me l’impareggiabile soddisfazione di vedere il campione, il mito, di aspettarlo per ore, soltanto per quell’attimo lì, figurati la gioia se di attimi puoi averne due…
Mi ero appostato all’incrocio  di via degli Aviatori per guardarlo passare la prima volta: arrivò come può arrivare un re, preannunciato dalle telecamere Rai sull’elicottero che gli ronzava sopra per seguire lui, che la maglia del primato ancora non ce l’aveva. Ma era il suo Giro. Passò rapido, circondato dai  gregari: era stata una tappa ventosa e l’avevano protetto per evitare cadute o strappi dal gruppo.
L’arrivo quel giorno era posto a corso Roma, che i corridori dovevano raggiungere attraversando  viale Michelangelo e poi via Bari. Avevo calcolato che correndo forse avrei potuto farcela, e così fu. Lo vidi ancora una volta dopo che aveva tagliato il traguardo, incrociandolo mentre correvo a perdifiato per non perdermi lo spettacolo.
Non ricordo se gli dissi qualcosa e che cosa, ma credetemi, avevo corso proprio tanto: i nostri sguardi si incontrarono per un momento, e amo pensare che sul suo volto lessi un sorriso. Però vidi nel suo una serenità infinita, una composta ma inesorabile consapevolezza di forza. Altro che doping. Sapeva e sapevo che sulle Alpi non l’avrebbe fermato nessuno.
Ci è riuscita la camorra, ed eccoli qui a pontificare come allora.
Nessuno dice che quel giorno a Madonna di Campiglio, Marco non ha perso soltanto la maglia rosa, ma ha cominciato a camminare su quel bilico pericoloso che l’ha poi portato dove sappiamo, dove non avrebbe dovuto.
Anche allora, tutti salirono in cattedra a pontificare e a puntargli il dito contro, soprattutto i perfettini-che-sanno-sempre-tutto. Troppo presi dal grigiore del vivere quotidiano, lor signori non avevano mai osservato che come si alzava lui sui pedali, nessuno m’hai l’ha fatto, forse nessuno mai riuscirà più a farlo.
Vorrei che più che restituirgli una maglia rosa che non ha più senso, gli chiedano semplicemente scusa. E vorrei che finisse questo groppo alla gola che mi prende, ogni volta che ripenso a Marco…

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Author: Geppe Inserra

1 thought on “Io lo sapevo, Marco

  1. Bella la tua ricostruzione, Geppe, nella quale mi sono rivisto un po' anch'io.
    Ma gli italiani, si sa, sono un po' così: non hanno cultura sportiva. In questo sono un po' ultras: se vinci tre partite sei la squadra migliore del mondo, se ne perdi tre sei da linciare…
    Pantani, però, era riuscito a unificare, nel tempo ciclistico che visse, gran parte degli italiani e gli indici d'ascolto dei Giri d'Italia – quando c'era una tappa che l'avrebbe visto protagonista – schizzavano alle stelle.
    Comprendo bene cosa hai provato in quei frangenti e hai fatto bene a restituirci questa pagina foggiana, già un po' sbiadita, di uno sport sempre grande capace – come pochi altri – di trasformare in eroi anche degli anonimi protagonisti di pomeriggi freddi e nebbiosi, capaci di macinare chilometri su vette impossibili, impavidi e silenziosi.
    Il caso Pantani, con le tue belle parole, mi ha ricordato Pasolini il quale sapeva chi era il colpevole, ma non si poteva dimostrarlo. Ma sapere che la Camorra SpA è riuscita a insinuarsi fino a distruggere un uomo forte, coraggioso e buono come Marco mi ferisce tanto, da impedirmi di trovare le parole giuste.
    Cordialmente (Maurizio De Tullio)

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