Foggia senza memoria: il tesoro perduto dei Cappuccini

Rappresenta un pezzo fondamentale della storia foggiana, ma i foggiani non lo conoscono. E sono tante le responsabilità della progressiva rimozione dalla memoria collettiva della città della Chiesa , del Convento dei Cappuccini e dei prodigiosi eventi che in esso si sono verificati, a cominciare dalla prima apparizione della Madonna dei Sette Veli, il 22 marzo 1731.

Una dolorosa conferma a questa sensazione è arrivata dai commenti alla fotografia dei ruderi del convento, incorporati nel perimetro del Parco dell’Iconavetere che ho pubblicato qualche giorno fa, ad illustrazione della lettera meridiana Foggia senza memoria è Foggia senza identità. Alcuni lettori non sapevano neanche dove si trovassero, quei ruderi, altri conoscevano la zona, ma ignoravano il loro rapporto con quella “chiesa all’aperto”. 
La storia amara del Convento dei Cappuccini è, del resto, quanto mai emblematica della difficoltà che la città ha sempre incontrato quando si è trattato di conservare la memoria. 
Come dimostra lo splendido disegno di Mario Soro, tratto da Foggia Sacra del canonico Michele Di Gioia, si trattava di una bella costruzione che sorgeva lungo il tratturo, fuori dall’abitato cittadino, verso San Severo. 
La ricostruzione di Soro (che potete scaricare in alta risoluzione cliccando qui) è stata elaborata sulla base della rappresentazione del Convento che è possibile vedere in diverse carte della Dogana delle Pecore, nonché nelle più antiche mappe cittadine, come quella del Crivelli.
La mappa del Crivelli
I Cappuccini giunsero a Foggia nel 1579, grazie a due benefattori, Nicola Zuccaro e sua moglie, Rosa Del Vento, che non avendo eredi, ottenuto il beneplacito del Vescovo di Troia (da cui allora dipendeva il territorio foggiano) finanziarono la costruzione di un piccolo convento, che venne successivamente ampliato, fino ad avere 33 celle, una infermeria ed un lanificio. Annesso al convento c’era un orto.
L’immobile sorse a fianco alla piccola chiesa della Madonna delle Grazie che, contemporaneamente alla costruzione del convento, venne ampliata grazie alle oblazioni degli Abruzzesi proprietari degli armenti che venivano a svernare nel Tavoliere. Venne consacrata nel 1618, con il titolo di Santa Maria Costantinopoli, ed anche questo rapporto con la transumanza conferma l’importanza del posto nella storia della città.

Contribuì all’ampliamento del tempio anche un facoltoso foggiano, Giuseppe Celentano, che fece costruire, a sue spese, una cappella gentilizia di notevole bellezza: l’interno era adornato dalla volta e le lunette affrescate da Domenico Preste e da una pala raffigurante la Madonna dell’Addolorata dipinta da Francesco Solimena
Una rara foto della Cappella Celentano
Di notevole pregio anche l’altare di marmo, con preziosi intagli e altre immagini dedicate all’apparizione dell’Iconavetere, a San Francesco d’Assisi e San Francesco da Geronimo.
Basta la descrizione della cappella Celentano per capire cos’abbiano perduto la chiesa e la città di Foggia. 
La storia della Madonna dei Sette Veli si è spesso intrecciata con quella del Convento. L’Iconavetere veniva portata in processione al Convento in occasione di particolari calamità, come la grave siccità che colpì  il Tavoliere nel 1668. In questa occasione, venne eseguita la prima ricognizione della Sacra Icona. 
Le apparizioni ebbero luogo, invece, nel 1731: l’Iconavetere era stata portata presso il Convento perché la Cattedrale era stata parzialmente distrutta dal terremoto e nella cappella dei Celentano, la Madonna rivelò il suo volto ai foggiani. Altre apparizioni sarebbero avvenute successivamente, a conferma di una predilezione della Vergine verso questo luogo sacro, purtroppo non ricambiata dagli uomini.
I primi guai cominciarono nel 1809, con la legge di soppressione degli Ordini Religiosi che comportò la chiusura dei ben 29 conventi della Provincia monastica. Nove anni dopo, i Cappuccini tornarono a Foggia, grazie al Concordato firmato dal Re di Napoli Ferdinando I e dal Papa Pio VII. Ma il peggio doveva ancora arrivare.
Il sito com’è attualmente, con i ruderi che si intravedono sotto l’arena
Dopo l’Unità d’Italia venne approvata un’altra soppressione, nel 1866. I frati furono cacciati dal convento e i beni confiscati, compresa la preziosa biblioteca, i cui volumi andarono ad arricchire quella comunale (successivamente divenuta provinciale).
“La legge per la soppressione – annota don Michele Di Gioia – fu applicata in tutto i suo rigore da quelli che governavano in quel tempo: liberali accesi, massoni sfegatati e popolaccio sfrenato. Non si conobbe né gentilezza d’animo, né generosità, si procedette nell’opera vandalica senza alcun ritegno”.
Il convento venne adibito a caserma per i militari, la chiesa venne addirittura trasformata in stalla. Si salvò dalla confisca la Cappella Celentano, cui venne riconosciuto lo status di proprietà privata, ma ciò non fu purtroppo sufficiente a salvarla dalle ingiurie del tempo. Abbandonata a se stessa, anche la Cappella andò incontro ad un penoso degrado.
L’esilio dei Cappuccini da Foggia durò sedici anni. Tornarono nel 1882 quando, con i risparmi dell’ordine e le offerte dei fedeli acquistarono una casa, con l’intenzione di costruirvi vicino una chiesa. La scelta cadde su un sito poco distante, alla periferia della città: fu così che nacque Sant’Anna.
E il vecchio convento? L’insediamento originario che tanta parte aveva avuto nella storia della Città rimase per molti decenni nelle mani dello Stato. Soltanto nel dopo guerra, negli anni 50 del secolo scorso, grazie all’impegno personale del vescovo di allora, Mons. Farina, che auspicava il recupero dell’intero complesso, i Cappuccini tornarono in possesso dell’immobile, ormai cadente.
Purtroppo, il desiderio di mons. Farina non si avverò.

Come mi ha opportunamente segnalato Tommaso Palermo (che ringrazio) proprio Mario Soro, l’autore della bella illustrazione che ci consente di farci un’idea della bellezza del luogo, raccontando su “Nuovo Risveglio” (anno VI, nuova serie, n.6, 20 giugno 1980) la storia del complesso ebbe a scrivere:

”vi fu ancora un segno di speranza per la sua rinascita nel 1952, quando i padri Cappuccini ritornati in possesso dei vecchi stabili, per un momento pensarono di restaurare il convento e di inglobarlo in un complesso di più grandi dimensioni, comprendente fra l’altro una nuova chiesa. Purtroppo, nonostante fosse stato redatto ed approvato un apposito progetto, esso non ebbe attuazione pratica, poiché per esigenze di culto si ritenne più opportuno trasferire ogni iniziativa nella nuova, zona d’espansione della città, ove appunto, in via Lecce, furono costruiti dal 1954 al 1962 il convento e chiesa dell’Immacolata. Questa realizzazione segnò la fine del vecchio complesso di via Cappuccini che invece poteva e doveva essere salvato ad ogni costo, non fosse altro perché costituiva un monumento importante per Ia storia sacra e civile della nostra città”.

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Author: Geppe Inserra

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