Anche le parole sono monumenti

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Sono da tempo persuaso che le storie siano la parte più importante – e spesso meno conosciuta, nonché più urgentemente da tutelare e tramandare – della cultura immateriale di una comunità. 

Le parole sono le pietre d’angolo di una civiltà. Parole come monumenti, fiabe e novelle che hanno lo stesso valore di vasi e capitelli.
E’ una convinzione, che condivido con Giuseppe De Cato, fine scrittore e divulgatore del genius loci, soprattutto quello che si riferisce al Gargano ed alla sua Sannicandro. A far radicare in me questa consapevolezza, è stato proprio il buon Peppino, con cui eravamo amici dai tempi della collaborazione al quotidiano Puglia, una sera del lontano 1997, quando mi invitò a Sannicandro per presentargli il libro Paràul‘. Una bella raccolta di fiabe garganiche, impreziosita dai disegni di Nazario Bizzarri.
Paràul sta per parole e parabole: parole che diventano storie esemplari, storie che diventano testimonianze imperiture del modo di vivere di una comunità e di trasmettere la propria identità e la propria cultura profonda, di generazione in generazione.
Da tempo con Peppino De Cato vagheggiavamo l’idea di un archivio digitale che raccogliesse le tante storie di cui è ricca la nostra Capitanata  e li tramandasse attraverso le moderne tecnologie fornite dalla rete.
Il momento è arrivato, e non possiamo che cominciare proprio da Paràul con la storia di Trick e Tr’bb’nal’, che è tornata in questi giorni tristemente d’attualità. E’ ambientata infatti nell’antica città di Devia, balzato all’onore della cronaca per lo scempio che vi hanno compiuto i vandali, distruggendo il parco archeologico.
La fiaba di De Cato racconta di altre violenze che quel territorio fu costretto a subire, quando era oggetto di frequenti incursioni da parte dei turchi, e di come riuscì ad avere la meglio.
Fu la solidarietà civile a sconfiggere la bieca violenza del feroce condottieri turco. Lo stesso occorrerebbe fare oggi, contro questi nuovi barbari. Buona lettura. 

Trick e Tr’bb’nal’
di Giuseppe De Cato

Tanti e tanti anni fa, lungo la costa di Maletta e sulla fascia collinare e montana del Monte d’Elio, le
comunità locali vivevano un periodo di pace e di relativa tranquillità.
Tutto andò bene fino a quando non
cominciarono le incursioni ad opera di una banda di saraceni, capeggiati da
Tareck, originario dell’ isola di Lesina di Dalmazia, diventato tristemente
famoso per I’efferatezza delle sue azioni. Non s’accontentava di saccheggiare
tutto ciò che c’era da saccheggiare, ma distruggeva ogni cosa che incontrava
sulla sua strada.

Ogni volta che Trick, cosi lo
chiamava la gente del posto, sbarcava a Calarossa o a Maletta, erano lacrime e
dolori per tutti. La sua furia devastatrice spingeva le pacifiche comunità
locali sempre più verso l’interno.
Armati fino ai denti, Trick e la
sua banda seminavano il terrore ovunque passavano. Incendiavano campi di grano,
di lupini e di granturco. Davano fuoco ai fienili. Depredavano i poveri pastori
e contadini di animali, provviste alimentari ed altri averi.
Anche il Casale di Devia, dopo
l’ennesima incursione saracena. era stato evacuato. Molti avevano trovato
rifugio intorno al castello di S. Nicandro e sui più sicuri boschi di San Marco
in Lamis.
I poveri abitanti del posto, viste
abbattute ormai anche le potenti difese di Devia, avevano preso I’abitudine,
ogni qualvolta s’approssimava la visita del saraceno, di fargli trovare pronto
tutto quanto riuscivano a racimolare, in particolare uova, capre, agnelli, pezze
di formaggio, pane, olio, ceste di fichi secchi.
Portavano il tutto ai piedi del
Papaglione e appenaTrick e la sua banda apparivano all’orizzonte, appoggiavano
per terra quello che avevano portato e tornavano indietro, in modo tale che
ricevendo senza fatica tutta quella grazia di Dio, egli, così rabbonito,
rinunciasse dal mettere in atto le sue azioni scellerate.
Trick e la sua banda, però,
diventavano sempre più esigenti e arrivarono a pretendere anche la consegna di
capi di bestiame, ogni volta in numero maggiore della precedente, sottoponendo
quelle genti pacifiche a vessazioni e mortificazioni di ogni genere.
*
* *
Sennonché nella valle di Stignano
viveva un uomo solitario, piuttosto taciturno. Un tipo strano, che non amava
parlare con la gente. Era alto quasi due metri ed aveva un portamento maestoso,
tanto che quando camminava il rumore dei suoi passi si sentiva a distanza. Non
aveva una casa, né una famiglia. La sua unica ricchezza era costituita da una
mezza dozzina di capre.
Un giorno, mentre percorreva un
tratto della vecchia mulattiera a nord di Tarantone, s’imbatté in una scena che
doveva apparire molto insolita ai suoi occhi: una ventina di persone, gli
uomini avanti e le donne più indietro, scendevano dal bosco verso la pianura e
tutti, chi a spalla chi in enormi ceste sulla testa, trasportavano pane,
patate, cipolle, uova, quarti di maiale, pezze di formaggio, caciocavalli e altri
alimenti d’ogni genere. Al centro della carovana c’era anche un asino, due
buoi, tre pecore e alcune galline.
Tr’bb’nal’ accelerò il passo per
raggiungere la carovana.
– Dove portate tutta quella roba?
C’è forse qualche festa di re o si sposa qualche principe? – chiese
timidamente.
– Non c’è alcuna festa di re e non
si sposa nessun principe – gli rispose il primo della fila – Si vede che tu non
sei di queste parti, altrimenti non avresti fatto questa domanda. Tieni. Almeno
questo Trick non lo avrà. – aggiunse l’uomo, porgendogli un parrozzo (1) e una pezzolina di formaggio.
Quell’uomo, così grande e grosso, ave- va l’aria di una persona dall’animo buono
e si vedeva lontano un miglio che era molto affamato.
– Chi è questo Trick? – chiese
Tr’bb’nal’, prima di affondare i suoi denti nel parrozzo che stringeva in mano.
Cosi l’uomo, dopo aver invitato il
resto della carovana di persone ad arrestarsi, si fermò a raccontare al pastore
tutte le vessazioni e le angherie che erano costretti a subire ad opera di
Trick e, mentre andava avanti nel racconto, di tanto in tanto provvedeva ad
allungare ora del caciocavallo, ora una pagnotta di pane, ora un carrafon’ (2) di vino al pastore, che da
anni non mangiava in modo così ricco e sostanzioso. Egli era solito cibarsi di
castagne, carrube, sorbe, cicorie selvatiche, agghjstridd’, spaccaprét, caccialèpr’ (3) ed altre erbe
commestibili che riusciva a ricavare dalla nuda terra. Tutto il ben di Dio
offertogli da quella brava gente lo mise di buon umore.
– Vi aiuterò io! – esclamò
Tr’bb’nal’, alzandosi di scatto in piedi – Voi aspettate qui e non muovetevi
fino a quando avrò dato il fatto suo al saraceno. Gli farò fare u ball’ cutucutella (4)
Aveva appena finito di pronunciare
queste parole che, a qualche centinaio di metri sulla linea che delimitava la
pianura dal declivio di còpp’ p’ràzz’
(5), si affacciarono le figure minacciose di Trick e la sua banda.
Una luce sbarazzina illuminava gli
occhi dello stignanese. Senza aggiungere altro, afferrò con le mani un ignaro,
giovane perazzo, lo estirpò con tutta la forza di cui era capace, lo sfrondò
della chioma irregolare e spinosa e, tenendolo per il “collo”, s’avviò
in direzione dei saraceni.
Trick si rese subito conto che
l’uomo che aveva di fronte non conosceva la paura. Fece cenno ai suoi seguaci
di fermarsi e avanzò verso Tr’bb’nal’, fermandosi ad una trentina di passi da
lui.
I due stettero in silenzio,
immobili, per circa un minuto, l’uno di fronte all’altro. Poi il duello. Fu uno
scontro titanico, che durò diverse ore. I due combatterono fino al tramonto del
sole. La lunga, pesante, luccicante spada di Trick e il ruvido, nodoso perazzo
di Tr’bb’nal’ s’incrociarono mille e mille volte in aria. Tutt’intorno i segni
della lotta: rovi e fichi d’india rasi al suolo, rami spezzati, alberelli
tagliati, pezzi di macéra crollati.
Ma alla fine, il perazzo di Tr’bb’nal’ ebbe ragione della spada di Trick, che,
a capo chino, raggiunse i suoi amici per avviarsi verso la spiaggia.
Da quel giorno, il saraceno e la
sua banda non si fecero più vedere sulle coste garganiche. Tr’bb’nal’ tornò
nella valle di Stignano.
Quegli uomini, riconoscenti,
capirono che l’oppressione e le ingiustizie non devono essere mai tollerate o,
peggio, incoraggiate, ma devono essere combattute con forza e decisione.
Note:
(1) Parrozzo: pagnotta di pane ottenuta con residui
d’impasto di acqua e farina, generalmente di forma allungata e ritorta.
(2) Carrafon’: caraffa di grosse dimensioni.
(3) Traduzione: aglio selvatico, fragasassi e caccialepre.
Si tratta di verdure
selvatiche molto buone da mangiare, che contengono particolari proprietà
alimentari e terapeutiche. E’ opinione popolare, per esempio, che i fragasassi o frangisassi (Spaccaprét),
con un sapore vicino a quello della cicoria abbiano la proprietà di sciogliere i
calcoli renali e vescicali.
(4) Il ballo della cutucutella: sorta di
ballo frenetico e indiavolato.

(5) Coppa perazzi. Si tratta di una collina
situata a nord di Samican- dro Garganico, cosi denominata per la presenza di
peri selvatici. 
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Author: Geppe Inserra

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