Il caso del panino imbottito di danaro, per occultare la tangente, ha sollecitato la memoria e la nostalgia di Raffaele De Seneen, che ha scritto il racconto che segue, facendone omaggio ad Amici e lettori di Lettere Meridiane. Va detto che i ricordi del buon Raffaele hanno, a loro volta, fatto scattare la molla della nostalgia per altri sapori del passato, quali il panino del muratore ricordato da Giuseppe Trincucci, in un commento postato sulla bacheca del gruppo social Amici e Lettori di Lettere Meridiane, che riporto in calce al racconto di Raffaele.
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Non ricordo che anno fosse, né ricordo quanti anni avessi, però, ho ben presente quando in fila con gli altri compagni di classe imboccavamo via Galiani, marciapiede lato Villa, per raggiungere l’omonima palestra (ex GIL) di fronte all’attuale IACP che oggi si chiama diversamente.
Cento passi, più o meno cento metri, e qualcuno schizzava fuori dalla fila, attraversava la strada, dall’altra parte c’era un negozietto di alimentari, vetrinetta di legno marrone, forse accanto una rivendita di tabacchi.
“Qualcuno” quel giorno si era trovato qualche liretta in più in tasca, e correva a farsi un panino sognato da tempo, un po’ per sfizio, molto di più per placare l’eterna fame giovanile.
Lo scarso tempo a disposizione, la voglia di addentarlo, non toglievano niente a quel sacro rito della preparazione.
La signora con grembiule bianco prendeva il panino dall’apposito contenitore, lo divideva in due con un lungo coltello lasciando da una parte i due bordi attaccati, lo poggiava sul bancone e lo apriva forzando un po’ sulle due parti perché restassero come la pagine bianche di un quaderno aperto, quasi da scriverci sopra.
La signora già sapeva cosa “scrivere”. Due passi di lato ed era dietro quel grosso macchinario metallico, rosso, una manovella, un grosso disco tagliente di lucido acciaio. Su un carrello a binario collegato giaceva il succulento corpo di una grassa mortadella.
Avvicinare il carrello alla lama, girare la manovella e far venire giù un sottile velo di rosea mortadella maculata di bianco grasso durava ancora pochi secondi.
Con delicatezza la signora poggiava il velo sul panino, lo ripiegava per non farlo strabordare, chiudeva il panino con una leggera pressione, incartava e via, previo pagamento.
L’acquolina in bocca era al massimo, era il segno delle nostre crisi di astinenza, e il profumo dell’insaccato si era fissato nel naso e nel cervello già dall’inizio del taglio del velo, un unico velo.
Fuori, c’era da raggiungere la fila dei compagni, venti passi e quattro morsi, l’operazione era già finita.
C’era poco da dividere con gli altri, tanto meno da farsi guardare, non per invidia, ma per evitare di mettere in moto le papille gustative degli altri e gli stomaci a rumore.
Che delizia , che goduria quel piccolo panino con la mortadella, te ne portavi dietro il profumo e qualche briciola ancora fra i denti da assaporare.
Ora, nel panino ci mettono la mazzetta, maledetti!
E’ vero, non ci sono più valori, o i valori sono cambiati e non ce ne vogliamo rendere conto: unto ed inodore denaro al posto della grassa de profumata mortadella, maledetti!
Bologna la grassa piange, ha perso un primato.
Maledetti, non ci hanno tolto solo il futuro, ma anche l’infanzia e l’età giovanile: ricordi, profumi, sapori, quando per calmare la “fame” bastava andare in un modesto alimentari e avere poche lire a disposizione.
Raffaele De Seneen
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Giuseppe Trincucci ricorda, a sua volta:
“era in voga anche il cosiddetto panino del muratore nel quale era associato alla mortadella il provolone possibilmente piccante , ma siamo già a un livello di raffinatezza … era comunque più costoso . oggi sushi e calicetto di prosecco …”
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