Ritratto ungarettiano di Giuseppe Bacci |
Ecco la seconda ed ultima puntata dell’articolo saggio di Luigi Paglia sul Parco letterario dedicato al poeta Giuseppe Ungaretti che avrebbe potuto essere realizzato a Foggia e in Capitanata, nelle diverse località toccate dal viaggio sentimentale nelle terre daune, compiuto dal grande poeta nella primavera del 1934.
Alle Prose Daunie di Ungaretti, Luigi Paglia ha dedicato studi e pubblicazioni. La proposta progettuale del parco letterario venne formulata in un articolo comparso nel mese di giugno del 2008 su Carte di Puglia ,rivista edita dalle Edizioni Il Rosone e diretta da Antonio Ventura. La prima parte è stata pubblicata con il titolo Parco ungarettiano della Daunia, un’occasione perduta. Potete leggerla cliccando sul collegamento.
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4. Altri due capitoli del poetico viaggio ungarettiano sono dedicati a Lucera, della quale è evidenziata la doppia prospettiva sacra ed imperiale (“Lucera, città di Santa Maria”, e “Lucera dei Saraceni”, nella prose del 15 Maggio e del 5 Giugno 1934), con i suoi massimi emblemi del Duomo e del Palatium federiciano. Del primo monumento il poeta rappresenta il movimento e la potenza, ed il colore del tempo: “ln un delta oblungo, e come sposando il silenzio, il Duomo è fermo su una terra a onde. Duomo della città di S. Maria. Ma commemora lo scatenamento d’un furore. La pietra cotta e la cruda, stinte, patinate, penetrate l’una nell’altra, hanno avuto dal tempo un’unità di giallo leggermente ombrato: è una facciata alta, impettita, piallata, orba con quel suo finestrino nel rosone, tagliente, coperta dal tempo di un colore di grido represso […]. Ed ecco per dare il garbo all’abside, che la terra a onde s’è messa a girare come dentro una chiocciola, e i nostri passi con essa; ma presto tutto sembra immutabile e lo stesso colore dell’aria, arrivati come siamo a un punto dove è unico motore l’architettura.
Ora, per l’annodarsi stretto dei contrafforti, la mole fa da sporgenza a sporgenza effetto di galoppare tra altissimi agguati: è un’elegante mole con un nonnulla di calligrafico, pericolosa e anche serena, come s’addice a fabbrica provenzale trecentesca ancora ammaliata d’Oriente, sorta sotto il più largo cielo del mondo sulle rovine fumanti d’una moschea.
Ma appare più di tutto, assediata e presa d’assalto dalle cose così com’è rimasta, nave gonfiata dall’affanno umano, veramente la forza dalla quale nascono o rinascono e vanno alla ventura città. Città di S.Maria”.
Del Palatium, incastonato nel vertiginoso scenario (“Quando t’apparirà da lontano l’arco ogivale di Porta Troia e vedrai, in un volgersi immenso di solitudine, Lucera, dal chiarore infinito del grano, balzata sui suoi tre poggi”) “non è rimasto se non un enorme slancio di pietre come una cappa sbranata che sta su per miracolo; se non un movimento raccapricciante di pietre paragonabile per audacia solo alla volta della Basilica di Massenzio. D’una residenza che dovette essere una delle meraviglie del mondo a giudicare da Castel del Monte, questo rimane…
Ma come nascenti da questo bellissimo rudere, ecco dal Belvedere vedrai che là in cima si svolgono, invece della Cittadella araba, i 900 metri di cinta della fortezza alzata dal Nasuto. E come una corona posata, e da questo punto sembra che basterebbe un venticello a smuoverla.
Salirai. La vedrai nelle sue pietre sbiadite, d’un rosso e d’un giallo quasi bianchi, mossa e annodata nella sua quadratura da ventidue torri poligonali , e dal Leone e la Leonessa, moli cilindriche altissime e grosse«l’una vertigine unica sulla ripidità della scarpa […]. Entrerai nella fortezza: nessuna rovina produce un maggior effetto di ampiezza disabitata, di piazza morta e senza confine Nessuna m’ha lasciato un uguale senso d’opacità del destino, un senso così esagerato di scoramento […]. Federico è quello che è: un uomo grande, e cioè un uomo più che dei suoi tempi, di tempi che aiuterà a nascere. Impersona il Medioevo, la parte epica del Medioevo che è germanica, che è feudale, e nello stesso tempo si dà a promuovere l’Umanesimo, il che è come dire che s’era gettato a capofitto in un’azione contro se stesso”.
5. Il viaggio del poeta si chiude nella nostra città (con una breve escursione verso Canosa e la Via Traiana) con la visione dal Piano delle fosse, che il poeta così descrive nell’articolo del 22 Agosto 1934:
“Piazza ovale che non finisce più, d’una strana potenza. È tutta sparsa di gobbe, sconvolta, secca, accecante di polvere […] . Mi sono avvicinato a una delle tante gobbe, Dietro aveva come le altre una piccola lapide. Smossa la terra, tolte le assicelle apparse sotto, s’è aperto un pozzo e dentro s’alza un monte di grano. Questa piazza a perdita d’occhio nasconde dunque l’uno accanto all’altro un’infinità di pozzi, conserva il grano della provincia che ne produce 3.000.000 di quintali, e più. Altro che grotta di Ali Babà. Ho visto cose antiche, nessuna m’è sembrata più antica di questa, e non solo perché forse il Piano c’era prima di Foggia stessa, come fa credere la curiosa analogia fra “Foggia” e “fossa”, ma questo alveare sotterraneo colmo di grano mi riconduce a tempi patriarcali, quando sopraggiungeva un arcangelo a mostrare a un uomo un incredibile crescere e moltiplicarsi di figli e di beni. Nessun luogo avrebbe più diritto d’essere dichiarato Monumento Nazionale” .
In questo brano viene realizzata una nuova, dilatata e pluristratificata figurazione, di sotterranea allusività e di straordinaria suggestione e penetrazione semantica, che ricapitola con una visione totalizzante la costellazione tematica delle prose: la dialettica aridità-fertilità, spostata sul piano della terra nella sua doppia denotazione (la superficie “sconvolta, secca, accecante di polvere” che rinserra nella sua profondità come un tesoro il frutto della terra ferace: il grano ricco del colore della luce solare) che appare come il segno distintivo della Capitanata.
La creazione di un Parco letterario ungarettiano (la cui prospettiva è stata pienamente recepita dalla Facoltà di Lettere di Foggia) costituirebbe, inoltre, un ulteriore e stimolante motivo per il recupero delle fosse granarie (1), così come avevo proposto nella mia relazione sulle Prose ungarettiane a Palazzo Dogana il 24/9/1998, e ribadito negli articoli nel “Provinciale” di luglio-agosto 2001 e nella rivista della Provincia “Capitanata” di ottobre 2001, e così come fu evidenziato nel dibattito che ne seguì sulle pagine della “Gazzetta del Mezzogiorno” (con gli interventi dei prof. Saverio Russo, Fatima Bronci e Franco Mercurio) e che ebbe ulteriori sviluppi nella Tavola rotonda, organizzata il 29 novembre 2001 dalla Società Dante Alighieri e dal Museo del Territorio.
6. Le prose poetiche ungarettiane dedicate alla Daunia rappresentano una straordinaria sceneggiatura o partitura di un itinerario, da seguire punto per punto, per vincere la scommessa, da parte degli Enti locali e dell’imprenditoria giovanile, dell’istituzione del Parco ungarettiano (ed, eventualmente, di un altro Parco, dedicato allo scrittore sanseverese Nino Casiglio, per la zona del Tavoliere settentrionale, con un occhio alle Tremiti, evocate nel romanzo Acqua e sale), così che possa realizzarsi l’integrazione tra le opportunità culturali, artistiche, paesaggistiche, gastronomiche ed economiche, nell’attuazione di un modello di sviluppo nuovo, in cui lo sviluppo della cultura diventa cultura dello sviluppo, capacità produttiva. La cultura può produrre ricchezza, e non solo spirituale: può promuovere economia, occupazione.
Sul piano operativo, bisognerebbe costituire un Comitato esecutivo con delegati (e con il sostegno economico) della Provincia e del Comune di Foggia, del Parco del Gargano, dei Comuni di Manfredonia, Lucera, Monte S. Angelo, della Camera di Commercio, dell’Azienda turistica provinciale, dell’Assindustria, delle Facoltà di Lettere e di Economia dell’Università di Foggia ecc, per programmare la realizzazione del Parco, d’intesa con la Fondazione Ippolito Nievo, Patrocinio UNESCO per i Parchi Letterari, che è l’unica organizzatrice in Italia dei Parchi letterari.
La conduzione del Parco, da affidarsi ad una Cooperativa di imprenditori giovanili, dovrebbe prevedere la costituzione di una sede (con telefono, computer, stampante, biblioteca, archivio del materiale di promozione); l’organizzazione dell’itinerario (letterario, artistico, religioso, archeologico, naturalistico, gastronomico) illustrato da guide specializzate; la produzione culturale comprendente ogni tipo di approfondimenti o di manifestazioni attinenti alle tematiche del Parco: le ricerche sull’arte, la storia, l’etnologia, l’antropologia, la geologia del territorio; il recupero di arti e mestieri scomparsi o in Via di estinzione, nonché di ricette e di metodologie culinarie; l’ideazione di spettacoli, pubblicazioni, convegni; la realizzazione di ristrutturazioni e restauri necessari alle emergenze artistiche ed archeologiche del territorio ed, infine, la produzione del materiale di promozione, da inviare alle Scuole
e agli Enti turistici italiani e stranieri, per far conoscere adeguatamente le varie manifestazioni e prospettive del Parco, in modo da far confluire i flussi turistici verso il nostro territorio, e per valorizzare il nostro patrimonio artistico e culturale.
LUIGI PAGLIA
(1) Nell’attesa del ripristino delle Fosse recuperabili e dell’adeguata sistemazione della zona intorno alla Piazza Piano della Croce, sulla scorta anche dei progetti del 3° Concorso di idee promosso dal Rotary Club “Umberto Giordano” di Foggia (giugno 2002), potrebbe essere almeno realizzata l’iniziativa, molto più modesta, dell’intitolazione a Ungaretti per la quale ho già presentato istanza agli Assessorati competenti) della piazzetta contigua aIl’Epitaffio e prospiciente proprio l’area prima occupata dalle Fosse, e dell’installazione di una gigantografia o raffigurazione di Ungaretti e/o di una stele con il famoso brano ungarettiano sulle Fosse, come segno di riconoscenza per le più belle pagine di poetica celebrazione dedicate alla nostra città, e per onorare degnamente il più grande poeta italiano del Novecento (insieme a Montale al quale, egualmente, quale autore del racconto Clizia a Foggia, sarebbe opportuno intitolare una via cittadina).
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Lasci perdere caro Professore, cosa vuole che importi alle nostre Alte Istituzioni Amministrative e Politiche l'intestazione di un Parco Letterario a Ungaretti o la reiterata proposta di dedicare il 'Teatro del Fuoco' a Ugo Nicola Stame!
Voglio ricordare che sono passati 380 giorni dalla proposta di assegnazione della Cittadinanza Onoraria al dott. Pasquale di Cicco (86 anni) – riconosciuto monumento alla Cultura e allo studio della Storia di Foggia e della Capitanata – e nulla ancora s'ode dalle stanze dell'Assessorato alla Cultura del Comune di Foggia.
Voglio ricordarlo a tutti: nè Ungaretti nè di Cicco sono stati calciatori nè, peggio, hanno mai vestito la maglia della squadra del Foggia. Non a caso per Pirazzini bastarono 30 giorni per glorificarlo della Cittadinanza Onoraria.
Poco cordialmente (Maurizio De Tullio)