Foggia e Lucera nel racconto di Yriarte e nel disegno di Weber

Print Friendly, PDF & Email
Concludiamo la pubblicazione del capitolo riguardante Foggia e la Capitanata del  libro di Charles Yriarte, Le rive dell’Adriatico ed il Montenegro, pubblicato da Emilio Treves per la prima volta a Milano nel 1893, ed in ristampa nel 1897. 
I reportage di viaggio erano molto apprezzati dei lettori dell’epoca, ed erano arricchiti da disegni, in qualche caso particolarmente artistici, come quello che pubblichiamo oggi. Ne è autore il disegnatore Th.Weber, su schizzo dello stesso Yriarte. Raffigura la fortezza lucerna ma nella didascalia francese viene indicata come cittadelle saracine, cittadella saracena.
Tra i diversi racconti di viaggiatori che sono passati per Foggia nell’Ottocento, quello dello scrittore francese si distingue per la sua originalità e per il desiderio di capire il contesto che affiora dalla narrazione, non priva di riferimenti storici precisi.
Se avete perduto, o se volete rileggere le prime due puntate del reportage, accompagnate dai suggestivi disegni rispettivamente di lavoratori all’opera al Piano delle Fosse a Foggia e della Chiesa delle Croci, utilizzate i collegamenti qui sotto, cliccandoci sopra:

Nelle lettere meridiane trovate anche le istruzioni per poter scaricare i disegni ad alta risoluzione.
Il disegno della fortezza di Lucera di Th.Weber può essere invece scaricato ad alta risoluzione cliccando quihttps://www.dropbox.com/s/wf1lfb02otuglfb/fortezzadilucera.png?dl=0. Buona lettura. 
* * *
A Foggia, sono nel centro di una regione sommamente importante per la storia. Se non facesse di mestieri serbar la dovuta misura nel racconto d’ un viaggio come questo, e la via da percorrere fosse men breve, sarebbe questo il caso di scrivere qualche pagina d’ una storia ove la Francia rappresenta una gran parte. Stringiamo perciò in poche linee la passeggiata archeologica fatta nella Puglia, all’uscire di Foggia,.e rendiamo omaggio alla memoria del distinto archeologo, del vero Mecenate, la cui opera mi servì di guida: voglio dire il duca di Luynest.

Non ho bisogno di ritornare sulle grandi trasformazioni storiche dei primi secoli nell’Italia meridionale. Dopo soggetta agli imperatori greci, i cui rappresentanti, i Catapani (Capitanata), governano il paese, la Puglia passa nelle mani di Carlomagno, imperatore d’Occidente. Smembrato il suo impero, i Cesari di Costantinopoli vantano sulla Puglia diritti già antichi, mentre gl’imperatori tedeschi, quali successori di Carlomagno, sollevano pretese e reclamano l’omaggio feudale dei principi longobardi. Non si potrebbe negare che questa costa dell’Adriatico, da Ancona alla punta di Leuca, sotto Otranto, non abbia un’impronta orientale. Le città bianche coi loro bianchi terrazzi che si profilano sull’azzurro dei golfi, la terra grigia e la vegetazione potentemente colorata, ricordano la riva opposta e le grandi città sedute sulle rive del Bosforo; ma giammai, dopo il gran colpo che gli fu recato, il potere dei Greci riacquista la sua sicurezza; non era più che una rimembranza. La vanità bizantina tirò invero dal monte Gargano alla baia di Salerno una linea ideale che indicava il limite del suo potere; a Bari, a Otranto, i Katapani governavano ancora, ma i Saracini Aglabiti, padroni di Malta e di tutta la Sicilia, potenti sui due mari, transitanti dal Mediterraneo all’Adriatico, da Palermo a Taranto, a Bari, a Otranto, a Sant’Angelo, contendevano il potere ai due competitori, l’imperatore d’Oriente e quello d’Occidente. Era l’anarchia, e sopratutto lo sbocconcellamento, e l’Italia meridionale presentava una preda facile agli audaci.
Succedette allora in Puglia un fatto storico sì inverosimile che ha sembianza di una di quelle leggende eroiche inventate dai bardi. Era intorno il 1006: si videro sbarcare a Salerno, quaranta cavalieri normanni, seguiti dai loro scudieri e dai loro uomini d’arme, di ritorno dalla Palestina. Giunti sotto le mura della città nel momento che un esercito saracino, colle tende rizzate in campo, celebrava in un’orgia la resa di Salerno e il pagamento d’una ricca taglia, si sdegnano al vedere quegli infedeli insultare ai vinti cristiani, raccolgono le milizie, incoraggiano i Salernitani e tagliano a pezzi i Saracini. Facendosi gli ausiliari ora dei Greci ora degli Alemanni, furori visti combattere di mano in mano per Enrico Il e per il Katapan. Prendono Aversa, poi Messina e Siracusa, chiamano fra loro altri Normanni, i figli del signore di Hauteville, ricevono dei titoli, e li fanno confermare dall’ imperatore.
Poco dopo, in numero di settecento cavalieri, essi rappresentano una forza enorme e fan prova di audacia e di abilità. Dopo mille peripezie, fondano delle dinastie, s’intitolano duchi di Puglia e di Calabria, poi re di Sicilia, e combattono contro il papa e 1′ imperatore , e quando occorre proteggono il pontefice contro il Cesare.
Roberto Guiscardo, fra tutti i cavalieri, è quello di tempra più ardita. Vi fu un istante che sognò di cingersi la porpora imperiale; egli prese Durano, fece tremare Costantinopoli, e morì facendone l’assedio. I documenti su cui posa questa leggenda straordinaria sono visibili ad ogni passo nelle campagne della Puglia; non v’è città che non chiuda un ricordo della potenza dei Saracini, di quella dei Normanni o di quella degli Hohenstaufen.
Vidi a Lucera le fortificazioni saracine ancora in piedi, logore, è vero, ma perfettamente visibili nella loro disposizione e nella loro pianta, dominare sulle colline quelle immense pianure grige ove i contadini falciavano le messi. Alcune leghe più lontano, l’attrattiva è ancor maggiore, perché la forma ne è più precisa: si veggono le torri dei Normanni, le loro residenze fortificate, vasti fabbricati ottagoni con torri d’angolo, grandi sale nel centro, una porta monumentale di granito rosso e stretti barbacani. Non occorre nemmeno rifare i monumenti col pensiero per capire i mezzi di difesa e 1′ effetto; non c’è che da completare il quadro chiamando ai merli le soldatesche e i balestrieri alla porta di soccorso.
Roberto Guiscardo giace a Venosa, e sulla sua tomba si legge il seguente epitaffio:
«Questo Guiscardo, terrore del mondo, cacciò di Roma colui che i Liguri, i Romani o i Tedeschi conoscono per re. I Parti, gli Arabi, la falange macedonica, non hanno potuto proteggere Alessio, ma soltanto la sua fuga. I Veneziani poi, non li salvò nè la fuga nè il mare. »
Boemondo figlio di Guiscardo, principe d’Antiochia, ch’ebbe una fortuna sì straordinaria in Oriente, ed è uno degli eroi della Gerusalemme liberata, riposa nella cattedrale di San Sabino, a Canossa, a pochi passi dal campo di battaglia di Canne, e si leggono queste parole sulla sua tomba:
«Il principe magnanimo della Siria giace sotto questa cupola; non nascerà più un valoroso come lui nell’universo. La Grecia, quattro volte vinta, la terra dei Parti, il più vasto Stato del mondo, provarono a lungo il genio e le forze di Boemondo. Colle sue soldatesche vinse Antioco. »
Questa tomba è chiusa da una porta di bronzo d’un carattere arabo con teste d’animali e incrostazioni di smalto; è segnata Rogerius fecit has januas et candelabrum, ed è un monumento d’arte d’un periodo specialmente curioso.
Foggia, benchè meno delle altre città vicino al Gargano, ha anch’essa i suoi titoli, e sopra un palazzo privato ove trovasi incastrato un arco di bellissimo lavoro, si può leggere la seguente iscrizione, che attesta come una volta, sulla fine del dodicesimo e. al principio del tredicesimo secolo, essa fu sede agli imperatori d’Occidente. L’ iscrizione è in latino, e tradotta dall’originale suona così:
« Un tal Cesare ordinò che si facesse questo lavoro, un tal Bartolomeo, sovrintendente, lo costrusse, l’anno dell’lncarnazione 1223, nel mese di giugno, il terzo anno del nostro venerato signore Federico, imperatore dei Romani, sempre augusto, e il ventesimo sesto dei sovrani di Sicilia. Quest’opera fa cominciata felicemente per gli ordini del suddetto signore.
« Federico ordinò che si facesse perchè Foggia fosse città reale e
sede illustre dell’imperatore. »
Giova dividere queste escursioni; un giorno basta per andar da Foggia a Lucera, e veder le rovine saracine e normanne; ma conviene ritornar alla città per dirigersi verso Manfredonia, situata proprio alla costa, e dove non giunge la ferrovia.
In alcune ore, per una strada sabbiosa, attraverso la pianura, si guadagna il mare e Manfredonia. Scopo della mia gita era sopratutto d’accostarmi al monte Gargano, di cui per altro non dovevo far l’ascensione. Passo il Candelaro, che forma una specie di fossa o di valle, e la città di Manfredi si presenta alla riva del mare, cinta da fortificazioni del tredicesimo secolo, i cui materiali, a quanto dicono, furono tolti dalle rovine romane della città di Sipontum. Il porto è pittoresco e eccellente, ma chi per temperamento è soggetto alle febbri, deve fuggir la città: la fossa del Candelaro e il lago, o Pantano Salso, il cui nome indica un padule, confermano tutto quanto mi avevano riferito circa l’ insalubrità dei dintorni di questa piccola o graziosa città.
Il monte Gargano pare un oppidum antico, e il monte Calvo che lo domina, un tempo folto di macchie, nascose lungamente negli antri i Saracini; già scacciati dalla penisola, alcune loro orde s’addossavano ancora al mare da questo lato, per darsi alla pirateria, mentre dall’alto del Calvo, protette dalla valle del Candelaro, che costituiva loro quasi un trinceramento, potevano piombar sulla pianura, dove vedevano le loro antiche fortezze nelle mani dei Normanni. Una cima si chiama ancora monte Saraceno. A Manfredonia mi eccitavano vivamente a spingermi fino a monte Sant’Angelo, i cui pendii, molto inclinati, dominano la parte nord della città; e scopo della gita era di visitare il famoso santuario dedicato a San Michele. L’8 maggio, Sant’Angelo diventa un luogo di pellegrinaggio per tutta la regione meridionale; i marinai in procinto di affrontar la bora sulle coste di Dalmazia, vanno ad appendervi le loro offerte votive.
Ma avrei dovuto far l’ascensione dei Gargano, alto quasi cinquemila piedi, e, confesso, le rovine saracine e normanne mi tentavano più di coteste escursioni, un po’ inutili, dal momento che conoscevo la forma del promontorio di questo Garganus antico e la natura della roccia.
(3. – fine)

Views: 52

Author: Geppe Inserra

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *