Uomini e caporali

Il punto di vista, lo sguardo di Rinascita Flash sul fenomeno dell’immigrazione, dello sfruttamento dei lavoro nei campi, del caporalato sono molto particolari. Il bimestrale di informazione che viene pubblicato in lingua italia in Baviera racconta le tristi storie connesse alle drammatiche conseguenze della globalizzazione, con l’occhio e con la passione di chi in qualche modo ha vissuto in prima persone storie del genere, e dimora in un Paese, come la Germania, che sta a sua volta affrontando il problema dell’immigrazione e dell’integrazione dei lavoratori immigrati.
Al problema è dedicata buona parte dell’ultimo numero del 2015. Per quanto riguarda l’Italia si parla di Foggia, laboratorio in positivo ed in negativo, della difficoltà di estirpare il caporalato, ma anche di coraggiosi tentativi di integrazione come Capo Free Ghetto Off e l’apostolato di padre Arcangelo Maira.
Partendo dal convegno sulla Filiera (non) etica che si è svolto a Foggia nello scorso mese di settembre, Pasquale Episcopo, giornalista e scrittore originario di Foggia, ma da tempo trasferitosi in Germania, scrive un bel reportage, di rara intensità morale e culturale.
Potete leggerlo di seguito. Quanti volessero scaricare le pagine scansionate della rivista, possono farlo cliccando qui. Troveranno anche un interessante bonus. Se l’articolo di Episcopo, intitolato Uomini e caporali è dedicato al fenomeno dell’immigrazione in Italia, il numero di Rinascita Flash ospita un secondo pezzo sull’argomento, Terra promessa, di Norma Mattarei. Nella versione pdf, trovate anche questo.
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Uomini e caporali
di Pasquale Episcopo
Di globalizzazione si parla spesso e male. Ma la globalizzazione, in sé, non è cattiva. Può esserlo, se se ne fa un uso cattivo. Ma può essere anche buona, se l’uso che se ne fa è buono. Buona o cattiva che sia, essa è inevitabile come le stagioni, il vento o le maree. Gli uomini ne fanno parte. Sono loro che possono essere buoni o cattivi. In uno dei suoi film più famosi, girato nel 1955, Totò divise l’umanità in due categorie, gli uomini e i caporali. Scopriremo nel prosieguo chi sono gli uni e gli altri.

70 anni fa di globalizzazione non si parlava. Oggi parlarne è all’ordine del giorno. Spesso la si lega alla crisi dell’economia, alla perdita di posti di lavoro, alla chiusura di fabbriche. Le fabbriche agli imprenditori conviene tenerle altrove, nei Paesi in via di sviluppo, dove la manodopera è meno cara. Per chi vive in questi Paesi la globalizzazione è tutt’altro che negativa, è una manna caduta dal cielo. La Cina è diventata la fabbrica del mondo e gran parte dei cinesi vive oggi in una condizione di benessere impensabile solo due o tre decenni fa. Ma ci sono Paesi che di sviluppo non ne hanno visto nemmeno l’ombra. Molti Paesi dell’Africa, per esempio. La globalizzazione è dunque localmente più o meno forte, più o meno presente, più o meno veloce. Paradossalmente, la globalizzazione non è globale. Non ha raggiunto ugualmente tutti gli angoli del pianeta. Costretti dalla povertà sono stati gli uomini che hanno dovuto spostarsi. Migrazione e globalizzazione sono due fenomeni legati a doppio filo. Una alimenta l’altra e viceversa. E a volte il legame è così stretto da creare cortocircuiti.
L’Italia è tra i maggiori produttori mondiali di pomodoro. La raccolta avviene soprattutto nei campi del sud ed è affidata a lavoratori stagionali, in gran parte migranti neri africani. I pomodori italiani sono apprezzati per la loro qualità e vengono esportati in tutto il mondo, compresa l’Africa. In Ghana alcuni anni fa la produzione di pomodori era fiorente. Oggi in Ghana si importano i pomodori italiani perché costano meno e costano meno perché la manodopera, in Italia, costa poco. Molti braccianti agricoli ghanesi che hanno perso il lavoro hanno deciso di emigrare. Hanno attraversato il deserto e il mare e sono arrivati nei campi di raccolta italiani. Qui hanno trovato il lavoro di cui erano stati privati in patria. I pomodori che raccolgono diventano i barattoli di salsa che finisce sulle tavole dei loro famigliari, in Ghana. Ma questo, forse, loro nemmeno lo sanno.
Insieme ai Ghanesi migliaia di neri africani del Senegal, Camerun, Niger, Mali e via dicendo, condividono lo stesso destino. Quando sono arrivati in Italia speravano di trovare l’Eldorado, benessere, diritti, lavoro. Invece hanno trovato condizioni peggiori di quelle che avevano lasciato nei loro Paesi. L’Italia del XXI secolo è ben lungi dall’essere uno stato di diritto. Tra i comparti in cui i diritti vengono calpestati c’è quello del lavoro nero: se la manodopera richiesta non è specializzata, il lavoro è affidato a persone che vengono reclutate senza molte formalità. Il lavoro agricolo stagionale nei campi di raccolta di pomodoro è un esempio concreto.
Questa attività è soggetta al caporalato, vero e proprio sistema di potere di tipo mafioso. I caporali sono uomini senza scrupoli, sfruttatori e schiavisti al tempo stesso. Uno dei luoghi in cui il caporalato è particolarmente presente è la Capitanata in provincia di Foggia, mia città natale. Negli ultimi anni, e in particolare durante la scorsa stagione estiva, diversi immigrati sono morti mentre lavoravano e la Capitanata è stata al centro delle cronache locali e nazionali.
Secondo l’ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) un terzo della produzione nazionale di pomodoro ha luogo nella provincia di Foggia. Nelle campagne sono sorti interi villaggi di capanne. Sono chiamati ghetti. Le condizioni di vita dei ghetti sono indegne di un Paese civile. La Regione Puglia ha tentato di smantellarne alcuni, in particolare quello di Rignano che in estate arriva a ospitare 1500 persone. Con il progetto “Capo Free, Ghetto Off” si è tentato di estirpare il caporalato e dare condizioni di vita migliori ai braccianti agricoli di Rignano Scalo.
Di tale progetto ho potuto parlare con le persone che se ne sono occupate direttamente. Tra loro Geppe Inserra, dirigente del settore lavoro della Provincia di Foggia. “Se l’obiettivo era ambizioso, ancora più ardita era la strategia pensata per conseguirlo: coinvolgere i diversi attori della filiera dell’oro rosso, compresi i produttori e la grande distribuzione”. Prendere parte al progetto “è stata forse l’esperienza più significativa che ho avuto nella mia attività presso questa amministrazione. Assieme al sindacato siamo andati nel ghetto per stimolare l’iscrizione dei braccianti immigrati alle liste di collocamento. Abbiamo sottoscritto con gli agricoltori un protocollo d’intesa per superare il lavoro nero. Soprattutto, ho avuto il piacere e la fortuna di conoscere uomini straordinari come Guglielmo Minervini (assessore regionale alle politiche giovanili, trasparenza e legalità, ndr). Purtroppo tutto quell’impegno non è bastato. I ghetti stanno ancora lì e l’estate 2015 ha consegnato alle cronache storie ed episodi di sfruttamento ancora più biechi e drammatici del passato”.
Del ghetto di Rignano Scalo si è tornati a parlare a Foggia a settembre, nel corso di una serata dibattito dal titolo “La filiera (non) etica: dai campi agli ipermercati”, organizzata grazie all’impegno di associazioni e gruppi di volontariato e alla quale ho avuto la fortuna di partecipare. All’inizio c’è stata la proiezione di interviste video girate da Antonio Fortarezza, film-maker foggiano che da anni denuncia il fenomeno del caporalato documentando le condizioni di vita dei lavoratori stagionali in Capitanata. Poi ha preso la parola padre Arcangelo Maira, missionario scalabriniano direttore dell’ufficio Migrantes di Manfredonia e promotore di gran parte delle attività di volontariato verso i migranti nel foggiano.
Padre Arcangelo ha raccontato l’esperienza maturata negli otto anni trascorsi a fianco ai suoi ragazzi, ha parlato degli sforzi per insegnargli la lingua, per renderli consapevoli dei loro diritti. Ha detto che saranno loro, i giovani migranti, a salvare l’Italia, se gliene sarà data l’opportunità. Ha parlato dei valori che li animano e della loro bellezza. “Sono nato in Sicilia e sono stato io stesso un migrante. Quando mi chiedono di dove sono non so cosa rispondere. Appartengo alle persone che ho incontrato, sono il frutto di quegli incontri”.
Poi sul podio hanno preso posto imprenditori e agricoltori, sindacalisti e giuristi, giornalisti e amministratori che hanno dato vita ad un interessante dibattito che ha messo in luce i vari aspetti della filiera del pomodoro evidenziandone contraddizioni, paradossi e illegalità. Gli attori di questa filiera non sono solo i caporali e i braccianti, carnefici e vittime rispettivamente. Intorno ad essi c’è una lunga lista di intermediari e gregari, visibili,meno visibili e invisibili, fino al consumatore finale, con in mezzo la grande distribuzione che schiaccia i piccoli agricoltori. E poi c’è una serie di regole e di leggi lacunose e inefficaci che facilitano, invece di impedire, l’insorgere di illegalità nelle attività di raccolta, trasformazione e distribuzione del pomodoro “migliore del mondo”.
L’anello più debole della catena è certamente rappresentato dai braccianti e, tra questi, da loro, dai migranti africani sfruttati oltre misura, costretti a condizioni di lavoro inumane, pagati 3 euro per ogni cassone da tre quintali. A poca distanza dalla sede della manifestazione un centinaio di loro protestavano rivendicando l’aumento della paga oraria.
Padre Arcangelo Maira
“Un dibattito o un quasi dibattito non sposta i termini di una questione decennale, o addirittura secolare, come quella del caporalato” ha postato il giorno dopo l’avvocato Claudio de Martino, uno degli organizzatori, nonché membro dell’associazione onlus “Avvocato di Strada”. “Non siamo contenti per la sala strapiena, ma lo saremo se la manifestazione contribuirà a costruire una coscienza civile”.
Condividiamo questa speranza: la filiera “non etica” del pomodoro potrà trasformarsi in filiera etica solo attraverso la consapevolezza e la responsabilità di tutti. Arrestare il lavoro nero e lo sfruttamento, superare le logiche perverse che fanno sopravvivere il ghetto di Rignano e tutti i ghetti, sono esigenze impellenti e indifferibili. E necessario che l’Italia riesca a venire a capo di queste situazioni vergognose, che riesca ad affrancarsene definitivamente. Ed è necessario un impegno serio del governo centrale contro il lavoro nero. Sempre a settembre, durante la giornata conclusiva della festa dell’Unità a Milano, Matteo Renzi ha preso pubblicamente l’impegno sacrosanto perché nell’Italia del 2015 il caporalato sia “disintegrato”, la parola è sua. “Su questo voglio sfidare i sindacati: su questo punto possiamo fare un’iniziativa insieme anziché fare battaglie ideologiche”.
Vedremo. Vedremo se il governo riuscirà a debellare la piaga endemica. Intanto il ghetto, che ne è espressione, è lì e, secondo molti degli intervenuti al dibattito, ci rimarrà ancora a lungo. Anche padre Arcangelo è dello stesso parere: “Il ghetto inquina e l’inquinamento rischia di propagarsi nel territorio circostante e poi ulteriormente nel Paese. Quando si va in montagna, il ritmo di marcia, in una cordata, viene dettato dalla persona più lenta, da quello che fa più fatica ad andare avanti. L’Italia cresce al ritmo del ghetto”. Parole agghiaccianti che racchiudono un allarme e un monito al tempo stesso. Un’altra frase, pronunciata dal missionario, che ha ghiacciato ancor più i cuori dei presenti è stata quella con cui ha annunciato di essere stato trasferito ad altro incarico e che pochi giorni dopo avrebbe lasciato Foggia.
Se mai un giorno il caporalato e lo sfruttamento saranno debellati, se i caporali scompariranno dalle piazze di reclutamento e dai campi di lavoro, in Puglia come altrove, lo si dovrà alla tenacia di Arcangelo Maira e alla determinazione di uomini come lui.
Pasquale Episcopo
PS: Antonio Fortarezza ha recentemente messo online il video della serata dibattito, all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=Fs8YFjq3IJI

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Author: Geppe Inserra

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