Quando Scola venne a Foggia

Il 27 marzo del 2012, l’Università degli Studi di Foggia ospitò Ettore Scola, che sei trovava in Puglia essendo il presidente del Bif&St – Bari International Film Festival.
L’interessante manifestazione fu il frutto di una positiva sinergia tra l’ateneo foggiano, che era allora guidato da Giuliano Volpe, l’Apulia Film Commission e la Biblioteca Provinciale di Foggia.
Il maestro parlò in un’aula magna gremita non soltanto di studenti universitari, ma anche di giovani e di ragazzi partecipanti al progetto “Piccoli spettatori per il grande schermo”.
Scola tenne un’autentica lectio magistralis, non soltanto sul cinema, ma sui più generali temi della cultura e della lettura.
Lettere Meridiane ha curato la trascrizione del discorso di Ettore Scola, e la propone come omaggio al grande regista. Particolarmente toccante la prima parte, in cui Scola parla delle ragioni che l’avevano spinto a decidere di non fare più cinema, della importanza della lettura e dei libri, e di come leggere libri sia un esercizio indispensabile anche per quanti vogliono fare cinema.
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Lo sapevo che oggi si sarebbe finito col parlare di me, che è la cosa che mi diverte meno, perché  con l’età si assume una diversa concezione del tempo, perché ne resta meno ed è più prezioso. Perciò parlare di me mi sembra una perdita di tempo. 
Il fatto che l’Università di Foggia abbia deciso di promuovere un incontro con me, in occasione di una retrospettiva e che il suo rettore sia un archeologo non è un caso, perché di archeologia si tratta, forse un po’ più recente, però il mio cinema appartiene al passato. 

Ho smesso di fare cinema non perché perdevo il contatto con la mia contemporaneità, ma anche lì per questione di tempo. Vedevo che fare un film impegnava mesi, a volte anni, per la sceneggiatura, impegnava mesi, a volte anni, per la preparazione, la regia, il montaggio, e dopo un paio di anni ti accorgevi di aver fatto… una cosa, e questo secondo me è innaturale. Un uomo non è fatto per fare una cosa, e metterci tanto tempo. Qualunque cosa faccia. 
Il tempo dell’uomo è fatto per tante cose, la vita è fatta di tante sollecitazioni, tante sorprese, tante scoperte, e non si possono perdere due anni dietro un film. E poi comunque con l’avanzare dell’età avrei potuto fare altri due, tre o quattro film,  preferivo invece quello che rimaneva dedicarlo ad altro, per esempio a quello che voi siete in tempo a fare, e che secondo me è più importante di tutto: dialogare con quelli che vi hanno preceduto, ma non soltanto nel cinema, anche nella letteratura, nella poesia, nella pittura, scultura, nella musica, nell’artigianato. 
Non so se vi è mai capitato avere a che fare con un artigiano. Io sono nato in un piccolo paese (Trevico, in provincia di Avellino, n.d.r.), dove gli artigiani venivano a lavorare a casa, anche per fare, per esempio un vestito. Il sarto veniva a lavorare a  casa, il calzolaio veniva per fare le scarpe, e credo che quella sia stata la mia scuola più utile, la mia università. Passavo due, tre giorni a seguire la fabbrica di un paio di scarpe che era dedicato a me. Vedevo come dal nulla, da una pezza di pelle di vacca, nasceva poi un paio di scarpe. Quella inventiva, quella tecnica, quella passione che ci mettevano, mi ha insegnato quel poco che poi ho saputo. 
E poi, per esempio, è molto bello assistere alla nascita di un libro. Oggi è diventato più difficile. Si sperava molto nell’avvento dell’e book: c’avrai una biblioteca tutta nel computer, però pare che questa nuova conquista dell’ingegno umano non ha convinto, non ha conquistato i giovani. Perché il libro è un’altra cosa, non è solo l’informazione delle parole che furono scritte, il libro è possesso, contatto fisico, memoria di quella pagina. A volte ti ricordi delle frasi, senza ricordare che libro era, che storia era, però ti ricordi la collocazione di quel pensiero nella pagina. 
A metà della pagina c’era quel pensiero: ecco l’importanza della carta, della pagina, dell’odore. Gramsci diceva che quando riceveva i libri mentre era in prigione, era naturalmente una gran festa, ma che passava i primi giorni dopo l’arrivo a tenere stretti i libri, perché ne sentiva il contatto. Ancora prima di leggerli e rileggerli, aveva bisogno di questo contatto fisico con la materia scritta. Ecco, questo  s’è perso. 
Quando mi chiedono di dare un consiglio ad un giovane regista, quel che so solo dirgli è: cerca di leggere qualche libro, perché è quello che poi ti resterà… A parte che imparerai tutto della vita, leggendo un libro impererai molto anche sul cinema. Per esempio, il mio modo di girare l’ho imparato da Dickens. Che c’entra Dickens? C’entra, perché, per esempio, in lui c’è la descrizione di quello che è nel cinema il carrello. Dickens non sapeva cosa fosse il cinema, non era stato ancora inventato, ma fa cinema, a suo modo, quando deve descrivere un ragazzo che finalmente ammesso in un castello, intravede lontano, dopo un lungo corridoio, una stanza illuminata, ed esitando percorre questo corridoio, cercando di scoprire cosa ci sia in questa stanza, e a mano a mano che si avvicina (lo scrittore ci mette un capitolo a descrivere questa cosa) vede che dentro c’è una signora vestita di bianco, bellissima, in una poltrona. Mentre si avvicina alla stanza illuminata, questa donna acquista degli anni, diventa sempre meno bella, ha solo questo incongruo vestito bianco. E infine il bambino arriva alla porta della stanza, e si accorge che su quella poltrona c’è una vecchia, vecchissima signora vestita di bianco. 
Per il bambino, si tratta della scoperta della donna, della scoperta dell’amore, della della conoscenza, ma anche della scoperta della morte. Nel tragitto del corridoio aveva fatto tutta questa esperienza. Ecco una lezione di cinema che soltanto Dickens poteva dare. 
In quanti libri ho trovato, ho copiato, ho rubato inquadrature, piani-sequenza, avvicinamenti, allontanamenti, atmosfere che non avrei certo scoperto da me. Quindi l’unico consiglio che mi sento di poter dare se ce n’è bisogno – perché dei consigli non si ha mai bisogno – è veramente quello di leggere. Anche perché adesso tutto è un po’ contro la lettura. Anche le conquiste della tecnologia, come questa esperienza dell’e-book che non ha funzionato. 
Le occasioni di leggere che ti dà la vita diminuiscono, perché non è che avete due o tre ore da dedicare alla lettura: ci sono troppe cose da fare, troppe sollecitazioni, troppi contagi da cogliere, troppe occasioni di relazioni, di arricchimento, di svaghi, di viaggi. Tutte cose che a noi erano precluse, perché vivevamo in un’epoca miserabile, ed ecco perché da noi quattro, cinque ore venivano dedicate alla lettura. Non si può certo tornare a questo, però abbiate la lettura come un angolo prezioso. Sappiate che ogni giornata deve avere qualche momento dedicato alla lettura, se no non crescerete del tutto.
(1. continua)

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Author: Geppe Inserra

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