Quando l’uomo più ricco d’Italia era il foggiano Giuseppe Telfener

 di Maurizio De Tullio
Per quanto possa sembrare strano, c’è stato un tempo in cui Foggia ha avuto tra i suoi cittadini l’uomo più ricco d’Italia. 
Ingegnere, imprenditore, finanziere e Conte foggiano, si chiamava Giuseppe Telfener, per circa un decennio, verso la fine dell’800, fu un protagonista indiscusso del mondo italiano dell’economia e della finanza.
Con una punta di orgoglio, tengo a precisare di essere stato il primo a occuparmi a Foggia di quest’uomo straordinario, e non conosciuto quanto si dovrebbe, nella sua città.  Data la grandezza e la complessità del personaggio, sto curando (da 12 anni!) una monografia a lui dedicata, che sto completando con la collaborazione di due importanti studiosi, una torinese che vive a Londra e uno studioso nonché docente foggiano. Spero che l’opera possa finalmente uscire l’anno prossimo.
È incredibile ma anche increscioso come a Foggia il suo nome sia passato, in oltre un secolo e mezzo, praticamente inosservato. Eppure Carlo Villani lo conosciamo tutti, abbiamo tutti letto o consultato alcuni dei suoi libri più importanti e popolari. Il suo “Foggia nella storia” (1930) non si occupa di questo nostro primo, grandissimo personaggio. Anzi: Telfener viene solo citato in un veloce passaggio, quando Villani lo presenta come un “gentiluomo foggiano”, un imprenditore che ha fatto fortuna all’estero e che ha messo a disposizione carrozze e denari per ospitare sfarzosamente i sovrani d’Italia (Umberto I e Margherita di Savoia), in visita a Foggia il 16 novembre 1878. 
Per la cronaca, proprio alla stazione di Foggia, tale Alberigo Altieri tentò di lanciarsi verso il Re per colpirlo ma fu fermato appena in tempo, tanto che quasi nessuno si accorse di quanto accaduto! Nemmeno i giornalisti presenti, cosicché l’episodio non ottenne alcun passaggio sulla stampa dell’epoca. Era, però, l’anticipo di quanto sarebbe accaduto il giorno dopo a Napoli, quando il sovrano subì il primo dei tre tentativi di omicidio, ad opera del lucano Giovanni Passannante. Il terzo, come si sa, fu ad opera dell’anarchico Gaetano Bresci nel 1900 a Monza, e gli sarà fatale.

Così, laddove nessun altro storico o giornalista locale ha ritenuto di scavare nella vita di Telfener, foggiano ma dal cognome improbabilmente foggiano, ci ho provato una dozzina di anni fa, attratto – lo ammetto – da questo cognome simpatico e curioso.
Giuseppe Telfener, foggiano da due generazioni, era di origine tirolese (austriaca) e proveniva dalla Val Gardena, al pari di altre quattro o cinque famiglie giunte in terra dauna per motivi non ancora accertati (è uno dei motivi per cui la mia ricerca è così lunga).
Nacque a Foggia nel 1836 (e non nel 1839 come scritto da un frettoloso storico locale, e tanto meno nel 1843 come ha scritto in un libro un altro storico, ma fiorentino). Fu un provetto ingegnere, laureatosi a Napoli, e operò sempre con idee ardite e innovative: progettò per primo la linea Foggia-Lucera (che però non gli fu approvata), lavorò col grande ing. Cottrau per alcuni progetti di ponti ferroviari e in altre tratte ferroviarie meridionali. Ma essendo uno spirito combattivo, si prese la rivincita lavorando con impegno e audacia soprattutto all’estero: prima in Sud America (1876-77) e poi in quella del Nord (1881-82).
In Argentina realizza quella che all’epoca fu per molti anni la ferrovia più lunga del continente, quella che collegò Tucumàn a Cordoba: 546 km (e non 720 come scritto sempre da qualche frettoloso e giovane storico locale…). Impresa straordinaria per la capacità di superare montagne, fiumi, asperità naturali, tanto che quasi tutti gli osservatori avevano previsto un abbandono del progetto. Telfener non lo abbandonò, vi riuscì e passò alla storia come uno dei più grandi e importanti progettisti e costruttori di ferrovie.
Per i suoi meriti imprenditoriali, nel 1877 il Re d’Italia, Vittorio Emanuele II, gli concede il titolo di Conte, e Giuseppe Telfener adotta quale motto nobiliare nominem lavoro honorat, cioè “il lavoro nobilita (nel senso che esalta – ndr) l’uomo”. Il neo Conte continuerà ad avere rapporti molto stretti con i Reali d’Italia, tanto che non pochi lo considerarono, ma erroneamente, “l’economo di Casa Savoia”. Da essi, anni dopo, rilevò e ricedette una grande Villa della capitale.
L’anno dopo (1878) il Governo nomina Giuseppe Telfener Commissario dell’Italia alla grande Esposizione Universale di Parigi (quella che oggi chiamiamo EXPO).
Negli Stati Uniti – dopo aver sposato a Roma nel 1879, in seconde nozze, Ada Hungerford, figlia di un milionario – dà vita ad un ambizioso progetto ferroviario: collegare New York a Città del Messico. L’idea era più articolata: voleva costruire la ferrovia utilizzando manodopera qualificata italiana alla quale avrebbe poi affittato a buon prezzo la terra adiacente, per il controllo e la manutenzione della linea. Telfener assume dall’Italia, tramite un amico impresario, circa 1.200 operai tra lombardi e trentini, che arrivano in Texas agli inizi del 1881.
L’ospitalità precaria e la logistica però delusero le attese e molti abbandonarono l’impresa. Ma il problema serio consisteva nel fatto che lo stato del Texas non avrebbe concesso alcun terreno gratis in quanto le terre libere erano esaurite. Infatti erano stati fatti dei calcoli sbagliati e fu, per l’occasione, revocata la legge del 1856, con grave danno economico per il nostro concittadino.
Telfener non si scoraggiò e portò avanti il progetto tanto che il 4 luglio 1882 a Victoria, dove aveva sede l’impresa, si festeggiò il completamento della tratta Rosenberg-Victoria, per complessive 91 miglia (sulle 350 previste inizialmente), ferrovia subito battezzata “Macaroni Railroad”, cioè la ferrovia dei maccheroni poiché questa era la scritta stampata sui sacchi di pasta che partivano dall’Italia e destinati ai lavoratori italiani.
Nel percorso tracciato da Telfener sono poi nate sei stazioni poi diventati piccoli centri abitati ai quali furono dati, all’epoca, i nomi delle due figlie dell’ingegnere foggiano e di sua cognata, il cognome del suocero, quello di suo cognato oltre a quello (seppur storpiato, per corruzione) dello stesso Telfener: Edna, Inez, Louise, Hungerford, MacKay e Telferner.
Nel 1884 il Conte foggiano, non riuscendo più a finanziare l’impresa, fu citato in giudizio e – dopo un lungo e angosciante processo – costretto a pagare un indennizzo di quasi 400mila dollari.
A fronte di un grande progetto imprenditoriale, si trattò purtroppo anche di un grande insuccesso finanziario, anche se parliamo del primo tentativo da parte di un imprenditore italiano di inserirsi nel campo delle ferrovie negli Stati Uniti, visti i 2 milioni di dollari spesi per realizzare una parte dei 630 km previsti.
Telfener cedette la proprietà al cognato John W. MacKay il 9 gennaio 1885 dopo l’annullamento dei permessi di costruzione e questi la rivendette alla Southern Pacific System.
In seguito, tornato in Italia, Telfener progettò la ferrovia per Vallombrosa (1892), una amena e già nota località montana della Toscana vicino Firenze ed elaborando per l’occasione un brevetto straordinario. 
Per trovare una soluzione al disagio dei villeggianti che si potevano recare in quella località solo in carrozza e dopo molte ore di viaggio, l’ingegnere foggiano progettò una innovativa ferrovia a cremagliera, realizzata fra Saltino e Vallombrosa sulla linea Roma-Firenze, che fu la prima in Italia a superare pendenze addirittura del 22%.
La costruzione di questa breve linea ferroviaria a cremagliera doveva servire sia ai turisti che ai tanti studiosi richiamati dall’importante “Istituto Forestale” e dall’imponente monastero. Dopo aver costituito a Firenze la “Società Anonima per la Ferrovia Sant’Ellero-Saltino”, Telfener lavorò personalmente al progetto, presentato nel novembre 1891 ed approvato nelle settimane successive. Grazie anche a sussidi e sovvenzioni pubbliche, i lavori cominciarono il 23 maggio 1892 e si conclusero il 20 settembre dello stesso anno: tutto ciò in meno di quattro mesi! Incredibile.
Grazie a Telfener si sviluppò in Italia il concetto di turismo montano, sulla scia di quello svizzero, e Vallombrosa divenne la prima stazione climatica italiana. In quell’angolo di paradiso l’imprenditore foggiano costruì anche chalet e alberghi ma negli anni a seguire vicissitudini, stagioni sfortunate, disimpegni, incendi e terremoti lo costrinsero a ritirarsi, minandolo probabilmente anche nel fisico. A ciò contribuì anche un suo coinvolgimento – anche se non diretto – nel famoso scandalo della “Banca Romana”.
In precedenza, grazie ai suoi contributi, di idee e soprattutto finanziari, Telfener aveva dato un grande impulso innovatore alla Società Geografica Italiana, finanziando molte iniziative, viaggi e imprese, tra cui la Sezione di Geografia Commerciale, da lui ideata e per la cui nascita donò una cifra pazzesca per l’epoca: 40.000 lire!
Dalla Real Casa Savoia aveva acquistato a Roma una grande villa che, rinominata Villa Ada (come dedica alla moglie americana, Ada Hungerford, attraverso la cui famiglia aveva potuto concludere le imprese e gli affari negli USA) divenne luogo di incontri politici, culturali, con lo svolgimento anche di concerti e gare di ippica. Oggi è il secondo parco più grande di Roma. Il 25 luglio 1943 quella villa – rivenduta ai Savoia – fu teatro di uno dei momenti più tragici del Fascismo: fu proprio a Villa Ada che Benito Mussolini venne arrestato. Il resto è storia nota.
A Roma Telfener aveva anche acquistato, rimodernandolo, il vecchio Mausoleo/Anfiteatro di Augusto (noto anche come Augusteo), fino ad allora usato per spettacoli di bassa qualità, compresi tornei di bufali! Ma le sue innovazioni si scontrarono con la burocrazia romana che gliele bocciò, costringendo a cederlo.
Si concesse per un breve periodo alla politica (candidandosi con la Sinistra) e in Umbria, nel collegio di Foligno, fu eletto deputato nel 1879. Ma – inviso a molti – fu considerato ineleggibile perché ritenuto “suddito austriaco”, nonostante fosse foggiano da quasi tre generazioni! Prese le cose con filosofia, dimettendosi.
Verso la fine del 1800, a Cenerente nei pressi di Perugia, dove ormai si era ritirato con la famiglia, aveva rilevato un vecchio palazzo del 1394 e lo aveva fatto ricostruire con un nuovo progetto. Nasce così il Castello dell’Oscano, autentica residenza aristocratica, ricca di libri e opere d’arte di grande valore, oggi trasformata in una residenza di lusso.
Purtroppo, però, Giuseppe Telfener godrà poco il Castello dell’Oscano: morirà, prematuramente, a Roma il 1° gennaio 1898 all’età di soli 62 anni. In America i grandi quotidiani titolarono: “Morto a Roma il Conte Giuseppe Telfener, l’uomo più ricco d’Italia”. Sua moglie, la contessa Ada, morirà a Cenerente, sede del Castello dell’Oscano, alcuni anni dopo.
Uno dei suoi figli, Paul, giocò nella squadra della Roma agli inizi del secolo scorso e suo nipote John Daniel – grande amico di Padre Pio – fu il primo amministratore della Casa Sollievo della Sofferenza. Delle due figlie, Edna sposerà invece Gino di Martino, anche lui figlio di nobile, cioè il senatore, deputato e Governatore della Somalia, Conte Francesco di Martino.
Un popolo che dimentica le sue origini, la sua Storia, le sue tradizioni, i suoi figli migliori, lentamente ha già cominciato a morire.
Per questo motivo credo che – come anche per il grande campione dello sport Ralph De Palma – la Città di Foggia debba dedicare a Giuseppe Telfener una via o una qualunque altra struttura pubblica.

Maurizio De Tullio

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Author: Geppe Inserra

6 thoughts on “Quando l’uomo più ricco d’Italia era il foggiano Giuseppe Telfener

  1. ho letto con interesse l'articolo e sono rimasta meravigliata di trovare nel testo un nome a me molto noto. sono di lecce, ma mia nonna, nativa di Faeto era la prima dei sei figli di Alberigo Altieri.ora non so se si tratta della stessa persona indicata nell'articolo, ma mi piacerebbe saperne di più. So del mio bisnonno che era socialista, che era o era stato segretario comnunale di Faeto che era sposato ad Angelina dei marchesi Cutinelli e che è morto nei primissimi anni del 1900. Lei sa darmi qualche altra informazione su mio nonno o sull'anarchico Alberigo? Sono la stessa persona? Grazie. Fernanda Franchini (fernandafranchini@libero.it Gradirei avere una risposta privata)

  2. Pochi anni fa, durante una mia ricerca su Telfener, ho scoperto che presso l'Accademia dei Lincei esistono alcuni esemplari del ricordino funebre del foggiano. Il suo decesso risulta avvenuto a Torre del Greco, il primo gennaio del 1898.
    Una discendente, Umberta Telfener, nata a Genova nel 1951, contattata poco tempo fa, è una celebre psicologa e psicoterapeuta.
    Ebbi modo di parlare, in maniera non ufficiale, circa la possibilità di intitolazione di una strada al Telfener (gli americani gli hanno dedicato addirittura un paese, storpiandone il nome in Telferner) ma mi fu risposto che per meriti non diretti verso la città non avrebbe avuto molte speranze di intitolazione.

  3. Ho un debito di correttezza verso Tommaso Palermo che ha scritto l'esatto anno di nascita di Telfener: in effetti era il 1839 e non il 1836 come da me indicato (ho tutta la genealogia della famiglia ma, andando a memoria, sono scivolato sulla classica buccia di banana!). Il frettoloso ero io, dunque, e non altri, che stimo pienamente. Del biglietto conservato presso l'Accademia dei Lincei, con la data di morte e l'indicazione di Torre del Greco, sono ugualmente a conoscenza, ma sono certo della morte romana del Conte.
    La Prof. U. Telfener, da me contattata una decina di anni fa, la lascerei perdere. Non solo non fu molto cortese con me, ma sostiene di non avere materiali sul bisnonno. Diversamente da quel che sostenne una sua zia, gentilissima ma anziana e malandata in salute, morta qualche anno fa, che mi inviò anche del materiale utile. E sulle notizie di famiglia chi mi ha smistato sulla figlia U.T. è stata addirittura sua madre, l'anno scorso!
    Sulla impossibilità di certe intestazioni mi sembra curiosa la cosa: forse Garibaldi, Mazzini, Kennedy e Ghandi hanno avuto a che fare con Foggia?!
    Su Alberigo Altieri mi informerò. Cordialmente (Maurizio De Tullio)

  4. Ho un debito di correttezza verso Tommaso Palermo che ha scritto l'esatto anno di nascita di Telfener: in effetti era il 1839 e non il 1836 come da me indicato (ho tutta la genealogia della famiglia ma, andando a memoria, sono scivolato sulla classica buccia di banana!). Il frettoloso ero io, dunque, e non altri, che stimo pienamente. Del biglietto conservato presso l'Accademia dei Lincei, con la data di morte e l'indicazione di Torre del Greco, sono ugualmente a conoscenza, ma sono certo della morte romana del Conte.
    La Prof. U. Telfener, da me contattata una decina di anni fa, la lascerei perdere. Non solo non fu molto cortese con me, ma sostiene di non avere materiali sul bisnonno. Diversamente da quel che sostenne una sua zia, gentilissima ma anziana e malandata in salute, morta qualche anno fa, che mi inviò anche del materiale utile. E sulle notizie di famiglia chi mi ha smistato sulla figlia U.T. è stata addirittura sua madre, l'anno scorso!
    Sulla impossibilità di certe intestazioni mi sembra curiosa la cosa: forse Garibaldi, Mazzini, Kennedy e Ghandi hanno avuto a che fare con Foggia?!
    Su Alberigo Altieri mi informerò. Cordialmente (Maurizio De Tullio)

  5. Rispondo alla lettrice Fernanda Franchini e, per conoscenza, ai lettori di LM:
    Su suo nonno avrò bisogno di un po' di tempo per informarmi. Circa, invece, l'Alberigo Altieri, anarchico, da me citato nell'articolo su Telfener, era nato a Faeto il 18 novembre 1841. Si trasferisce a Napoli per studi universitari e s'indottrina di idee anarchiche, divenendo internazionalista. Michele Magno, nel suo "La Capitanata: dalla transumanza al capitalismo agrario" (1999) lo cita come il più importante esponente anarchico del Subappennino Dauno (con N. De Liguori), mentre Franco Mercuriom in "Classi dirigenti o ceti dominanti?" (Grenzi, 2001) lo inquadra come maestro elementare e fondatore a Faeto, nel 1876, di una Soc. di Mutuo Soccorso a indirizzo internazionalista. La sua responsabilità nel tentato regicidio non fu del tutto accertata, anche se restano gli atti di Polizia.
    Le segnalo, infine, un Alberigo Altieri Alberto, che verso la fine del 1800 fu giornalista nella zona di Manduria e corrispondente del giornale "il Pungolo Parlamentare". Cordialmente (Maurizio De Tullio)

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