Patto solenne tra sei governatori regionali, questa mattina, alla Fiera del Levante. I presidenti dei governi regionali di Puglia, Basilicata, Calabria, Molise, Abruzzo e Marche hanno convenuto che le rispettive istituzioni appoggeranno tutte le iniziative utili ad impugnare le norme del decreto Sviluppo (governo Monti) e del decreto Sblocca Italia (governo Renzi) che consentono le trivellazioni marine per la ricerca di idrocarburi.
In particolare, le sei Regioni (cui dovrebbero aggiungersi anche Veneto, Sardegna e Sicilia) chiederanno l’indizione di un referendum popolare, che a questo punto sembra scontato, visto che per promuovere la consultazione è sufficiente la richiesta di cinque consigli regionali.
In Puglia si allarga dunque il fronte della protesta ambientale: oltre al nodo delle trivellazioni, c’è infatti la questione del gasdotto transadriatico (il cosiddetto TAP, acronimo che sta per Transadriatic Pipeline).
La gigantesca infrastruttura destinata a trasportare il gas naturale dall’Azerbaigian alle coste italiane per poi rifornire l’Europa, non piace ai salentini. L’approdo è previsto a San Foca, nell’agro del comune di Melendugno. Il fronte del no, che comprende lo stesso governatore regionale pugliese, è molto ampio, e vede assieme istituzioni, forze sociali e forze culturali, nonché la Chiesa.
La questioni non sono soltanto di natura ambientale (le prospezioni marine vengono condotte in modo parecchio invasivo, con esplosioni che provocano danni alla fauna marina) ma anche economica: la zona salentina interessata dal Tap è tra quelle a più alta vocazione turistica della Puglia ed è evidente l’impatto di una infrastruttura così pervasiva in una zona che affida la sua economia ai valori del paesaggio della qualità ambientale.
Però il gasdotto Tap è una infrastruttura nevralgica non solo per l’Italia, ma per tutta l’Europa e deve in qualche modo giungere in Puglia. Il punto è: perché a pagare debbono essere soltanto i pugliesi?
È mancato preventivamente un confronto istituzionale che potesse propiziare una soluzione condivisa, che contemplasse, per esempio, una qualche forma di risarcimento per le comunità interessate.
Il muro contro muro non giova a nessuno. La patata bollente sta soprattutto nelle mani del Pd, che corre il rischio di scottarsi e che, forse per questo, preferisce evitare una discussione aperta. Il braccio di ferro che oppone il governatore Emiliano al premier Renzi non è soltanto istituzionale, ma anche politico, e tutto interno al centrosinistra, visto il rilievo dei due personaggi in seno al partito di maggioranza relativa.
Per questo sarebbe ora che il Pd dica, sinceramente, cosa vuol fare da grande.
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