Mi inquieta, e m’addolora, questa Foggia che non sa tenersi i suoi edifici. Sembra quasi che quel destino che tante volte ha infierito sulla città, portando con sé terremoti, guerre e distruzioni, alla fine l’ha contagiata.
Dovrebbero far riflettere, le immagini della demolizione della ex Scuola Media De Sanctis prontamente fatte circolare in rete da Nico Baratta. Dovrebbero insegnare qualcosa, dovrebbe farci interrogare sul senso della città
A me provocano angoscia e tristezza, e non soltanto perché in quella scuola media ho vissuto tre anni della mia vita. C’è una ragione ancora più amara: quell’edificio è il primo che abbia visto nascere e morire, in questa città desolata, ma che non sa desolarsi.
Quando ero bambino amavamo passeggiare con mio nonno per quella parte della città, non molto lontana dalla casa dove abitavamo. Il posto dove sarebbe sorta la scuola m’incantava. Era il pezzo di Foggia che preferivo: un lembo di città lussureggiante di verde, che si apriva in una periferia sempre assolata.
Là sorgeva il Tiro a Segno: avvolto da alberi maestosi e dal mistero di cartelli che proibivano di avvicinarsi, di spari che di tanto in tanto rompevano il silenzio della campagna della campagna incombente del Tavoliere, che cominciava appena dopo lo Zaccheria.
Sembrava un luogo fatto apposta per far sognare un bambino, ma un giorno comparvero cartelli che annunciavano la costruzione della scuola. All’inizio mi dispiacque sapere che il Tiro a Segno sarebbe stato trasferito altrove. Cambiai idea quando mio padre mi portò a conoscere il preside della De Sanctis, che era allora sistemata molto precariamente a Palazzo Dogana.
Le aule erano anguste e precarie, assai meno belle e ampie di quelle della mia scuola elementare la De Amicis. E così, fui contento rendendomi conto che avrei frequentato le medie in una scuola bella, luminosa, e moderna.
Se le aule di Palazzo Dogana erano bruttine, il preside era invece una bella, bellissima persona. Era amico di mio padre, abitavamo molto vicini, e non era infrequente che facessimo lo stesso tragitto. C’era da superare Viale Ofanto, e il preside Russo – così si chiamava – non si faceva scrupolo ad aiutare i suoi studenti, specie quelli più piccoli, ad attraversare l’incrocio, che era piuttosto pericoloso.
Sono stati anni belli: grande latinista, il preside Russo mi ha inculcato, con la complicità di mio padre (e di questo sarò per sempre grato a entrambi) l’amore per gli studi classici. E poi c’erano il prof. Clemente, che insegnava matematica, il prof. Calabrese, che insegnava materie letterarie con un personalissimo metodo (divideva la classe in squadre e le faceva gareggiare tra di loro), il prof. Longo di disegno, il prof. De Michele di inglese.
Da allora è passato mezzo secolo circa, e il palazzo avrebbe meritato certamente una sorte migliore e un maggior affetto da parte della cittadinanza. Non sto a raccontarvi del suo declino che è cosa nota, e comune a tanta altra parte del patrimonio immobiliare pubblico: gli atti di vandalismo, la crisi demografica che ha provocato lo svuotamento degli edifici scolastici, l’incendio, l’incapacità di immaginare contenuti che riempissero di senso e restituissero alla vita la scuola, semmai riconvertendola.
Ma Foggia è fatta così: si parla tanto e forse troppo di contenitori, ma quando si tratta di produrre contenuti, casca l’asino.
“Speriamo che questa demolizione serva a farla ricostruire, a non far prevalere la prepotenza del cemento sulla nobiltà e utilità della formazione scolastica”, scrive Nico Baratta, commentando la sua foto. Condivido, ma sarà possibile se la città comincerà a sentire finalmente suoi i palazzi pubblici, bene comune per costruire il futuro.
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Ditemi – ve ne prego – di un'altra città in Italia, fosse pure Scampìa a Napoli, Palermo, la peggior Calabria, dove si demolisce una bella, grande e moderna scuola perché vandalizzata da ripetuti incendi, furti, gratuite devastazioni.
Io voglio, ardentemente voglio (nonostante tutti pensino il contrario), il bene e la rinascita di Foggia. Ma vedo ovunque (tranne infinitesimali esperienze e situazioni) il male prevalere. Un male che si chiama incuria, egoismi, silenzi, ignoranza, ottusità, indolenza, refrattarietà, sottomissione, volgarità.
Il male diffuso cresce e si moltiplica. Il bene comune è raro e sconosciuto.
Ribadisco un mio vecchio adagio: Foggia è destinata a implodere.
Cordialmente e amaramente (Maurizio De Tullio)
Concordo, non senza sofferenza, con l’analisi dell’amico De Tullio.