Quella pseudo sinistra che insulta i meridionali

Le critiche e in qualche caso perfino gli insulti raccolti
da Matteo Renzi dopo la direzione nazionale monotematica dedicata dal Pd alla
questione meridionale dicono che forse il premier ha colto nel segno, facendo
risvegliare tutto intero quel partito del nord che non perde occasioni di
stracciarsi le vestiti e di gridare allo scandalo, quando da parte del governo
si tenta di far qualcosa di buono per il Sud.

Il partito del nord si distingue per essere decisamente
trasversale, e lo dimostra anche in questa occasione, mettendo assieme i
leghisti di Salvini e quella certa sinistra radical chic con la puzzetta sotto
il naso (che di sinistra ha ben poco) interpretata da Eugenio Scalfari, che
commentando come ogni domenica l’attualità politica sulle colonne di Repubblica
offende i meridionali gratuitamente e per giunta senza motivare – come ogni giornalista dovrebbe fare – le sue pesantissime considerazioni.
“Tre ferite aperte e purulente che concorrono alla mancata
crescita del paese, –
scrive il ondatore di Repubblica –  antiche quasi come l’unità d’Italia. La nostra storia
nazionale ha avuto anche aspetti positivi, altri pessimi, ma Mezzogiorno,
occupazione e fisco sono state tre zavorre permanenti che hanno ostacolato il
nostro cammino verso la modernità facendo aumentare la corruzione, le mafie, la
tendenza verso regimi autocratici e addirittura dittatoriali.
Cristo si è fermato ad Eboli? Purtroppo no, se con la parola
Cristo intendiamo il bene pubblico; si è fermato molto prima, a Cuneo, come
disse alcuni anni fa il sindaco di quella città, oppure a Verona, a Bergamo, a
Bologna, ma non più oltre.”

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Author: Geppe Inserra

1 thought on “Quella pseudo sinistra che insulta i meridionali

  1. Ciò che davvero non sopporto dell'atteggiamento autoassolutorio di gran parte dei cittadini meridionali – intesi come classe dirigente, politici, giornalisti, intellettuali e persone comuni – è il non vedere il male quando questo si manifesta.
    E il male, qui al Sud, ha tante manifestazioni e patologie e, quasi sempre, scarse o improduttive diagnosi e, quel che più occorre, corrette soluzioni.
    Ho lavorato 19 anni in Provincia. Da Giulio Miccoli – che nei pochi mesi in cui operò fu l'unico che girava per gli uffici, non per controllare i dipendenti ma per assicurarsi di come procedesse il lavoro, di quali problemi fossero caricati i lavoratori – ad Antonio Pepe, ho visto di tutto e di più. Molte cose erano evidenti anche ai ciechi, altre solo a noi che vi operavamo dall'interno.
    Non sto qui a dettagliare anomalie o a fare la pagella a Presidenti, Assessori e Dirigenti. Voglio però dire che voci come 'Formazione Professionale', 'Attività Produttive' e 'Cultura' – esclusa la prima, straordinaria Giunta del Prof. Antonio Pellegrino – sono quelle che hanno rappresentato le grandi falle del nostro sistema politico-amministrativo (nostro inteso come Sud). Falle come occasioni per sprechi enormi, interessi privati in luogo del bene pubblico. Dov'erano quelli che oggi fanno la voce grossa contro i politici ladri e corrotti?
    Per tornare al discorso iniziale, trovo che il vero nodo del male che il Sud fa a se stesso, sta nel non avere il coraggio di cambiare, di mettersi davvero e radicalmente in discussione, o di farlo per finta. Gattopardescamente…
    Il fatto che la colpa sia sempre degli altri è un atteggiamento terribilmente infantile, che non fa che peggiorare la situazione ed è ancora figlio di quel 'familismo amorale' che, per tantissimi versi, ci perseguita da sempre.
    L'emigrazione dei giovani meridionali viene spesso dipinta come la risposta inevitabile ad un disagio profondo. Io non credo che i giovani emigranti italiani siano comparabili con quelli che approdano sulle nostre coste dall'Africa o dall'Asia.
    Nel nostro cercare fortuna all'estero ci vedo più una arrendevolezza culturale. I nostri figli che volano a Londra, Berlino, Parigi, San Francisco o Barcellona sono molto spesso figli della media borghesia. Quella che ha i soldi, intendo. Ma che non ha la testa. Penso – ma posso sbagliarmi – che basterebbe innanzitutto mettere insieme idee, capacità personali, testardaggine, economie di famiglia per fare qui quel che spesso si va a fare fuori. Non parlo di baristi e camerieri, evidentemente.
    Non si emigra per fame, come un tempo. Si emigra per realizzarsi. Posso capire chi lo fa a 35-40 anni perché le ha provate tutte, ma so di 20enni, 25enni che sembrano già stanchi della vita a quell'età e cercano un "riscatto" volando oltralpe e oltremanica. Il che è lecito. Ma che Italia lasciamo quando partiamo? Lasciamo alle nostre spalle mafie, camorre, ndranghete, piazzisti e populisti che finiranno per spartirsi quel che resta di questo lacero Paese.
    Quel che dico può sembrare in antitesi con certe mie considerazioni su Foggia e i foggiani, ma non è così. Continuo a ritenere questa mia città e gran parte dei suoi cittadini un 'unicum' nazionale, una anomalia inspiegabile, una realtà destinata a farsi sempre più male, nonostante i tanti giovani (e non) che remano nel verso giusto, che si sacrificano per migliorare o cambiare lo stato di cose.
    Cordialmente (Maurizio De Tullio)

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