Mons. Pelvi: “Inauguriamo per Foggia la stagione dei doveri”

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Nel suo primo messaggio rivolto alla comunità cittadina, l’arcivescovo di Foggia, mons. Vincenzo Pelvi, avva individuato nell’accidia il male più profondo della città. Nel messaggio ai fedeli in occasione della festività patronale, l’invito si fa pressante: bisogna superare un approccio puramente emotivo all’esistenza, bisogna tornare alla pratica del pensare,
del confronto, del dialogo, della pazienza, del sacrificio. Un appello generale alla responsabilità. Un messaggio assai ricco di umanità, m anche di speranza e di fede. Eccone il testo integrale.

* * *

Carissimi,
come dinanzi ad un album di famiglia, sfoglio nella
mente e vedo scorrere le nostre giornate. Siamo un poco tutti alla
finestra a guardare, aspettando che passi questo tempo di confusione,
interessi soggettivi e formalismi ipocriti.
Nulla è impossibile a
Dio. Con la grazia del Signore desidero con voi che rifiorisca
l’ospitalità, l’accoglienza, l’amicizia ma soprattutto l’amore
coniugale.
Accostando le storie familiari della nostra Città,
ascolto spesso inconsapevoli paure e sofferte solitudini. Tra noi c’è
tanto dolore gridato e soffocato, espresso con lacrime cocenti e brividi
di vuoto: bambini con gravi patologie, adolescenti con significative
disabilità, mancanza di cibo e di lavoro, lutto per la tragica morte di
figli, offese alla dignità della persona umana. E, nonostante così
immensa passione, vedo aumentare quotidianamente le separazioni
coniugali.
Nelle nostre famiglie, pur radicate nei valori
evangelici, spesso noto l’assenza di uno dei genitori, particolarmente
il padre, che vanifica il ruolo dell’altro. Sembra che non ci siano più
genitori e figli, perché tutti si collocano sullo stesso piano per età,
autorità e mentalità. Tutti esigono gli stessi diritti, hanno gli stessi
gusti e si comportano alla stessa maniera. Verifico come adulti e
ragazzi diventano succubi delle medesime insicurezze e fragilità
(alcool, droga, aggressività, sessualità).

Purtroppo viviamo solo
con un approccio emotivo all’esistenza. Si scelgono, infatti, emozioni
immediate, travolgenti, di breve durata, incapaci di giungere alla
profondità delle cose. A nessuno sfugge la precarietà delle emozioni che
porta a dei comportamenti che sfociano anche nella morte o in infermità
permanenti. Penso agli incidenti stradali di questi mesi, agli atti di
violenza, alle notti sballate e a quegli atteggiamenti sessuali
spregiudicati, dove non si è coscienti di quello che si sta commettendo.
Quasi sempre un attimo d’incoscienza distrugge la propria vita e quella
di tanti innocenti. Se capissimo che le emozioni hanno bisogno del
supporto della ragione saremmo tutti interiormente più pacificati,
consapevoli che la dimensione affettiva esige quella valutativa.
Come
vostro fratello nella fede, vorrei invitarvi alla pratica del pensare,
del confronto, del dialogo, della pazienza, del sacrificio: vie
provvidenziali per acquisire la capacità di mediazione e di perdono. Un
matrimonio non può essere meraviglioso o da interrompere… è solo
impegnativo; un lavoro non può essere solo gratificante o da cambiare… è
solo faticoso; un’amicizia non è solo totale oppure odiosa… ha dei
passaggi che maturano nel tempo.
Accettiamo con gioia la
responsabilità delle nostre scelte, di un progetto di vita che può dare
senso al vissuto. Diversamente saremo sempre più egoisti perché intenti a
voler tutto e subito secondo i propri bisogni e senza alcuna attenzione
agli altri.
Inauguriamo nella nostra Città la stagione dei
doveri, prendendo sul serio il lavoro, l’educazione dei figli, l’impegno
sociale, l’esperienza di fede. E, soprattutto, impariamo a riconoscere i
nostri limiti rifiutando con determinazione la mentalità di onnipotenza
secondo cui tutto è accessibile e dovuto. L’amore evangelico non è mai
nell’io, ma nell’incontro tra un io e un tu, dove non ci sono pregiudizi
o verdetti ma prospettive di speranza. C’è qualcosa di più alto che
vincere o perdere: è donarsi.
Consideriamo, perciò, la nostra
finitudine riscoprendoci creature e allontanando ogni forma di
prepotenza. Ciò è obbedire alla volontà del Signore. Tutto ciò manifesta
la testimonianza della parola di Gesù: ogni giorno prendete la vostra
croce. In tal modo sapremo padroneggiare le emozioni e costruire
affettivamente audaci e forti relazioni.
La devozione alla nostra
Patrona non è fatta di parole ma di vita nuova. Permettiamo alla Vergine
di spalancare i cuori, di aprire le porte delle nostre case perché vi
entri per medicare le ferite sanguinanti, spezzare le catene delle
divisioni, far brillare la luce della fiducia, dare coraggio alla
carovana di chi è deluso e stanco, donando il balsamo della
consolazione.
Papa Giovanni XXIII, in un periodo di crisi come il nostro, in piazza san Pietro invitava la folla: Guardate come è bella la luna stasera, tornate a casa e date una carezza ai vostri bambini.
Anche a voi stasera vorrei dire di tornare a casa ripartendo dalla
bellezza e dalla tenerezza di cui tutti abbiamo bisogno. All’interesse,
al profitto, alla lotta, al disagio sostituiamo la tenerezza di una
carezza e la bellezza di Gesù che guarisce le ferite. Gesti di bellezza e
di tenerezza apriranno il cuore alla condivisione e saranno semi,
fragili ma audaci, che basteranno per camminare insieme sino
all’eternità.

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Author: Geppe Inserra

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