Di Big Jimmy, il popolare buttafuori del Grande Fratello e di Avanti un altro di Bonolis, stroncato da un aneurisma cerebrale nella sua Ischitella a soli 48 anni, ho un ricordo tenero e indelebile, che risale a quando Jimmy muoveva i suoi primissimi passi del mondo della boxe, che avrebbe presto abbandonato (non prima di aver comunque effettuato quattro incontri da professionista, vincendone tre e perdendone uno) per dedicarsi allo spettacolo.
Ero presidente della Pugilistica Taralli e quell’anno la Federboxe ci aveva affidato l’ambito compito di organizzare il campionato italiano canguri, che rappresentava l’anticamera della boxe dilettantistica.
Allora Big Jimmy si chiamava ancora Girolamo Di Stolfo, si era trasferito al Nord con la sua famiglia, ma per i paesani era già una leggenda, tant’è vero che vennero a vederlo in massa, al Palazzetto di Atletica Pesante “A.Taralli”, la sera della finale.
Girolamo, che gareggiava nella categoria dei supermassimi (era alto più di due metri, per oltre un quintale di peso) mi colpì prima di tutto per la sua affabilità solare e…per come mangiava.
La mattina delle finali, assieme all’indimenticabile Vincenzo Affatato, vero deus ex machina della manifestazione, facemmo un sopralluogo nell’hotel dove alloggiavano gli atleti (era il Sarti, che di lì a poco avrebbe chiuso i battenti) per verificare che tutto andasse a dovere.
Era buon mattino, e i pugili stavano facendo colazione, poco prima delle operazioni di peso, che nei tornei di boxe rappresentano un momento critico, soprattutto la sera della finale. Se il pugile non rientra nei limiti di peso della sua categoria, viene squalificato.
Per questa ragione, molti ragazzi non avevano toccato quasi niente dell’abbondante buffet servito dall’hotel, temendo il verdetto della bilancia. Diversamente da tutti gli altri, Girolamo non aveva problemi di peso (nella categoria del supermassimi, per ovvie ragioni, esiste solo il limite minimo) ma in compenso tanta fame. Razzolava allegramente i resti lasciati dagli altri atleti: gli vidi trangugiare almeno una decina di cornetti, tra sorrisi e un’esuberanza che tradiva una infinita gioia di vivere. Trasmetteva un entusiasmo contagioso, e ci confidò che per lui il pugilato non era l’obiettivo della vita: quel che sognava era il cinema, oppure la televisione.
Arrivò la sera, e il Palazzetto Taralli era stracolmo di spettatori. Tantissimi erano venuti apposta per lui. Da Ischitella avevano noleggiato perfino un pullman, e Girolamo sentiva l’emozione. “Voglio vincere il titolo, che figura farei con tutti questi che sono venuti apposta per me?”
Per le ragioni che ho spiegato prima (esiste un limite inferiore di peso, ma non quello superiore), può accadere che nei supermassimi s’incontrino atleti con una differenza di peso e di statura considerevole, cosa che non accade nelle altre categorie. Così accade quella sera.
Tra Big Jimmy e il suo avversario dovevano esserci almeno venti chili e venti centimetri di differenza. Il match sembra una sfida impari, ancora prima che cominciasse. Al suono del gong, mentre Girolamo sorrideva sornione, l’avversario sembrava evidentemente impaurito. Il combattimento durò pochi secondi. Il tempo che Girolamo ci mise a piazzare un diretto, neanche tanto forte, al fianco dell’avversario, ma tanto bastò a metterlo in fuga. Il malcapitato contendente, sconcertato dalla mole di Jimmy, non aspettò neanche che il secondo gettasse la spugna per segnalare all’arbitro la resa. Dopo aver fatto segno di noi coi guantoni, se la dette proprio a gambe, scavalcando le corde del ring, per sottrarsi ad altri colpi ad opera quella specie di maciste in canottiera.
Big Jimmy, che già da allora mostrava evidente la vocazione dello spettacolo, festeggiò la vittoria da par suo, mettendosi a gare capriole sul ring. Non dimenticherò mai quel rumore: scosso dal quintale e passa del buon gigante, il quadrata pareva risuonare del suono di cento tamburi.
Parenti e amici ischitellani di Girolamo invasero il ring per festeggiare a loro volta, e ci volle un bel po’ per riportare la calma e consentire all’arbitro dell’incontro di pronunciare il verdetto che vide Di Stolfo aggiudicarsi il combattimento e il titolo, per abbandono dell’avversario, alla prima ripresa.
Le sue performance televisive hanno sempre esibito il volto duro del buttafuori, invece Girolamo dimostrò a Foggia di avere un cuore grande e, soprattutto, di saper sorridere e amare la vita. Peccato che sia finita così presto.
Addio, caro maciste in canottiera, mio gigante buono.
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