Da alcuni giorni a Foggia, l’erogazione della energia elettrica procede a go go, con frequenti interruzioni e blackout. I disservizi durano pochi minuti, ma si ripetono con impressionante frequenza, mettendo a durissima prova la funzionalità di elettrodomestici, personal computer e relative periferiche, impianti antifurto e hard disk, che, come si sa, sono particolarmente sensibili ad eventi di questo tipo.
Non è per niente una novità. Inconvenienti così succedono spesso, e soprattutto nella stagione estiva, quando l’accensione dei climatizzatori provoca una maggiore domanda di energia che la rete non riesce a soddisfare. Il problema è che nessuno se ne lamenta, né il gestore della rete elettrica si è mai sentito in dovere di spiegare cosa non va agli utenti.
Nella società dell’informazione un blackout può provocare seri danni: ne sanno qualcosa un paio di miei hard disk danneggiati dalle frequenti interruzioni (che spesso con consistono in veri e propri blackout ma in quelli che i tecnici chiamano drop out: interruzioni di pochi secondi o spesso anche millisecondi, più letali dai blackout). Per non perdere più i dati sono stato costretto a comprare costosi gruppi di continuità. Quanti altri utenti e perfino imprese sono stati costretti a sobbarcarsi una tale spesa?
Al danno si aggiunge così la beffa. La provincia di Foggia è diventata la maggiore produttrice italiana di energia elettrica da fonti rinnovabili, pagando un dazio pesante in termini di impatto paesaggistico ed ambientale. Ma i suoi cittadini non usufruiscono di un servizio elettrico di qualità.
Mi chiedo cosa succederebbe se tutto ciò avvenisse a Milano. State pur sicuri che si tratterebbe di un fatto così clamoroso, che conquisterebbe la copertina dei quotidiani e l’apertura dei telegiornali.
Non da noi: siamo rassegnati a servizi pubblici che non funzionano. Ma rassegnarsi significa rinunciare alla speranza che le cose vadano meglio, che le città e i quartieri funzionino, e così i servizi.
Sta anche in questa rassegnazione una delle ragioni dello storico e sempre più grave divario tra Nord e Sud.
Si dice spesso che la questione meridionale è stata completamente rimossa e dimenticata. Ma una delle ragioni va cercata in questa rassegnazione endemica, quasi patologica, di noi meridionali. In questo fatalismo atavico che ci intorpidisce e ci impedisce di costruire un cambiamento vero.
Non riusciamo più a stupirci di niente. Neanche della luce a singhiozzo.
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