Un elettore su due non si è
recato alle urne, il 31 maggio, in sette regioni del nostro Paese. Nella
Provincia di Foggia l’astensionismo ha raggiunto livelli ancora più
preoccupanti. Un trend che prosegue dopo quello registrato nei mesi scorsi in
Emilia Romagna e nelle elezioni locali del Trentino Alto Adige, un segnale che
non è stato da lezione per tutta la politica. Un dato che deve farci riflettere, ci deve preoccupare tutti, tutti coloro a cui sta a cuore il destino della
nostra democrazia.
Un evidente segnale della crisi della rappresentanza
politica che si estende a quelle sociali e di categoria, compreso il Sindacato
Confederale. I cittadini non trovano più un punto di riferimento in cui
identificarsi. Questa lunga crisi economica che ha colpito l’Europa e l’Italia, le politiche del rigore,
rischiano di minare nelle fondamenta i valori e i principi democratici
cresciuti dopo la tragedia della seconda guerra mondiale.
Nel contempo, anche
nel nostro Paese, prevale l’idea che le organizzazioni politiche e sociali
rappresentino un freno e un ostacolo per il futuro. Ecco prevalere la
suggestione dell’uomo solo al comando in grado, con la sua azione, di
modificare in meglio il destino di ciascun cittadino. L’uomo solo al comando
che dialoga direttamente con gli elettori senza la necessità di forme
organizzate di intermediazione.
Le forze sociali, compreso il Sindacato
Confederale, sono coinvolte da questi processi epocali. Di qui l’esigenza di
una profonda riflessione e di un rinnovamento che riguarda anche noi, se non
vogliamo essere travolti in tempi brevi da questi processi presenti nella
nostra società.
Nei giorni scorsi il Governatore della Bce, Mario Draghi, ha
proposto l’eliminazione dei contratti nazionali di lavoro a favore di quelli
aziendali, un modello che porterebbe al tramonto del sindacato confederale in
favore di tanti piccoli sindacati aziendali. Questo dovrebbe far riflettere il
Presidente del Consiglio, altro che sindacato unico.
Dobbiamo opporci con forza
a questa idea in quanto produrrebbe
innanzitutto un perdita della forza del mondo del lavoro, portando ad un
ulteriore perdita di diritti per i lavoratori. In questo contesto si rende
necessaria una forte ripresa del processo unitario del sindacato confederale, (
e non un sindacato unico), uniti riusciamo a rappresentare e tutelare meglio la
condizione dei lavoratori e dei pensionati, la storia ci insegna invece che le
divisioni portano a sconfitte, che portano prima di tutto un danno per chi
rappresentiamo.
Gli effetti della lunga crisi, l’impoverimento di interi ceti
sociali comporta l’insorgere di un disagio e di un rancore che si tramuta in
fenomeni di razzismo, una guerra fra gli ultimi per la salvezza della propria
esistenza. Noi combattiamo ogni giorno questo fenomeno, lo Spi in Capitanata,
sarà sempre in prima linea per fermare queste tendenze, che emergono ogni
giorno di più nei luoghi della nostra Provincia. Per invertire questa tendenza
alla dissoluzione della coesione sociale è necessaria una svolta nelle
politiche economiche e sociali, sia nel nostro Paese che a livello europeo, nel
contempo le forze politiche devono comprendere che devono affrontare con forza
i temi della legalità e della lotta alla corruzione, che non sono più
tollerabili e che provocano nei cittadini un rigetto diffuso verso la politica.
Si è festeggiato il 2 Giugno (con scarsissima partecipazione della politica e
dei corpi sociali, tranne la parata sul palco con il Presidente della
Repubblica a Roma), la nascita della nostra Repubblica. Purtroppo è stata un’ulteriore
occasione perduta dalla politica per riflettere su questi temi e per ribadire i
valori per cui è nata e che sono racchiusi in quella bella nostra Costituzione,
che contiene principi tuttora validi sin dal primo articolo: “ l’Italia è una
Repubblica fondata sul lavoro”. Ripartiamo da questa Carta per ridare una
speranza all’Italia, per far si che ciascuno ritrovi un senso comunitario con
cui affrontare il nostro tempo.
Views: 2