L’amico Alfredo Signorile deposita sul mio profilo facebook le seguenti interessanti considerazioni sul luogo comune dello scarso contributo meridionale alla Liberazione: “Alla grave affermazione di Salvini sull’assenza di partigiani nell’Italia meridionale, ha risposto degnamente Geppe Inserra sulla presenza dei nostri conterranei e soprattutto delle nostre donne del Gargano e del sub-appennino che hanno contribuito fattivamente alla resistenza. Ciò che più mi meraviglia è che, nonostante tutto, a Foggia siano sorte alcune sezioni politiche Noi con Salvini“.
Signorile si riferisce alla lettera meridiana intitolata La forza delle donne, in cui ho ricordato le sommosse che si registrarono in pieno regime fascista ad opera delle donne di Monteleone di Puglia e di Cagnano Varano. Va detto anche che l’articolo ha suscitato un interessante dibattito (ne darò conto nei prossimi giorni) su una questione non secondaria: si possono ritenere episodi di antifascismo proteste popolari determinate dallo stato di miserie e di prostrazione in cui la popolazione versava a causa della guerra? È difficile dare una risposta univoca a questa domanda: gli episodi di Monteleone e di Carpino non possono considerarsi strettamente espressione di antifascismo, se guardiamo all’antifascismo come un movimento organizzato ideologicamente e consapevole. Ma sono certamente espressioni di profondo malcontento popolare verso il governo fascista e come tali hanno svolto un ruolo nel creare quell’humus che ha poi portato alla Liberazione.
Tornando alle riflessioni dell’amico Signorile, non entro nel merito delle considerazioni del leader leghista, che mi sembrano tuttavia molto miopi…
Mi sembra che la migliore risposta a quanti ancora cianciano di marginalità del contributo del Mezzogiorno alla Liberazione stia nelle parole scritte dall’allora sindaco di Foggia, Luigi Sbano, all’indomani del 25 aprile 1945, a conclusione dell’orrenda guerra che aveva visto Foggia tra le sue involontarie protagoniste, con il sacrificio di migliaia di vite umane.
Di seguito un ampio stralcio dell’editoriale Saluto ai caduti, scritto da Sbano nel numero di Ricostruzione Dauna andato in edicola il 6 maggio 1945. Potete scaricare il giornale cliccando qui.
Milioni e milioni di cadaveri sono ammonticchiati al cospetto della storia, giacendo fra macerie fumanti, su dirupi montani, nelle profondità marine, su piane sconfinate, tra fango polvere gelo, senza contare coloro che hanno rimesso parte di se stessi… e sono grandi mutilati e per sempre invalidi.
V’è gente che è morta nel sonno, senza colpe, senza difesa, senza offendere.
V’è gente che è caduta combattendo, ma vi è anche gente – ahi, quanta – che è caduta inerme al suo posto di lavoro.
A Londra, a Berlino, a Roma… come a Foggia.
C’è gente di ogni colore, venuta di lontano, da terre sconosciute, in mezzo a gente sconosciuta, che qui, nell’Europa ha trovato la sua tomba ed il suo altare.
Vi sono i patrioti della nuova Italia che hanno esposta la loro vita al pericolo costante nella lotta clandestina contro il fascismo, e poi – venuti alla luce – hanno imbracciato l’arma per la suprema battaglia.
Vittime tutte d’una lotta senza quartiere: impressionante, terribile, forsennata.
Gente sacrificata da una parte per il male, per l’oppressione, per la schiavitù, dall’altra per il trionfo di un ideale non egoistico, non ristretto, spaziante: l’ideale supremo della libertà e della democrazia.
Se ci astraiamo un momento, ci parrà ancora sentir rombare nel nostro cielo gli apparecchi seminatori di distruzione e di morte. Scuotendoci ci accorgiamo che essi, tra rovine e dolori, ci hanno arrecato il gran dono della liberazione.
Senza quelle vittime di Londra non ci sarebbe libertà, perché l’oppressione sarebbe durata; senza le vittime di Berlino e di Roma e di Foggia la libertà non si sarebbe conquistata.
Ormai è finita.
Ormai quegli uomini che si sono immolati, quelle madri, quei bimbi, quei piccoli che ebbero la vita troncata sono lì di lontano a guardare: a guardare noi che qui attendiamo alla ripresa della vita civile, bandite tutte le dittature, tutti gli schiavismi, taciuto il cannone, scomparsa ogni minaccia di aggressione e di pericolo.
Salutiamo tutti i morti, accomunandoli nell’ora della resa dei conti: salutiamo tutte le vittime grandi ed oscure quanto incolpevoli della lotta. Dal loro sangue germoglia un seme che non deve andare disperso: quello della resurrezione.
Luigi Sbano
Views: 0
Ci risiamo, caro Geppe,
ci risiamo con gli accostamenti inaccostabili, con i numeri sparati a casaccio.
Foggia in quei terribili mesi dell'estate del '43 ha subìto atroci distruzioni, ha visto morire migliaia di inermi cittadini, ma come si fa ad accostare la distruzione di Foggia (città, comunque la si voglia pensare, obiettivo militare strategico) con le vittime innocenti di Sant'Anna di Strazzema, di Marzabotto, delle Fosse Ardeatine?
E allora, anticipando i risultati della prima parte della ricerca storica che – come sai – sto conducendo da anni, i morti accertati di Foggia (tedeschi compresi) tra maggio e ottobre 1943 furono al di sotto delle 2.000 unità. E considerando quelle a cui non si è potuto dare un nome non furono oltre le 7-8.000. Sempre troppe, frutto spesso di abusi militari, ma siamo in quella "forbice contabile".
E lo sapevano bene le nostre autorità del tempo quando, credendo di strappare migliori considerazioni e aiuti da parte del Governo, "spararono" la storia dei 20.000 morti che nessuno ha mai creduto a livello istituzionale centrale e di storici accreditati.
Ma anche se fossero state solo 100 o 1.000, furono sempre troppe quelle morti per essere il risultato di una guerra schifosa contro la quale non sento mai elevarsi troppo il disgusto e l'autocritica dei foggiani verso chi ci portò a quei risultati e che non seppe nemmeno difendere – come doveva – una città strategica come Foggia.
Cordialmente (Maurizio De Tullio)