Poco più di un anno fa, Foggia ospitò un evento memorabile. Sotto lo sguardo vigile e sornione di un monumento che ne ha viste tante come Marco Cavallo, operatori e psichiatri, pazienti e loro familiari, tecnici e politici si ritrovarono a riflettere e a confrontarsi sul disagio mentale, ma da un punto di vista decisamente nuovo e stimolante per ii territorio: superare le sempre più frequente istituzionalizzazione dei disagiati psichici, riportando il territorio e i servizi al centro dello star bene mentale.
Non era e non è una questione di poco conto, perché la crescente istituzionalizzazione sta facendo rientrare dalla finestra quel che Franco Basaglia e i suoi avevano cacciato via dalla porta, con la chiusura dei manicomi voluta dalla Legge 180, che non fu soltanto una legge di riforma della psichiatria, ma un manifesto di convivenza civile e di rispetto della persona umana. Una rivoluzione culturale autentica, ma oggi dimenticata o quasi.
Ho avuto il piacere di prendere parte a quella intensa due giorni. Dovevo esserne il moderatore, ma fin dai primi interventi quella esperienza mi coinvolse così profondamente da farmi mettere da parte l’equidistanza che si addice al ruolo. Non si può essere moderati, quando di mezzo c’è la dignità, sovente calpestata, delle persone.
Ragionare di salute mentale da questo punto di vista implica un ribaltamento di prospettiva: il paziente non è più soltanto un fardello o un oggetto di cura, ma viene valorizzato come persona per quello che è, per quello che può essere e diventare.
Messe così le cose, la sfida si può vincere. Guarire si può, come recitava il tema di quel convegno, che però supponeva l’avvio di strategie completamente diverse: meno istituti, meno ricoveri, meno degenze, più servizi pubblici, più approcci terapeutici personalizzati attraverso la metodologia quasi rivoluzionaria del budget di salute.
Che cosa è cambiato nel territorio, a un anno da quel convegno? Tanto e poco. Poco, dal punto di vista della politica e della “tecnica”: le strutture continuano ad esistere e a resistere, e a dirla tutta a fare affari d’oro. C’è chi parla senza mezzi termini di neomanicomializzazione e punta l’indice contro quelli che vengono definiti mercanti dell’assistenza.
Ma è cambiato tanto, dal punto di vista culturale, della voglia di collaborare e di provarci, senza arrendersi, nonostante le amarezze e le difficoltà siano tante.
Perché guarire si può. Ma si deve cambiare. E c’è chi continua a provarci. Grazie a un gruppo di associazioni per la salute mentale (“Genoveffa De Troia”, “Sergio Piro”, “ “Psychè”, “Bel Lombroso” e “ADaSaM”), per la prima volta sbarca in Puglia il movimento “Le parole ritrovate” che ha elaborato una nuova proposta di legge (la 2233, primo firmatario l’on. Ezio Casati) che si fonda su un modello assolutamente innovativo: utenti, associazioni, famigliari ed operatori lavorano insieme per arginare il disagio mentale. Ogni anno a Trento si tiene un convegno nazionale, ricco di vissuti e storie delle persone con disagio mentale che raccontano le loro vicende.
Oggi e domani, a Monte Sant’Angelo (auditorium del teatro “Le clarisse”) si terrà un convegno sul modello di quello già sperimentato con successo a Trento.
Al centro della proposta del movimento c’è la pratica del fareassieme. “Nel welfare societario – spiega uno degli organizzatori, Matteo Notarangelo -, l’agire assieme vuole decostruire i freddi percorsi di cura, per facilitare la buona relazione del fareassieme tra utenti, familiari ed operatori, propensi a condividere le loro esperienze vissute di malattia mentale e le loro conoscenze esperienziali all’interno dei sevizi sociosanitari, per renderli luoghi condivisi ed umanizzati.”
“La pratica del fareassieme – conclude Notarangelo – è una via per far crescere la partecipazione degli utenti e dei familiari esperti nella gestione dei servizi territoriali per la salute mentale e l’assistenza agli anziani ed a tutte le persone fragili. Un modo per valorizzare le loro conoscenze, anche con l’attivazione di gruppi di auto – mutuo – aiuto, finalizzata a contenere le angosce della malattia mentale e l’isolamento sociale degli anziani, degli utenti e dei familiari, ostracizzati dal pregiudizio sociale ed istituzionale.”
Nonostante le oggettive difficoltà implicate da un cambiamento di così vaste dimensioni, il movimento che da Marco Cavallo a Le parole ritrovate si batte per cambiare la salute mentale in provincia di Foggia, continua a lavorare, ad impegnarsi. Uno che non si arrende è Michele Grossi, psichiatra di Manfredonia, che opera nei servizi pubblici: “qui cambiare le cose è difficile, ma dobbiamo continuare a combattere per avere anche da noi un modello di salute mentale umano e sostenibile.”
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