Sfoglio malinconicamente la brochure che pubblicizza la programmazione settimanale di una multisala. È un pieghevole formato a/4, ripiegato in tre ante, stampato in fronte e retro.
Tre facciate sono dedicate alla pubblicità di eventi o aziende che nulla hanno a che vedere con il cinema. Un’altra è riservata alla copertina, in cui trova posto l’immagine della locandina del film di maggior richiamo della settimana, più tre fotine in cui a malapena si riesce a leggere il titolo del film.
Le notizie vere e proprie sul film in programmazione sono relegate su appena due ante interne, non riempite nemmeno per intero, perché a piè di pagina trovano posto informazioni e pubblicità sui servizi offerti dalla multisala.
Lo spazio riservato a sinossi e schede dei 19 film che si avvicenderanno sugli schermi durante la settimana occupa così soltanto un terzo della brochure. La scarsità dello spazio a disposizione costringe i redattori del pieghevole a drastici tagli alle informazioni sui film. Soltanto di 3 delle 19 pellicole in programmazione vengono fornite informazioni sul cast. Per il resto, solo pochi brevi righe di trama, e per 4 film neanche quello: solo titoli ed orari. Tra i film sacrificati sull’altare della pubblicità c’è perfino Birdman, che ha vinto l’oscar, di cui non viene citato nemmeno l’autore (Alejandro González Iñárritu, n.d.r.).
In quanto aficionado del cinema indipendente, non ho mai particolarmente amato quei bazar del cinema che sono i multiplex, ma il metodo spiccio con cui il pieghevole fa giungere al suo pubblico le informazioni sui film in programmazione è rivelatore del modo di intendere il cinema che hanno taluni esercenti: prodotto di largo (e basso) consumo, da vendere a peso, come se fossero patatine o pop corn. La qualità? Non conta.
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