Non è una bella storia, quelle delle stele antropomorfe che la Sovrintendeza alle antichità di Taranto intende spostare da Bovino a Manfredonia. Se da un lato il Museo archeologico sipontino è il più rappresentativo della civiltà dei Dauni e dei loro monumenti più straordinari, che sono appunto le Stele, dall’altro la scelta della Sovrintendenza contraddice una filosofia che si è andata affermando (per fortuna) negli ultimi decenni, che vuole che i reperti vadano esposti, fruiti e custoditi nel posto in cui si sono formati.
Quello di Bovino è tra l’altro uno dei pezzi forti del sistema museale della provincia di Foggia, e dista pochi chilometri da un’altra eccellenza acheologica, il polo museale di Ascoli Satriano, che ospita i grifoni policromi. Il trasferimento dei quattro pezzi a Manfredonia depauperebbe un intero territorio, proprio in un momento in cui proprio il Ministero dei Beni Culturali scommette sulla eccellenza dei Monti Dauni e sulla sua valorizzazione turistica, anche come antidoto alla grave crisi demografica che angoscia questo lembro della Puglia, tanto bello e ricco di cultura, quanto povero dal punto di vista produttivo.
Trasferire altrove pezzi di passato e d’identità non è certo il miglior viatico verso un futuro che si prospetta tutt’altro che semplice.
Durissima la reazione degli amministratori del comune subappenninico. Il sindaco, Michele Dedda, non le manda a dire: “Le stele sono nostre e nessuno le porterà via. Come i grifoni ad Ascoli Satriano, le stele antropomorfe fanno parte del patrimonio storico-culturale e archeologico della nostra città. Se il Ministero per i Beni Culturali dovesse prendere questa decisione dovrà fare i conti con l’intera comunità.”
Al fianco dell’amministrazione bovinese si schiera Billa Consiglio, presidente di Promodaunia: “Siamo dalla parte di chi sostiene necessaria la permanenza delle stele nel luogo in cui sono state ritrovate e di cui descrivono e testimoniano cultura, tradizioni e riti di un tempo ormai lontanissimo che altrimenti ci sarebbe rimasto sconosciuto. Promodaunia si muove nell’ambito di quella politica culturale che ha permesso già in passato il rientro di reperti nei luoghi a cui appartengono come nel caso dei Grifoni di Ascoli Satriano rientrati dal Getty Museum di Malibù e della collezione Rizzon che più recentemente è ritornata a Manfredonia dopo anni di dislocamento improprio in Veneto.
Diverse stele dei Monti Dauni hanno già trovato collocamento in musei esterni all’area del loro ritrovamento, come il Museo Civico di Foggia e il Museo Nazionale di Taranto. Lo spostamento dei reperti di Bovino costituirebbe l’elisione fisica e culturale di una testimonianza fondamentale della storia locale dalla stessa terra che tali segni ha fatto riemergere.
Le stele di Bovino rappresentano uno dei pochi elementi identitari fisici della cultura dei Monti Dauni a fronte di innumerevoli beni culturali immateriali costituiti da tradizioni e riti. Privare Bovino delle sue stele sarebbe come impedire ai Petraioli di ricondurre in maggio Sant’Alberto a Montecorvino.”
La presidente di Promodaunia sottolinea la contraddizione tra il progetto di eccellenza turistica dei Monti Dauni approvato dal Ministero (su imòpulso dell’assessorato regionale al mediterraneo), che vede la società consortile coinvolta nella fase attuativa: “La vicenda suona ancora più paradossale se si considera che, da una parte, il MIBACT promuove un Progetto di Eccellenza turistica dei Monti Dauni e, dall’altra, un suo organo territoriale, la Soprintendenza per i Beni Archeologici di Puglia, dispone la privazione di un’evidente eccellenza a suddetto territorio.”
I quattro reperti sono noti come stele di Bovino, ma vennero in realtà rinvenuti a Castelluccio dei Sauri, tra il 1954 e gli anni ottanta nell’area denominata Sterparo Nuovo e sono riconducibili al fenomeno delle statue-stele e statue-menhir diffusosi nell’Età del Rame che coinvolse in modo particolare la Puglia.
I primi ritrovamenti risalgono al 1954, ad opera del professor Michele Leone (all’epoca Ispettore Onorario delle opere d’arte della circoscrizione) che segnalò il ritrovamento di quattro pezzi al Museo Pigorini di Roma. Nel ’60, poi, ci fu la prima pubblicazione scientifica di M. Ornella Acanfora che cominciò a rendere note le stele nell’ambiente. I ritrovamenti continuarono e nel 1991 si intervenne col sondaggio di scavo che diede ai monumenti un contesto cronologico certo, inquadrabile nella seconda metà del III° mill., età Eneolitica, già sospettato in precedenza per la tipologia dei pugnali incisi.
Si comprende, dunque, l’importanza storico-culturale che le queste stele rappresentano essendo un tassello prezioso della storia non solo della zona in cui sono state ritrovate, ma di tutta la Puglia e, addirittura, dell’Europa essendo tra le prime vere statue antropomorfe che l’umanità abbia concepito.
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