Gabriele Mazzone è stato un uomo buono ed onesto. La sua vita, dedicata alla famiglia, alla politica, al lavoro, è stata costantemente intessuta di rettitudine e probità, come si addice ad un galantuomo di altri tempi.
Con la sua morte, la scena politica provinciale ha perso non soltanto un protagonista, ma un pezzo di memoria e di identità. Si è impoverita, perché con la scomparsa di Mazzone si va ulteriormente rarefacendo, o forse scompare del tutto, una idea alta della politica intesa come possibilità, esercitata attraverso la mediazione. Una idea che il buon Gabriele ha personalmente testimoniato per più di mezzo secolo.
È stato sempre un democristiano, ma la distanza tra le nostre idee politiche non ci ha mai impedito di avere rapporti fraterni di amicizia, e di profonda e reciproca stima. Ho avuto il piacere e l’onore di collaborare con lui quando è stato assessore provinciale alle risorse umane con l’amministrazione guidata da Antonio Pepe: è stato un rapporto che mi ha arricchito, e di cui gli sono grato.
Nonostante la difficoltà della congiuntura – cominciava la stagione dei tagli sempre più sostanziosi ai bilanci degli enti locali – non l’ho mai visto alzare le braccia davanti a un problema, oppure dire “non si può fare”.
Al contrario, la politica era per lui proprio il poter fare, la ricerca delle soluzioni possibili ai problemi quotidiani, che perseguiva cercando prima di tutto di smussare i contrasti, di attenuare i conflitti. Lo faceva sempre col sorriso, senza mai perdere la calma, testimonianza vivente che la moderazione è una virtù, e non una ideologia politica.
Amavamo ricordare i tempi della Prima Repubblica e della Balena Bianca e gli raccontavo di quanto fosse difficile per me, giovane cronista della Gazzetta del Mezzogiorno, seguire i congressi provinciali della Dc, di cui niente era mai certo, alla vigilia. Fissati per una certa data, poi rinviati diverse volte, venivano celebrati all’improvviso, spiazzando il cronista.
La ragione degli estenuanti rinvii è presto detta: assai spesso i congressi provinciali della Democrazia Cristiana si svolgevano a tavolino, sulla base dei rapporti di forza tra le diverse correnti, sanciti dai pacchetti di tessere detenuti dai maggiorenti democristiani.
Ma anche a proposito di questi congressi Gabriele Mazzone mi impartì una lezione politica: “Il metodo era certamente discutibile. Ma consentiva alle diverse correnti di trovare un equilibrio, che assicurava stabilità ed unità alla gestione del partito. Così la Democrazia Cristiana ha governato il Paese e questa nostra provincia, assicurandone la crescita.”
Gabriele è stato anche uomo dalla scelte coraggiose. Scomparsa la Dc, fu tra i dirigenti provinciali del Partito Popolare di Buttiglione e c’era anche lui, sul palco di piazza XX settembre, in quella sera di novembre 1994, quando Foggia si trasformò in un laboratorio politico nazionale, in occasione delle elezioni provinciali che portarono alla vittoria Antonio Pellegrino, sostenuto da un’ampissima coalizione che metteva assieme Pds, Ppi, Ad, Verdi e Socialisti di Lavoro e Libertà.
Sembra che Mazzone ebbe una parte notevole nella costruzione dell’alleanza tra progressisti e popolari che portò in piazza, fianco a fianco, Massimo D’Alema e Rocco Buttiglione. L’intesa non durò molto, ma la vittoria di Pellegrino spianò la strada alla primavera pugliese.
Il percorso successivo porterà Gabriele Mazzone verso il centrodestra: è stato per diversi anni coordinatore provinciale del Pdl, senza mai smarrire l’idea e il valore primigenio di una politica sentita e vissuta come missione, e come bene comune. Rifuggiva dai personalismi e dai colpi di teatro, che sono l’ingrediente essenziale della politica di oggi.
Il suo innato senso della moderazione, la sua tenace e talvolta caparbia ricerca della mediazione ne hanno fatto un leader indiscusso. Che ci mancherà molto.
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