a ri-RIFLESSelfie … (M.Sepalone) |
Veramente interessante la discussione che si è aperta sulla lettera meridiana Foggia e la memoria oltraggiata: il castello (dimenticato) di Ponte Albanito nella quale commentavo la cattiveria con cui l’insigne storico Romolo Caggese ha raccontato il capoluogo danno nel suo libro Foggia e la Capitanata.
Nelle intenzioni dell’editore, il libro doveva essere una guida turistica alle bellezze del territorio provinciale. Caggese trasforma il testo in una vera e propria invettiva stigmatizzando la smemoratezza dei foggiani, e accusando senza mezzi termini la popolazione di scarsa sensibilità verso i monumenti e le testimonianze del passato.
La storia di Foggia è contrappuntata da eventi drammatici come guerre, saccheggi, distruzioni, che hanno reso fatalmente labili le tracce della memoria. Il testo di Caggese è stato scritto però agli inizi del Novecento, quando sulla città non si era ancora abbattuto l’evento che più di ogni altro ha contribuito a cancellare la memoria del passato: la barbarie dei bombardamenti che provocò danni a oltre il 70 per cento dei fabbricali.
Ma alcune dolorose brecce nella memoria collettiva della città si erano aperte già prima. Come per esempio nel caso della Pianara e del Castello di Ponte Albanito, diffusamente sottolineati dallo storico originario di Ascoli Satriano, distrutti più dall’incuria degli uomini che non da eventi traumatici. Insomma, il capitolo foggiano del testo di Caggese fa riflettere, e così ho invitato alcuni amici a dire la loro. Ecco le loro risposte, nell’ordine con cui sono pervenute.
Mario Cobuzzi, docente di storia dell’arte e curatore del bel blog Kunst rimprovera a Caggese il suo impietoso giudizio sulla Cattedrale di Foggia: “se davvero “l’insigne storico rimprovera la mescolanza di stili” della Cattedrale, vuol dire che ha bisogno di un lungo ripasso di storia dell’arte medievale “. Poi però Cobuzzi riflette sulla data in cui il libro è stato scritto e puntualizza: “ok, è degli inizi del novecento.”
Tommaso Di Gioia, gruppo giovani Fai Foggia
Anche altre città meridionali e non solo sono state devastate nel corso dei secoli da guerre e terremoti: Catania, Siracusa, L’Aquila, città d’arte e storicamente vicine alla nostra, sono una testimonianza della rinascita edi una cultura rifiorita dopo tragedie immani. Perché Foggia non ha goduto della stessa fortuna? E soprattutto fortuna è la parola giusta? Se Foggia con i bombardamenti della guerra ha perso più del 70% dei suoi edifici, Varsavia (perdonate il paragone) fu rsa al suolo eppure la sua cittadinanza ha voluto ricostruirla recuperando la sua identità e la sua bellezza. Pertanto sono sempre più convinto che a Foggia serva prima di tutto una comunità vera, sana e forte, poi verrà tutto il resto.
Salvatore Agostino Aiezza, saggista e scrittore
Hai ragione perfettamente ma, purtroppo, tocchi uno dei tasti più dolenti della nostra storia: Quello della ricostruzione. Certamente si potevano e doveva conservare e recuperare il patrimonio edilizio non distrutto completamente dai bombardamenti. Si è preferito però, lasciando la città, come peraltro è ancora oggi, in mano ai costruttori e politici senza alcuna cultura storica. Per questo motivo ci troviamo con quello schifo, mi si passi il termine, di palazzi in corso V. Emanuele e, recenti, sul Viale della stazione. Un vero e proprio scempio. per non parlare di Palazzo Mandara, la vecchia Regia Caserma eccetera . Interminabile, l’elenco. Come sarebbe stata bella Foggia, se ancora oggi avesse i suoi bei palazzi settecenteschi restaurati? Ma questi sono discorsi che sono sempre e sempre saranno, caduti nel vuoto, perché l’edilizia a Foggia viene prima di tutto. E tutto, vuol dire proprio….”tutto!”
Marialuisa d’Ippolito, responsabile delegazione FAI Foggia
Tempo, guerre terremoti, disattenzione, un gran mix di elementi distruttivi ! Quel che continuo a chiedermi, senza trovare soluzioni certamente efficaci in un tempo accettabile, è come rimediare al solo elemento su cui si può ancora agire per salvare il salvabile: la disattenzione ! Non mi riferisco solo alla diffusa nostalgia di una trascorsa grandeur, che comunque si traduce con difficoltà in opere concrete, ma ad un diffuso reale senso di appartenenza in cui far convivere orgogliosamente il rispetto delle proprie origini con modelli di modernità formale importata passivamente dai modelli correnti. Un esempio: dopo anni di tentativi e dibattiti per la valorizzazione del centro storico, di chiusura al traffico, sono bastati 20 giorni di bancarelle davanti alle quali passeggiare per trasferire l’interesse di molti su una ZTL esattamente verso il lato opposto della Città !
Tommaso Di Gioia
Sarò un sognatore, un illuso ma non c’è più tempo, saremo sempre fra 5,10, 20 anni a parlare di quello che non si è fatto o di quello che abbiamo perso. Foggia deve cambiare paradigma, deve fondare il suo futuro sulla bellezza, sul suo ripristino. Una città bella non è soltanto godibile da vedere, ma genera un senso profondo di attaccamento e protezione nella popolazione, una ri-scoperta di quello che è. Un motore pulsante di idee nuove, positive, uno spirito propositivo.
Tom Palermo, cultore e docente di storia, scrittore
Catastrofi naturali e belliche hanno sfigurato la città, l’amministrazione alleata (con arbitrarie demolizioni contestate da Sbano) e la facile ricostruzione (scriteriata) favorita da specifiche leggi ne hanno alterato l’aspetto, il tessuto urbano.
Citando un estratto da un capitolo del mio libro sui bombardamenti e la ricostruzione di Foggia:“a differenza dell’industria, gravemente provata dai bombardamenti e dai danni di guerra, l’edilizia era un settore di facile ripresa nel Dopoguerra perché non richiedeva particolari costi o manodopera particolarmente specializzata. Pertanto, fu il settore edilizio a svolgere, a Foggia come in altri centri della penisola, un ruolo trainante nella ripresa economica dell’immediato Dopoguerra, determinando il moltiplicarsi dei forni da laterizi, delle richiesta di abitazione e l’aumento dei prezzi delle aree.
Fu l’inizio di una grande trasformazione del paesaggio urbano italiano, spesso stravolto da una società immobiliare che portava sovente alla distruzione di monumenti, allo sventramento di città e quartieri, alla cementificazione di aree verdi”.
A parte questa dimensione storica del problema dell’identità foggiana, la questione più delicata è rappresentata dal fatto che ci siano una partecipazione da parte della cittadinanza e un’azione istituzionale limitate: il museo del territorio, ben organizzato e molto significativo per quel che riguarda la trasmissione della memoria storica della Capitanata, non mi risulta sia più fruibile.
Mantiene una sua vocazione ed una sua forza attrattiva il museo civico, sostenuto da iniziative di sensibilizzazione ai piccoli che meritano davvero un particolare encomio. E’ necessario sensibilizzare i più piccoli; solo ricominciando a narrarci la nostra storia, come facevano gli indiani attorno al fuoco, potremo tramandare il valore della conoscenza e della appartenenza. Ci sono state generazioni sofferte ed altre distratte, adesso è il momento di affinare la vocazione di “città educativa” con nuove idee per la scuola: pubblicazioni a portata di bambino, materiale audiovisivo per le scuole, giornate della cultura foggiana, nuovi gemellaggi culturali.
(La foto che illustra il post, a ri-RIFLESSelfie … è di Michele Sepalone)
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Visto che su Facebook non ho ricevuto risposta, sono costretto a scrivere anche qui.
1) io NON sono un docente, non ne ho i titoli – e mi chiedo dove il caro Geppe abbia preso l'informazione!
2) prima di pubblicare dei commenti scritti in una discussione privata su Facebook, bisognerebbe avvertire le persone, forse anche chiederne il permesso.
Chiedo scusa a Mario Cobuzzi per l'errore in cui sono incorso. La sua competenza in materia di storia dell'arte è tale che presumevo – sbagliando – che fosse un docente.