“Con la modernità, in cui non smettiamo di accumulare, di aggiungere, di rilanciare, abbiamo disimparato che è la sottrazione a dare la forza, che dall’assenza nasce la potenza. E per il fatto di non essere più capaci di affrontare la padronanza simbolica dell’assenza, oggi siamo immersi nell’illusione inversa, quella, disincantata, della proliferazione degli schermi e delle immagini”. Così scriveva Jean Baudrillard ne Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà. Mi piace pensare che se il grande filosofo francese avesse potuto visitare la mostra Oltre l’oblio di Nicola Liberatore avrebbe trovato nelle opere, nelle installazioni, negli oggetti dell’artista foggiano, una tangibile espressione del suo pensiero.
Liberatore è un artista che pensa e riflette, e si sforza di dare alla sua opera un senso, anche civile, memore di quella straordinaria esperienza artistica e culturale che è stato per la città di Foggia il Laboratorio Artivisive. È difficile definire e collocare una volta per tutte la sua opera e credo che l’artista stesso non ami essere catalogato.
Sia che tratti e rielabori i materiali poveri della tradizione (merletti, abiti, semplici pagine di carta, guantiere per dolci, legni, tele), sia che crei da zero, cimentandosi con oli o acquerelli, il merito di Liberatore è mantenere una rigorosa coerenza estetica, annodata dalla rivisitazione del passato, per farne memoria e consegnarlo così – più proposta di futuro che non mero recupero di tradizione – al tempo che verrà, come eredità simbolica e morale. Oltre l’oblio, appunto.
Giustamente, nel catalogo della mostra, Gaetano Cristino parla di tempo ritrovato collegando l’opera di Liberatore alla ricerca proustiana sul tempo. “Egli svela – scrive il critico – il presente, le inquietudini del presente, col passato – e viceversa – realizzando il proustiano istante affrancato dall’ordine del tempo.”
Trasfigurazioni e rielaborazione di ex voto e di icone accompagnano costantemente il visitatore: le icone, quasi sempre aniconiche, senza volto, rappresentano quell’assenza dalla quale nasce la potenza di cui parla Baudrillard, e sono nello stesso tempo l’espressione profonda di quella religiosità popolare che trasuda dalle opere di Nicola Liberatore.
Accompagnandomi nella sale, Nicola mi corregge: più che religiosità, si tratta di spiritualità, e adesso capisco il senso. È qualcosa che sta al di là e al di qua del tempo, un sentimento profondo e inesprimibile, sospeso tra lo spiritus mundi del Gargano – montagna sacra per eccellenza, ma anche dell’antico, dell’ancestrale, valori oggi al centro di una ritrovata coscienza – e la devozione per la Madonna foggiana senza volto. Quando poi il volto della Madonna affiora, si rivela, è sorprendentemente non convenzionale: le Madonne di Liberatore sono donne e grandi madri, tristi, più che addolorate, d’una tristezza che riassume nei loro volti la sofferenza del mondo dei viventi, e torna qui la riflessione sul presente, l’inquietudine del tempo attuale.
Penso a quella straordinaria intuizione del Gargano spiritus mundi, che sparuti pionieri (un nome solo, su tutti, Antonio Facenna) hanno trovato nelle pieghe di uno stile di vita che costituisce in se stesso un valore assoluto.
Nella spiritualità di Nicola Liberatore – che negli ultimi anni si è imposto all’attenzione di pubblici portanti esponendo, tanto per dire, alla Biennale di Venezia, a Paleocontemporanea di Napoli, alla Fibert Art and… di Milano, a Villa Soranga di Collecchio, vicino Parma) c’è l’anima antica e ancestrale del Gargano, e sarebbe davvero bello che la sua terra (è nato a San Marco n Lamis) gli dedicasse un omaggio.
Visitare la mostra di Liberatore è stata una bella esperienza, prima di tutto percettiva e emotiva, quindi anche esperienza di pensiero e di riflessione.
La mostra è stata ospitata in due distinte location. Nella Sala Grigia del Palazzetto dell’Arte (dove si è conclusa qualche giorno fa) e presso il Museo Civico, dove resterà esposta fino al 30 dicembre.
Vi suggerisco caldamente di visitarla.
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