Raramente un articolo ha suscitato tanti appassionati commenti com’è riuscito a fare Foggia e i suoi segreti di Ella Baffoni (se non l’avete letto, trovate qui la mia recensione e qui il reportage della giornalista del Manifesto e dell’Unità). Il fatto è che la scrittura di Ella trasuda un pathos, una partecipazione, che non t’aspetti dall’inviato speciale “convenzionale”.
E, in effetti, Ella Baffoni non lo è: lo sguardo speciale con cui racconta la nostra terra trae origine da un punto di vista che non è quello tipicamente distaccato del giornalista. Quest’assenza di distacco, questo prender parte si coglie da un po’ tutte le cose che scrive: vi consiglio, in proposito, di leggere il suo blog.
A svelarmi l’origine del rapporto particolare che lega la brava giornalista al Tavoliere e alla Capitanata è stato Antonio Fortarezza, amico di vecchia data di Lettere Meridiane, nonché autore della bella immagina che illustra questo post. Credo non me ne vorrà se rendo pubblico quanto mi ha scritto in proposito: “Ella Baffoni, quest’estate e la precedente è stata anche volontaria come insegnante di italiano al Campo di “Io Ci Sto” ideato e organizzato da Padre Arcangelo Maira e che impegna oltre un centinaio di ragazzi (e non solo evidentemente) ogni anno al Ghetto di Rignano e a Borgo Mezzanone. Ci siamo conosciuti in quell’occasione e da allora ogni volta che mi è possibile le faccio scoprire le cose belle della Capitanata nascoste fra le pieghe dell’incuria e della ‘mala amministrazione’ del nostro territorio. E ad ogni nuovo giro credo si stia affezionando al nostro territorio, e quando può e ne ha voglia ciò scrive sopra …”
Dev’essere proprio così, se Ella ha scritto ancora sul rapporto tra Foggia, il suo passato, la sua difficile identità odierna, raccontando un’altra storia amara delle ultime settimane, la chiusura del corso di laurea magistrale. Tornerò su questo e sull’impegno di Fortarezza a favore dell’archeologia nei prossimi giorni.
Per il momento, restiamo al rapporto tra identità ed intellettuali che è uno degli aspetti più discussi nel confronto sollevato dal reportage di Ella Baffoni.
Il meccanismo di irradiamento dei collegamenti ai post di Lettere Meridiane sulle diverse pagine, bacheche e gruppi Facebook rende difficile mantenere la discussione unitaria. Ecco però un commento che mi pare colga la questione non rara nitidezza e profonda consapevolezza.
Il commento è stato postato sotto i post in cui davo notizia dell’articolata riflessione sull’argomento di Michele Casalucci.
Lo firma G Luca Lienosus che scrive:
Buonasera Geppe.
I tuoi articoli, quelli che ho letto da quando ti seguo, mi hanno sempre appassionato.
Vedo in te e nei tuoi colleghi e amici credo, un senso di attaccamento sano e di difesa nella riscoperta di un glorioso territorio.
Avete risvegliato in me, tutto ciò che credevo fosse andato perduto, ovvero la speranza di un riscatto per una terra che avrebbe molto da dare…altroché “fuggi da Foggia”.
C’è però una domanda che mi sono posto seguendo le tue “lettere Meridiane”, non sarà il caso che una volta appreso delle nostre ricchezze, cominciassimo a coltivarle ?!
Trovo giusto far conoscere ai più giovani le nostre bellezze, ma sarebbe meglio integrare anche le nostre risorse umane nei nostri eventuali progetti, per farli sentire davvero parte integrante della società, e quindi della città, così tanto ben spiegata e illuminata.
I centri sociali, potrebbero essere perfetti come laboratori di idee, ma nel momento in cui , le giunte comunali sono volte all’innovazione e alla valorizzazione dei patrimoni culturali e delle risorse umane.
Ma per fare questo voi lo sapete che tutto deve girare in un ordine mentale trasparente,volto soltanto alla crescita e alla rieducazione dei cittadini.
Se i Foggiani non si sentiranno parte di niente, non daranno mai niente…
Con questo mio pensiero spero di non avere offeso nessun intellettuale foggiano, che per quanto se ne dica, tiene acceso il dibattito.
Grazie.
L’amico Lienosus mette effettivamente il dito nella piaga. Raccontare la bellezza non basta se questa non viene poi percepita e metabolizzata da quanti ne sono destinatari e potenziali fruitori. Occorre sentirsi parte della bellezza perché questa possa poi sprigionare identità. Perché questo accada è necessario coinvolgere quelle che Lienosus definisce risorse umane: che sono poi i cittadini, le persone, soprattutto i giovani ai quali spetterà governare questo territorio. Le parole chiave sono coinvolgimento, appunto, e partecipazione.
Non è facile, ma qualcosa si sta muovendo e lo testimonia proprio quel processo di risveglio che viene raccontato e testimoniato dal nostro lettore.
È molto bello anche che Lienosus parli a Lettere Meridiane rivolgendosi a me, ed ai miei colleghi ed amici.
Il blog non ha una redazione nel senso canonico del termine. Non è una comunità, e neanche un’associazione. Ma evidentemente riesce ad essere punto d’incontro virtuale di persone che condividono sogni, speranze, obiettivi. Ad maiora, dunque.
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IDENTITA' INDIVIDUALE, IDENTITA' COMUNITARIA, L'HOMO OECONOMICUS E, LA BELLEZZA…
Gengè è l'emblematico protagonista della crisi dell'individuo nel romanzo di Pirandello. Egli prende fortuitamente coscienza che la rappresentazione che ha di sé non è quella che gli altri hanno di lui, così scopre di essere ‘uno e centomila’, quanti sono gli sguardi che si posano su di lui e dunque, ‘nessuno’.
La crisi dell’identità individuale coincide storicamente con l’irruzione sulla scena storico sociale, delle masse. La massa è tenuta insieme dall’eros per cui il singolo rinuncia al proprio modo d’essere personale e si lascia suggestionare dagli altri conformandosi attraverso un processo di identificazione. Allo stesso modo, gli individui nella folla escono dal reciproco isolamento e creano tra loro un legame comune poiché ognuno si identifica col capo simbolo del padre. La libido, e non l’istinto gregario, rende possibile la solidarietà in un gruppo.
La psicoanalisi freudiana descrive anche la psicologia della folla, in assenza di una guida, come caratterizzata dalla perdita collettiva della capacità di funzionamento egoico a favore di un funzionamento primario e addirittura preverbale, dato che nel grande gruppo si perde la concreta possibilità di attivare una comunicazione interpersonale.
A questa analisi sono assoggettati ovviamente, ogni individuo della comunità foggiana e, la stessa comunità (definibile come una struttura organizzativa sociale, di estensione geografica limitata, in cui gli abitanti abbiano delle caratteristiche comuni) e di ciò occorre evidentemente tenere conto in ogni approfondimento sul tema.
L'appartenenza ad una comunità necessità di caratteristiche forti, tali da creare un'identità degli appartenenti, tramite una storia comune, ideali condivisi, tradizioni e/o costumi. A volte è la lingua (nel nostro caso il dialetto) l'elemento identificativo degli appartenenti ad una comunità che può essere vista come un'estensione della famiglia.
Una dimensione di vita comunitaria implica tipicamente la condivisione di un sistema di significati, come norme di comportamento, valori, religione, una storia comune, la produzione di artefatti.
Quì navighiamo dunque a vista, tra due flussi di analisi: una psicologica individuale di gruppi o masse, ed un'altra sociologico comunitaria, che passa attraverso gli ideali,le tradizioni, i costumi, l'alimentazione e così via, nel quale casserei finalmente quel deprezzante "fuggi da Foggia…" legato essenzialmente alla rima più che alla verità che pretenderebbe di sottintendere o esplicitare.
Nel nostro caso ma, anche in quelle di altre comunità territoriali, non bastano tuttavia le caratteristiche elencate per definire una identità forte se non entriamo anche nei meccanismi della ricchezza materiale ed immateriale comunque prodotta e sulla sua distribuzione….
(continua)
… L’homo oeconomicus cerca sempre di ottenere il massimo benessere (vantaggio) per sé stesso, a partire dalle informazioni a sua disposizione e dalla sua personale capacità di raggiungere certi obiettivi.
Questi individui perseguono un certo numero di obiettivi cercando di realizzarli nella maniera più ampia possibile e con i costi minori.
L’homo oeconomicus basa le sue scelte sulla valutazione della sua personale funzione d’utilità agendo in competizione con gli altri individui, nell'accaparramento della ricchezza massima disponibile o anche soltanto della sicurezza perenne.
Egli è inoltre amorale, in quanto ignora qualsiasi valore sociale, o vi aderisce solo se vi intravede il proprio tornaconto. Alcuni ritengono che una tale ipotesi circa gli uomini sia non solo irrealistica, ma anche immorale.
Ciò vale ovviamente per ogni comunità ovunque residente e in qualsiasi territorio.
Quì dovremmo analizzare la relazione fondamentale che intercorre tra disuguaglianza sociale (manifestamente presente nella nostra comunità cittadina) e identità comunitaria prevalendo l'ipotesi che ad una estesa disuguaglianza sociale corrisponda una diminuita identità comunitaria perché la sola bellezza non è ahinoi sufficiente a creare una forte identità comunitaria. Se così non fosse, il nostro patrimonio culturale non sarebbe tutelato da pochi ma da molti.
E' un tema interessante da affrontare nel quale ci sta pure l'obiezione che la sola ricchezza non fa l'individuo o la comunità colti ma è certamente vero per converso che una comunità coesa non si costruisce tra individui in lotta tra loro per non essere socialmente esclusi.
Per il momento però mi fermo.