Ho già parlato in altre lettere meridiane della straordinaria capacità di sguardo di Antonio Fortarezza, designer, fotografo e documentarista foggiano che vive a Milano. Di Antonio mi piace il modo che ha di guardare le cose ad altezza d’occhi, facendosene coinvolgere, ma nello stesso tempo riuscendo a collocare quelle cose in contesti più ampi, perché siamo tutti cittadini del mondo, e perché ogni posto, anche il più remoto, è un lembo d’universo.
Antonio mi scrive a proposito di una vicenda assai amara e dolorosa che si sta consumando a Foggia senza che, in verità, vi sia da parte dell’opinione pubblica la necessaria tensione e attenzione: la possibile chiusura del corso di laurea in Archeologia dell’Università degli Studi del capoluogo dauno.
Stavo per dedicare al problema uno specifico post, quando mi è giunta la mail di Fortarezza, che – proprio grazie a quella sua innata capacità di sguardo – svela il nodo della questione assai meglio di quanto potrebbe fare la nuda cronaca degli eventi.
“A proposito di identità culturali legate al territorio – mi scrive Antonio -, la provincia di
Foggia rischia seriamente di perdere una delle poche realtà in grado di
aiutarci a ricostruire la nostra. Chi vuole che il corso di Archelogia
dell’UniFg venga soppresso fa un grave torto alla Storia della Daunia,
agli studenti che hanno investito in quest’ambito per il proprio futuro
con la speranza di non dover emigrare, a chiunque crede che l’archeologia
sia un straordinario strumento per la formazione di identità collettiva
oltre che potenziale settore di sviluppo economico basato sulla cultura
del territorio. E a Marina Mazzei.”
Marina Mazzei, per anni sovrintendente ai beni archeologici della provincia di Foggia, è stata tra i pionieri dell’archeologia in Capitanata, e la più convinta assertrice che una cultura che sprigiona identità è un formidabile motore di sviluppo, non solo civile, ma anche economico.
L’archeologia, la storia, le scienze umane in generale, non bastano da sole a sprigionare identità, a disegnare il futuro, a sorreggere lo sviluppo. Perché possano farlo è necessaria tensione culturale e morale, voglia di ricercare e di mettere il frutto della ricerca al servizio della comunità, così come hanno fatto Marina Mazzei e Giuliano Volpe;
voglia di insegnare o di imparare perseguendo un obiettivo più generale del proprio interesse così come ha mostrato, in questi anni, il Corso di Laurea in Archeologia, che – è il caso di ricordarlo – ha al sua attivo assai brillanti ricerche sul campo. Un caso su tutti, gli scavi di Faragola ad Ascoli Satriano (nella foto), un’autentica gemma per l’intero Mezzogiorno.
Chiudere archeologia farebbe venir meno un pezzo di quella identità che Foggia e la Capitanata stanno laboriosamente e orgogliosamente ritrovando. Ma cancellerebbe d’un sol tratto anche un pezzo fondamentale della storia dell’Università foggiana, la cui sfida di futuro sta proprio nella capacità di stabilire un più saldo rapporto con il territorio.
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