Mike Tyson ammiratore del pugile foggiano Luciano Bruno

Luciano Bruno

Mentre combatteva la sfortunata semifinale che lo vide
opposto alle olimpiadi di Los Angeles del 1984, il pugile foggiano Luciano
Bruno non sapeva che in mezzo al pubblico c’era nientemeno che Mike Tyson, che
sarebbe diventato un suo fan. L’atleta statunitense era allora all’inizio della
sua carriera. Faceva la riserva nella nazionale stelle e strisce. Dev’essere
rimasto profondamente colpito dall’esibizione del foggiano, come si capisce da
una recente intervista rilasciata dall’ex terrore del ring a Sport Week, il
magazine della Gazzetta dello Sport.
Ad un certo punto della sua intervista, Fausto Narducci gli
ha domandato: “Che ne pensa dei nostri medagliati olimpici della sua categoria:
Russo, Cammarelle. Li porterebbe nella sua scuderia?”, il campione ha risposto
testualmente: “No, non li conosco. Io sono fermo ai soliti due di Los Angeles
dove io andai come riserva: Francesco Damiani e Luciano Bruno. Ma quello che ho
conosciuto meglio è Nino La Rocca, di colore come me.”

Il primo a restare stupito della risposta di Tyson è stato
il diretto interessato, che mi ha mostrato non senza una certa emozione la
rivista, che gli era stata regalata da un amico:  “Guarda un po’ che dice di me Tyson”. Con
Bruno ho un’antichissima amicizia che risale a prima delle Olimpiadi di Los
Angeles. Come ho già raccontato in un’altra lettera meridiana, ero dirigente
della Pugilistica Taralli. A dirla tutto, Bruno ha un ricordo sbiadito di
Tyson: “Che fosse riserva a Los Angeles l’ho letto dopo. Però ricordo un pugile
nero dalla struttura massiccia e potente.”
Una struttura fisica assolutamente diversa da quella di Mark
Breland, il fortissimo welter statunitense che sbarrò a Bruno la strada verso
la finale. Breland era una sorta di prodigio della natura. Per essere un welter
era altissimo: quasi due metri. Le braccia proporzionate alla considerevole
altezza lo dotavano di un allungo decisamente superiore a quella dei pugili di
pari categoria. Bruno incrociò due volte i guantoni con Breland, perdendo
entrambi i match ma riuscendo a metterlo in difficoltà.
Da Los Angeles Bruno tornò comunque con una prestigiosa
medaglia di bronzo, che gli valse l’ingaggio nella scuderia Branchi, come
professionista. La sorte non gli fu particolarmente benigna: se avesse trovato
in semifinale Yong-Su Ahn,  il pugile
coreano che Breland sconfisse poi facilmente nella finale, avrebbe vinto
facilmente, com’era successo nel 1983 alla Coppa del Mondo di Roma, che aveva
visto Luciano Bruno trionfare. L’italiano aveva incontrato l’atleta asiatico
nei quarti, vincendo largamente ai punti. Dopo Los Angeles, Breland sarebbe
diventato campione del mondo della categoria, così come Mike Tyson.
Luciano Bruno è comunque il pugile e l’atleta foggiano che
ha vinto di più: oltre alla Coppa del Mondo a Roma e alla medaglia di bronzo
alle Olimpiadi di Los Angeles, è stato campione ai Giochi del Mediterraneo,
medaglia d’argento ai campionati europei, tre volte campione italiano. Passato
professionista dopo la brillante partecipazione olimpica, è stato fermato da un
infortunio alla mano sinistra, dopo essere salito sul quadrato nove volte a
torso nudo: ha vinto tutti gli incontri, sei prima del limite.
Il ricordo affidato da Tyson alle colonne di Sport Week è
una bella sorpresa.
Chissà che Tyson non sia rimasto impressionato anche dalla
tecnica del foggiano, diametralmente opposto a quella del peso massimo che dopo
Los Angeles avrebbe bruciato le tappe, battendosi per il titolo del mondo a
soli 20 anni. Tyson era potente, alla costante ricerca del colpo risolutore, il
pugilato di Bruno era invece molto elegante e intelligente. Luciano amava
colpire d’incontro, era molto veloce con le braccia e prediligeva gli avversari
che attaccavano a testa bassa, un po’ come faceva Tyson.
Adesso Bruno è maestro di boxe: allena i suoi pugili alla
palestra Taralli.

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Author: Geppe Inserra

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