Quando si parla dei diversi toponimi della Capitanata e delle molteplici identità svelate da ciascun nome, non si può fare a meno di pensare a Federico Massimo Ceschin, che è stato tra i primi a rendersi conto di come questa identità al plurale possa essere una risorsa, se opportunamente valorizzata, ma costituisca anche un rischio, se abbandonata a se stessa.
Tenace sostenitore dell’eccellenza turistica dei Monti Dauni, da anni Ceschin si batte per mettere in rete il Gargano e la Daunia, e a tal fine ha fondato un gruppo che affronta questo tema, Daunia e Gargano. La pubblicazione di una lettera meridiana sull’argomento sulla bacheca del gruppo, lo ha spinto a replicare con una riflessione particolarmente approfondita e ricca di spunti.
Con Federico condivido assolutamente l’idea che ogni discorso che riguarda l’identità della provincia di Foggia, le prospettive di marketing territoriale, non possa prescinedere dalla necessità e dall’urgenza che Foggia si riscopra bella, come dice lui e come ho scritto più volte su Lettere Meridiane, sostenendo che la bellezza (poco percepita) di Foggia sta proprio nel suo essere capoluogo di un territorio di straordinaria varietà e bellezza. Ecco le riflessioni di Ceschin.
Mi trovo a difendere l’ormai indifendibile, caro Geppe,
ma se tacessi anche tra i post di questo specifico gruppo,
probabilmente verrei tacciato di un’opaca ritrosia o almeno di
trascuratezza.
La somma delle due considerazioni offerte, da te e dall’ottimo Michele Placentino,
è la perfetta sintesi delle informali chiacchierate che condussero un
gruppo di amici a condividere la causa di “Daunia e Gargano”.
Il
Gargano, per non stancarci mai di essere orientati alla domanda, come
ci ricorda Michele, in un’ottica di marketing. La Daunia ritrovata nelle
tue espressioni, come motivo sostanzialmente identitario.
Non perderò nemmeno un rigo su altre denominazioni.
Perché, ancora, Daunia e Gargano?
Perché
il brand Gargano è sì affermato, ma anche maturo: la sua curva tende a
non mostrare ulteriori margini di crescita (almeno nel mercato
nazionale). E’ sì visibile su Google, quantitativamente, ma la fredda
aritmetica non è in grado di spiegare una nutrita serie di epifenomeni
di contorno: sarebbe come lasciarsi totalmente guidare nelle strategie
dal fatto, pure concreto, che il Gargano restituisce 10 milioni di
risultati sul celeberrimo motore di ricerca, mentre il Salento 17
milioni (da valutare che “Puglia” ne offre 80 milioni).
La
domanda, da un punto di vista qualitativo, guarda da un’altra parte. E
per seguirla efficacemente, dovremmo iniziare a dirci a voce alta che i
modelli turistici del Bel Paese, gli unici due, il “mare” e “le città
d’arte”, sono datati, saturi, sempre meno remunerativi e – soprattutto –
poco rispondenti alle evoluzioni dei mercati, che vanno cercando altro.
Qui,
dal mio punto di vista, tutto lo spazio per affermare – a fianco del
noto brand “Gargano” – l’immaginifico offerto dalla “Daunia”: un
entroterra lontano dai flussi globalizzanti e plastificatori suggeriti e
imposti dai modelli di consumo imperanti fino a qualche anno fa. Con
una dimensione ancora profondamente rurale. Con una dimensione sociale
dolce. Con paesaggi sorprendenti. Con talenti e sapori da scoprire in
tutta la loro genuinità. Con tradizioni preservate dalla mercificazione
imperante.
Potrei
fare mille esempi, dal dominio dei kebab nei vicoli di Vieste alle
statuine di Pinocchio sulle bancarelle di Monte Sant’Angelo, mentre
tutto attorno ci si chiede come sbarcare il lunario vivendo di un’
agricoltura e di un artigianato artistico che pure tendono
all’eccellenza.
Fattori,
questi, che potrebbero integrare l’offerta del Gargano. In punta di
piedi. Senza gettare ombre. Senza togliere protagonismo.
Ecco
perché oggi, a distanza di qualche anno dalla primigenia provocazione
del “matrimonio” tra Daunia & Gargano, non ci resta che osservare
con malcelata soddisfazione che l’Agenzia che gestisce professionalmente
il brand “Puglia” abbia scelto di caratterizzare quest’area come
“Gargano e Daunia”. Cambiando l’ordine dei fattori, il risultato non
cambia: l’intuizione è stata recepita e si ritaglia uno spazio nei
mercati (crescendo con percentuali interessanti, comunque superiori alla
media nazionale), portando nuove economie fin laddove non si sarebbe
potuto immaginare e – soprattutto – combattendo sul fronte della
obsolescenza di prodotto determinata da antiche rendite di posizione.
Tutto
questo nell’attesa che Foggia si riscopra bella. E comprenda che il
paradigma del mattone è superato, che ogni tratturo assediato dalla
munnezza è un delitto contro l’intera popolazione, che ogni museo chiuso
è una perdita di fascino, di appeal, di narrazione e di attrazione.
Forse
quel giorno si potranno riscontrare anche orientamenti diversi nelle
istituzioni di area vasta, provinciale, a sostenere con coerenza e
coraggio le scelte di indirizzo strategico più opportune, non più
opportuniste, in grado di proiettare l’immagine del territorio oltre il
Sannio e l’Irpinia, a competere con Croazia e Dalmazia, e forse persino
con gli operatori (italianissimi) di Sharm El Sheik…
Federico Massimo Ceschin
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