Don Tonino Intiso non nasconde una certa amarezza per aver appreso dalla stampa della nomina del nuovo Arcivescovo e non dai suoi confratelli. Ma richiesto di un giudizio sull’imminente arrivo di mons. Vincenzo Pelvi alla guida dell’Arcidiocesi di Foggia e Bovino, non parla.
Mi porge un documento del Pensatoio San Filippo Neri in cui è riportato un articolo che il sacerdote foggiano scrisse in occasione dell’arrivo a Foggia di Mons. Giuseppe Casale. “La nomina di un Vescovo non è un affare mondano o di cronaca“– osserva -. Quel che conta è capire, da parte di tutti, sacerdoti e laici, cosa significa per la Chiesa locale il ministero pastorale del Vescovo, alla luce del Concilio Vaticano II, che ci chiede di diventare da esecutori cristiani qualificati.”
Ecco l’articolo. Buona riflessione.
Il ministero Pastorale del Vescovo nella Chiesa locale
Un “mestiere” difficile, per tempi difficili
Il Concilio Vaticano II ha sottolineato ampiamente la centralità del Vescovo nella Chiesa Locale.
La LUMEN GENTIUN ha riconosciuto che i singoli Vescovi sono il visibile principio e fondamento di unità nelle loro chiese” e che pertanto, essi “insieme con il Papa rappresentano tutta la Chiesa in un vincolo di pace, di amore e di unità” (c.3 n.23).
Il Vescovo, dunque, è indissociabile dalla Chiesa Locale e questa non è concepibile staccata dal Vescovo, perché è proprio da lui, e. attraverso il suo ministero apostolico, che le singole Chiese Locali vengono ad inserirsi nella Chiesa universale.
Aprirsi, perciò, alla conoscenza e all’accoglienza della missione apostolica del Vescovo è una necessità ed un dovere di noi tutti sacerdoti e laici, in quanto il Concilio chiede un rapporto nuovo tra Vescovi, Sacerdoti e Laici basato non tanto sull’obbedienza ed il servilismo, ma sull’amicizia “reciproca” e la collaborazione in vista di una reale corresponsabilità, resa possibile dalla fiducia e dall’amore, considerando il Vescovo un padre ed un amico più che un superiore.
In ascolto del Concilio
Il Vescovo devo essere visto soprattutto in funzione della “comunione” della Chiesa, poiché è l’espressione visibile dell’unità ed è al suo servizio Più precisamente:
- Il Vescovo è espressione e strumento di comunione “fra la comunità e Cristo” i fedeli devono unirsi a lui per unirsi a Cristo e in Cristo alla Trinità, (Lumen Gentium c.3 n.21— n.27).
- Il Vescovo è espressione e vincolo di unione “in seno alla sua comunità” e il punto di riferimento della fede dei fedeli il centro che unifica le loro iniziative. La comunione si riassume e si unifica in lui (Lumen Gentium, c. 3 n. 23).
- Il Vescovo è espressione e vincolo di unità “fra la sua chiesa locale e la chiesa universale”, e insieme rende presente la chiesa universale nella sua chiesa locale. (Lumen Gentium, c. 3.)
Ogni comunità deve assoggettarsi, per trovare la propria universalità, al Cristo, unico capo della chiesa universale; perciò ogni comunità ha il suo Vescovo, ma tutti i Vescovi sono subordinati a un unico capo visibile: il Papa, e sono legati l’un l’altro. realizzando così l’universalità della Chiesa, Da tutto questo derivano numerose ed importanti conseguenze:
- Il Vescovo deve essere prima di tutto il “riflesso” di Cristo e nello stesso tempo la “espressione” della chiesa di cui è responsabile, il che comporta da parte del Vescovo una vita profondamente immersa nella sua comunità con una grande disponibilità all’ascolto e al dialogo: non potrà mai essere “espressione” della sua comunità se non dialoga con questa comunità!
- Il Vescovo non è solo, pero, l’espressione della sua comunità, ma in essa deve essere anche l’uomo dell’ “universalità”, impegnandolo sia al dialogo con tutta la Chiesa di Dio, sia a non cedere alle pretese particolaristiche della sua comunità, ma sempre in ascolto “del Cristo” presente nella comunità.
- All’interno della comunità locale il Vescovo è l’uomo della “tradizione” e l’uomo della “comunione”: egli deve essere garante del messaggio che è un dato normativo, irrinunciabile ed a cui bisogna sempre riferirsi, ed essere il “punto che unifica’ i carismi a beneficio di tutta la comunità. L’autorità del Vescovo non crea la finalità dei carismi ma è a servizio della loro destinazione comunitaria. Il Vescovo nella sua comunità deve attirare l’attenzione sulla necessità che la comunità si edifichi tutta. I carismi non sono dati per correre da soli!
- Dal punto di vista della comunità, aderire ai Vescovi (obbedienza) non è rinnegarsi, ma ritrovare se stessa nel compito del Vescovo di essere espressione della comunità, anzi la impegna in un dialogo vero e costruttivo con lui per aiutarlo ad essere sempre più espressione della comunità di cui è responsabile.
Un’ultima rapida riflessione. Tutti siamo chiamati a non dimenticare mai la fedeltà all’incarnazione perché incarnata la presenza di Cristo è fonte di limiti e anche di peccato; nella Chiesa non esiste il divino allo stato puro, disincarnato! Da ciò ne consegue che il volto dell’autorità “può” oscurare il volto di Cristo e “certamente” è sempre un volto da pulire, ma non per questo la Chiesa cessa di essere il vero volto cli Cristo. La presenza dell’autorità, comunque sia, è sempre il segno che Dio è fedele all’incarnazione, a noi: una fedeltà al di là del nostro peccato.
Se perciò, da una parte, si pone continuamente la esigenza della riforma, dall’altra non c’è mai posto per il rifiuto e la contrapposizione, anzi proprio a contatto con gli aspetti umani della la presenza di Cristo la nostra fede diventa più cristiana, cioè fede in un Dio incarnato che continua a nascondersi dietro apparenze comuni.
Accogliendo il nuovo Arcivescovo, siamo chiamati tutti a riflettere sul nostro essere Chiesa in comunione con il Vescovo e ad invocare i doni dello Spirito su di noi e su di Lui per mezzo di Maria, Madre della Chiesa Locale ed universale, pronti per un “colpo d’ala” verso una vita cristiana da… Concilio Vaticano secondo
Tonino Intiso
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