Tenerezza, emozione, rabbia: l’addio a Foggia di Gianni Pellegrini

Insisto. Una città che perde d’un colpo tre delle sue migliori intelligenze, per giunta tre umanisti (in ordine rigorosamente alfabetico, Gianni Pellegrini, Salvatore Speranza e Antonio Vigilante), perde un pezzo di cuore e un pezzo di futuro. Non è una coincidenza che a far da pendant all’ondata di emigrazioni intellettuali, ci sia il malinconico declino della bellezza scandito dal degrado di Palazzo Trifiletti, che pesa sulla città come un macigno, e di cui si accorgono in pochi.
Una città che perde d’un colpo tre delle sue migliori energie dovrebbe almeno parlarne, accidenti. Non in termini di rimpianto, di nostalgia, di se e di ma. Ma per rimboccarsi le maniche e cominciare a riflettere seriamente sul da farsi per arrestare l’emorragia. Per riprendere a costruire il suo futuro. Per non essere più solo ferlizze, parafrasando il titolo dell’ultimo straordinario cd di Gianni Pellegrini.
Dopo quelle di Antonio Vigilante, pubblico oggi le riflessioni di Gianni, tanto struggenti, quanto amaramente paradigmatiche.
Pellegrini è docente, musicista, poeta, cantautore: il suo ultimo cd Ferlizze (che ho recensito qui) è un autentico monumento di quella cultura immateriale che a Foggia si sta dimostrando insospettabilmente viva e che sta diventando l’ultima spiaggia per salvare identità e memoria.
Ecco l’addio di Gianni Pellegrini. Una lettura che mi ha procurato un’immensa tenerezza, una forte emozione. E tanta rabbia.

L’addio che non sai scrivere: Foggia.

18 settembre 2014 alle ore 23.23

Cos’è un addio?
non lo so, non lo so scrivere

ma come tu proprio che fai il letterato, l’auore, anzi il CANTautore, proprio adesso che te ne vai da Foggia con moglie e bambini, che dovevi sfoggiare le parole più belle di sempre, tu, proprio tu, non sai scrivere più?
Si.
Io proprio io non so scrivere più.
Provateci voi, amici miei, a scrivere un addio dopo quasi 42 anni di vita nella stessa città. Io ero a Foggia anche quando non c’ero. Ho studiato a Chieti e a Bari, oltre che a Foggia, ho lavorato stabilmente a Roma, ho girato l’Italia e l’Europa, ma il pallino fisso di tornare a Foggia e crederci l’ho sempre avuto.
E la vita in fondo mi aveva anche voluto bene: due sogni nel cassetto, professore di lettere e cantautore. Realizzati entrambi e con incredibili soddisfazioni, e proprio nella mia città.
Una città di bombe ai negozi, ma anche di fiaccole per la pace.
Fu là che incontrai per la prima volta gli occhi addolorati e nello stesso tempo speranzosi di Daniela Marcone.
Una città di devastazioni notturne, ma anche di piazze ripulite il giorno dopo da cittadini che questo gioco non lo vogliono accettare.
Una città di tangenti e arresti al Comune, ma anche di antiche chiese riportate allo splendore che meritano, o trasformate in splendidi auditorium.
Una città incivile, eppure abituata come tutti a non fumare più nei locali all’indomani della nuova legge, esattamente come tutti gli altri posti d’Italia
E poi Facebook.
Si, è importante. Tutti ci conosciamo un po’ di più, un po’ meglio. Ci stringiamo più attorno a tutti, ci arrabbiamo, approviamo, ci accapigliamo, cinquestelliamo, mariomontiamo, renziamo o berlusconiamo un po’ tutti.
Facebook è piazza Foggia, prima o poi ci passiamo tutti, ci salutiamo tutti o “banniamo” qualcuno: “io a quello ci tolgo il saluto, mo lo cancello dalle amicizie”.
E Geppe Inserra a mantenere egregiamente la memoria, e Manrico a cazziare tutti e a organizzare il funerale di Gabriele, e Cesare Rizzi a fare da gadfolletto, e Salvatore Onorati a poetare la città, e i Sepalone, ammazza quanti e bravissimi, e Rossana e Lucia, e Maria Grazia e Maria Clara, e Potito e Silvio, e Cobra, e Polly, e quelli che se ne sono andati, e quel malandrino geniale e colto di Savino, e Chiara, e Giusy, e Dora+Dora, e Pina Dota superstellare, e il ritorno di Flora e quelli da fuori, e Costantino e Vincenzo e maledizione quel Raffaele de Seneen, padre, fatello, amico, vicino, guida spirituale da Borgo Incoronata, e tutti TUTTI gli altri, e Nico, e Raffo, e Tommy, e i Bonante, e Massimo e Lucrezia, e D’acoBaglioni, e Sperella, e la saggezza di Lia Masi, e Nino Abate grande poeta, e le follie meraviglioise di Vigilante, e Rita che compensa, e PedroBerly che mi pugnala gratis, e un caffè con Daniele Prencipe e un caffè con Roberto Cinque, e un caffè con (ammazza quanti caffè, devo calmarmi), e il Conservatorioooooooo, e mannaggia quanti ne dimentico, vi chiedo perdono se vi dimentico ora, perché tutti, tutti, in un mi piace o in un vaffanculo, tutti avete fatto parte di me e della mia incantevole splendida moglie Chiarastella (oh! credetemi, mai nome fu più azzeccato di questo per questo miracolo di donna, moglie, madre…)
E poi Viveur.it (non cartaceo, che era un’altra cosa…), e Foggia città aperta e Sandru’, e Foggia Today e Il Mattino di Foggia e quanti giornali virtuali e pure la Gazzetta mica è scema, e le vignette di Romanosky?
E la scuola… meravigliosa amica mia… dolce compagna del mio cuore, della mia mente, della mia anima…
Il Pacinotti, uhhh sei pazzo, vai al Pacinotti!
Che bella scuola, miscredenti che non siete altro, andate e amatela. E’ là che si diventa veri insegnanti, maledizione…
Cos’è un addio? E’ la capacità forse di scrivere sconnessioni mentali come quelle che state leggendo adesso.
Perdonatemi amici miei, ma io non riesco.
Non riesco a scrivervi un addio, perché non vorrei farlo.
Ma devo.
Son passati oltre due mesi da quando siamo in Slovenia, insegno a Trieste e rimando di giorno in giorno, di notte in notte, di ora in ora, di istante in istante. Ma ho l’addio a voi tutti davanti ai miei occhi, sempre, come un velo invisibile sulle mie pupille…
Devo.
Devo donare il mio straziante addio anche perché Foggia, e l’Italia, oggi non meritano gente come me, mia moglie e come tantissimi di voi.
E la band, la mia seconda famiglia. E Cesare che non trattiene le lacrime, e Cristina che piange e abbraccia, e Alfredo che scappa perché le sue lacrime vuole lasciarcele immaginare, e Sergio e Tony new entry che pare abbiano sempre suonato con noi, e Grotta Omero e Arpi antica, Ettore Iammarino, e quel matto profondo e dolce di Nicola, e Cristiano gigante-buono, e le canzoni, e le prove e lo stress e la paura e voi che maledizione avete affollato SEMPRE tutti i nostri concerti, e le merlettaie e Santa Chiara e Apulia Felix con Giuliano Volpe che il Signore lo protegga per Foggia e per i foggiani, ma anche per l’Italia tutta, e il sindaco Gianni Mongelli (AMICO FRATERNO CONOSCIUTO PER CASO E SENZA FAVORI, SCAMBI E PORCHERIE VARIE: NON CI CREDETE? VI FREGATE), e Gloria IMMENSA Fazia, e Peppino D’Urso e Francesco Andretta e Saverio Russo, e lo sapete che esiste Attivamente che sono tre ragazze splendide? E Nico Palatela e Valentina Scuccy, e Teleradioerre, e Teledauna, e Telefoggia, e Teleblu e tutti gli altri gruppi e cantautori, e interpreti, e Piero super-iper-mega Russo…
E Michelino-cinque anni, che mentre guido verso il casello dell’autostrada per andare via: “se non la smettete di piangere piango pure io”
E Giuseppe, otto anni, che “ma perché dobbiamo andarcene da Foggia, non possiamo restare un altro poco?”
E il terzo figlio, anzi figlia, nata a Trieste per strapparmi in faccia il mio dialetto.
E mia madre. Sempre più piccola sul pianerottolo di casa a salutarmi e a non voler chiudere la porta.
E Milly ed Esther che riescono a trovare ancora liquidi da versare dagli occhi per il fratello che va via.
E nonno Giovannino, novantanove anni, con zia Lina lady-di-ferro.
E la tomba di mio padre…
Foggia, Foggia, Foggia! Maledetta stronza puttana, amore amore amore di città mia!!!
Non perdonerò mai a te e all’Italia di avermi costretto ad andare.
Non mi perdonerò mai di essermene andato.
Nu ferlizze

[Ferlizze è il seggiolino utilizzato dai terrazzani, che nelle loro abitazioni non potevano permettersi delle sedie vere e proprie, e ricorrevano a questo umile oggetto, utile anche da portare in giro. In un certo senso sono un simbolo di classe: Sime ferlizze, l’ate so segge (siamo ferlizzi, gli altri sono sedie), canta Gianni nella canzone che dà il titolo al suo album, a sottolineare la subalternità dei terrazzano nelle gerarchie sociali cittadine, n.d.r.]

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Author: Geppe Inserra

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