Noi siamo qui per cambiare l’Italia. Ma noi chi?

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Caro Segretario,
ho letto la lettera che mi hai mandato in quanto sono iscritto al Pd, Noi siamo qui per cambiare l’Italia.
Non mi piace, nel merito, per molte ragioni. Ma non è di questo che voglio parlarti.
Vedi, tu godi del singolare privilegio (che credo con si verifichi in nessun paese occidentale) di essere al tempo stesso premier e segretario del partito di maggioranza relativa, nonché del maggior partito di centrosinistra.
Sospetto che il noi con cui ti rivolgi a noi destinatari della tua lettera e in genere all’uditorio quando parli o scrivi non si riferisce a noi noi, ma piuttosto sottende questa tua duplice veste. Insomma un plurale maiestatis.Non entro nel merito dei temi che affronti nella lettera (la scuola, il lavoro, il fisco).
I passaggi che mi hanno lasciato basito stanno verso la fine. Li indico in corsivo, per comodità di quanti leggeranno questa mia senza aver letto la tua (la vostra, pardon).

A me hanno insegnato che essere di sinistra significa combattere un’ingiustizia, non conservarla. (Verissimo, a patto di non innescare guerre tra poveri e ingiustizie peggiori, e a patto di capire chi siano i privilegiati e chi no.)
Davanti a un problema c’è chi trova soluzioni provando a cambiare e chi organizza convegni lasciando le cose come sono.
Non capisco bene la cosa dei convegni, ma temo che utilizzi il termine come sinonimo di congressi. Una volta si partiva dai congressi di sezione per selezionare e promuovere temi, classi dirigenti.
Oggi, la dialettica interna del partito è stata brutalmente sostituita dalle primarie che hanno perso il loro significato originale. Vota uno, prendi due (segretario, premier) e in aggiunta ti danno pure una nuova classe dirigente sulla quale non può dire bah.
Anche nel nostro partito c’è chi vuole cogliere la palla al balzo per tornare agli scontri ideologici.
Scontri ideologici? Ma perché hai così tanta paura delle ideologie? dove si coniuga l’ideologia se non all’interno di un partito? posso anche capire le tue accuse al sindaco di essere ideologico. Un sindacato deve difendere lavoratori, e non ideologie. Ma un partito, sì, accidenti. Cos’è un partito (che per sua natura è essere parte, appartenenza, quindi idee, ideali) se non il tentativo di esprimere una ideologia (un sistema di valori, una concezione del mondo) condivisa? Ma soprattutto tu, caro Segretario, che ideali hai? anzi ancora più terra terra: che idee hai? Che idea hai dello Stato hai, della società, del potere?
Un partito dovrebbe condidere idee forti su questo, e se non le condivde non è un partito e basta.
Nel medioevo della politica, credo fosse il 1983, il segretario generale del Pci, Enrico Berlinguer, venne a Foggia a presiedere il congresso della federazione provinciale comunista, una delle più grandi del Mezzogiorno. Non venne a fare la passerella. Seguì tutti i tre giorni dei lavori. Ascoltò scrupolosamente tutti gli interventi. E concluse il congresso in un cinema cittadino, replicando punto per punto.
Anche Berlinguer non usava mai parlare in prima persona singola. Usava il noi. Ma si riferiva a “noi comunisti”, lo diceva a nome di un popolo, che comprendeva ascoltava, e soprattutto amava.
E tu, caro Segretario? Chi ami veramente?
Geppe Inserra

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Author: Geppe Inserra

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