La taranta foggiana tra storia e leggenda

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Amo molto il gruppo fb Cantanti Esiliati, perché è la lampante dimostrazione di quanto funzionino egregiamente sul social network i gruppi di scopo, che si riuniscono attorno ad un fine specifico, producendo non soltanto aggregazione, ma anche interessanti contenuti.
Come fa sapere Sara D’Alessandro nel post di presentazione, “Cantanti Esiliati è un titolo provocatorio, perché la Capitanata viene collocata da Istat e riviste specializzate, come Il Sole 24 Ore, all’ultimo posto in Italia, per attività e fruizione culturale. La finalità del gruppo è riscoprire o ricordare, artisti del passato e del presente, nativi in Capitanata, a testimonianza che se occupiamo l’ultimo posto, ciò non dipende dalla mancanza di grandi e geniali talenti, come dimostrato con le varie pubblicazioni sin qui, ma dall’ignoranza, incapacità e presunzione di esponenti delle Istituzioni con delega al settore.”
Effettivamente il gruppo, nato da pochi mesi, si sta rivelando un formidabile punto d’incontro tra musicisti, cantanti, e appassionati che con i loro ricordi e le loro testimonianze stanno offrendo un contributo notevole a ricostruire un pezzo importante della storia della cultura cittadina.
Non mancano anche documentati interventi di natura storica, come quelli pubblicati a commento della lettera meridiana in cui, citando il libro di Michele Vocino, Lo sperone d’Italia (Roma, Casa Editrice Scotti, 1914) raccontavo che la pizzica (nella sua variante definita pizzica-pizzica) veniva ballata anche sul Gargano.

Sull’argomento, Gino Longo offre una testimonianza molto preziosa: “Si ballava e suonava anche a Foggia. Ho personalmente ricordi (fine anni ’70) di donne dai capelli lunghissimi, che ballavano sino a sbavare e svenire, all’ingresso del Santuario dell’ Incoronata. E sempre nella prima metà degli anni ’70, nel repertorio del mio gruppo “Vecchia Fovea Folk Gruppo”, avevamo brani, raccolti da testimonianze, dal ritmo taranta.”
Di natura storica e documentale è invece il contributo di Mario Lucio Giordano. Eccone il testo.
“Ci sono scritti di storici del ‘700, sul Regno delle due Sicilie riunificato da Carlo III di Borbone, che parlano della tarantella napoletana e del ballo della Taranta, caratteristica dei pugliesi di Capitanata successivamente trasmessa in tutta la regione.
Si parla di Storia ma anche di leggenda, secondo la quale il Ballo della Taranta nasce in modo molto più banale. È noto che la nostra terra è sempre stata ricca di prodotti cerealicoli, il grano in particolare e che tutto il lavoro, dalla raccolta alla trebbiatura era lungo e laborioso, ma veniva fatto esclusivamente a mano dagli operai e operaie per lo più giovani. Questi erano soliti alloggiare nelle masserie che erano veri centri di raccolta profughi ante-litteram. I più giovani nonostante il duro lavoro nei campi, la sera avevano ancora energie per finire in bellezza la giornata. Succedeva che per alcune donne il ciclo ritardasse. Temendo di essere rimaste incinte, consigliate da donne più esperte, si facevano venire dei raptus iperattivi, soprattutto sbattendo con i glutei sul pavimento e contorcendosi l’addome, sperando di procurarsi un aborto naturale. Infine si recavano in preghiera, accompagnate dalle mamme, dai Santi Pietro e Paolo, che vengono festeggiati il 29 giugno, per farle benedire. Naturalmente agli occhi dei più si dichiarava che le ragazze erano state morse dalla taranta e quindi tarantolate e che i Santi le avevano guarite dalla malattia.”

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Author: Geppe Inserra

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