Sulle differenze tra la pizzica e la tarantella si sono versati fiumi d’inchiostro. Sta di fatto che è opinione diffusa (basta consultare in proposito la voce di Wikipedia) che la pizzica venga ballata, in Puglia, a Taranto, nel Salento e in alcune zone della Murgia, mentre nel resto della regione si balli la tarantella.
Invece non è così. La pizzica si ballava anche nel Gargano, e probabilmente il fatto che oggi se ne sia persa memoria è dovuto soltanto all’evoluzione linguistica. Un’autorevole conferma di questa tesi giunge dal libro di Michele Vocino, Lo sperone d’Italia (Roma, Casa Editrice Scotti, 1914) che è un indiscusso punto di riferimento per tutti quanti vogliano approfondire la storia e la cultura del Gargano.
Nell’ultimo capitolo del volume, parlando delle usanze caratteristiche del promontorio, Vocino afferma che la pizzica è il nome locale della tarantella. Più precisamente la pizzica-pizzica, che secondo gli esperti è quella che si balla in coppia, ma che è anche la prima denominazione di cui si trovi traccia. In un testo del 1797, si parla della “pizzica pizzica” come di una “nobbilitata tarantella” (Wikipedia).
“Caratteristico, prettamente indigeno è il ballo popolare anche qui detto tarantella dove non ha il nome specifico locale pizzica-pizzica”, scrive Vocino che più avanti si dilunga in una dotta dissertazione sul fenomeno del tarantismo, a quanto pare diffusissimo anche sulla Montagna del Sole.
Lo scrittore racconta che nel ‘600 mons. Perotto, vescovo di Manfredonia, invitò i dotti di allora a studiare gli effetti della puntura della tarantola, che secondo la credenza popolare provocava in chi ne fosse stato morsicato un’irrefrenabile necessità di ballare. Secondo Vocino, la scomparsa del tarantismo nel Gargano si deve alla scomparsa del malefico ragno, che nel libro viene datata attorno alla metà dell’800.
“Da quasi mezzo secolo qui non si tramo più tarantole, ed è un peccato! Prima ogni morso di ragno determinava una festa: sotto la direzione del cosiddetto capo-attarantato s’addobbava una camera di nero, o in verde, o in rosso, secondo le preferenze del morsicato e questi si faceva ballare tra due specchi, con due ragazze a suon di tamburello e di chitarra battente, alla presenza di parenti e d’invitati, ai quali si venivano intanto servendo ciambelle e vino schietto. Adesso l’arte del capo-attarantato è morta, perché le tarante son morte e non ne son più nate.”
Lo sperone d’Italia è un libro di inestimabile valore culturale, ma anche artistico. Oltre che scriverlo Vocino, che era un bravo artista, lo illustrò personalmente.
L’immagine del post è tratta dal volume e firmata dallo stesso Vocino con la didascalia Una via di Sanmarco.
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Complimenti Geppe, ottima rivisitazione. Colgo allora l'occasione per ricordare che è ancora visitabile, per qualche altro giorno, la bella mostra bibliografica – divisa per settori di competenza – che i colleghi Gabriella Berardi e Vito Cristino hanno curato e allestito nella Sala Consultazione dei Fondi Speciali, al piano terra della Biblioteca Provinciale "La Magna Capitana" di Foggia, e dedicata al grande Vocino. Non perdetela!
Orari: dal lunedì al venerdì h. 9-19,15 e il sabato dalle h. 9 alle 13. (Maurizio De Tullio)