Il vivacissimo dibattito in corso in questi giorni su Lettere Meridiane su Foggia bella o brutta è stato innescato, come gli amici e i lettori del blog ricorderanno, da Davide Leccese che ha ripreso sul suo profilo fb alcune considerazioni dell’ex rettore dell’università di Foggia, Giuliano Volpe, girandole a quanti lo seguono sul social network.
Sia Leccese che Volpe sono successivamente tornati sull’argomento. Il primo sottolineando la necessità di una compiuta riflessione di natura urbanistica (qui il testo dell’intervento), il secondo chiarendo le affermazioni iniziali che avevano dato la stura al confronto. Nel suo intervento, l’ex rettore sottolineava la necessità di riuscire a guardare criticamente Foggia, proprio al fine di valorizzarne la bellezza,
Questo sguardo critico si trova ampiamente nel libro più recente di Volpe, Le Vie Maestre, pubblicato per i tipi di Edipuglia. Il volume raccoglie gli editoriali comparsi sul quotidiano L’Attacco tra settembre del 2012 e maggio del 2013 ed affronta i temi d’attualità più disparati . Ovviamente sono più frequentemente trattati quelli che riguardano la conoscenza, la cultura e l’università che assieme alla bellezza e alla coesione, Volpe individua quali “vie maestre” per uscire dalla crisi e riprendere la strada verso lo sviluppo.
L’articolo che apre il volume è significativamente intitolato Il futuro appartiene alle città belle, ec è proprio in esso che si trovano più ampiamente sviluppati i temi accennati nel post di cui si è detto. Lo sguardo critico di Volpe parte dal versante urbanistico.
“La città di Foggia – scrive – ha enormemente accresciuto la sua estensione dal dopoguerra ad oggi, offrendo un contributo essenziale al consumo di territorio che sta trasformando il Belpaese in una colata di cemento. Come è emerso dalle recenti statistiche, ogni giorno in Italia si perdono ben cento ettari di suolo agricolo e anche in Capitanata il processo è da tempo in pieno svolgimento. Di questo passo il tradizionale equilibrio tra città e campagna, la fisionomia dei paesaggi rurali, l’identità culturale e la stessa base economica della Capitanata rischiano di essere completamente stravolti, con ripercussioni drammatiche sotto vari profili. Ecco perché sarebbe necessario ripensare completamente il modello di sviluppo della città e del territorio.”
L’archeologo prende quindi in esame il caso Foggia. “In una città in cui proliferano nuove costruzioni, si allargano a dismisura periferie squallide e prive di servizi, si progettano ‘Foggia 2’ e altre nuove ‘cittadelle’ satellite, nuovi stadi e centri commerciali, da molti considerati ormai come l’unica prospettiva di sviluppo; in una città che dimostra scarsa attenzione, sia da parte dei privati che degli enti pubblici, per il recupero del centro storico e dell’edilizia dell’Otto-Novecento; in una città tuttora dominata politicamente ed economicamente dalla ‘cultura’ del mattone; in una città sporca e sfregiata dai suoi stessi cittadini; in una città difficile, con ampi strati di vecchia e nuova povertà, con preoccupanti fenomeni di degrado sotto il profilo sociale, economico e urbanistico, e soprattutto etico, servono idee e prassi nuove.”
L’Università è andata in controtendenza, proponendo un modello che dovrebbe diventare una buona prassi diffusa. “In questo contesto – scrive ancora Volpe – l’Università sta tentando di svolgere un ruolo essenziale anche in campo urbanistico, con un vero e proprio progetto a scala urbana, finalizzato ad un campus urbano, fondato principalmente sul recupero e la rifunzionalizzazione di pezzi di città.”
Il resto dell’articolo passa compiutamente in rassegna il progetto, portato avanti con tenacia proprio da Volpe negli anni in cui ha diretto l’Università. Il cuore è rappresentato dalla ristrutturazione degli ex ospedali di via Arpi, sede del Dipartimento di Studi Umanistici (che accorpa le precedenti Facoltà di Lettere e Scienze della Formazione).
“Posto nel cuore della città medievale – si legge nel libro -, il nuovo polo universitario, costituito anche dalla vicina struttura dell’ex Maternità, ospiterà aule, laboratori, studi, una grande biblioteca umanistica. L’intervento di recupero ha portato alla riscoperta di elementi, ormai occultati da superfetazioni recenti, relativi al convento medievale di Santa Caterina, come l’antico chiostro annesso alla chiesa di San Giovanni di Dio e una serie di pregevoli vani ipogeici. Da anni sollecitiamo la pedonalizzazione di via Arpi (se non tutta, come sarebbe auspicabile, al meno del tratto interessato dall’isola universitaria), che consentirebbe ai cittadini di godere del proprio centro storico, facendo dell’antica arteria la strada della cultura e delle arti (con il Museo Civico, il Conservatorio U. Giordano, la Fondazione Banca del Monte, l’Auditorium S. Chiara, il Museo del Territorio, le sedi di varie associazioni, come la Merlettaia, ecc.). Si intende così contribuire alla rivitalizzazione del centro storico, alla sua rinascita anche dal punto di vista economico, spingendo, con il proprio esempio, altri enti pubblici e soggetti privati ad investire nel recupero del notevole patrimonio immobiliare, altrimenti condannato ad una lenta ma inesorabile obsolescenza.”
La bellezza della città non è soltanto un valore estetico. È una sfida di futuro, una concreta possibilità di sviluppo.
La conclusione di Volpe è che “dobbiamo definitivamente essere consapevoli che le città belle sono le uniche ad avere un futuro. Perché una città brutta, una città di cemento, una città sporca, una città incivile, non è accogliente né per chi ci è nato e per chi ci vive, che non vede l’ora di fuggire, né per chi si vorrebbe attrarre. Non si tratta più di un’opzione, ma, a mio parere, di una necessità: attuare politiche per potenziare la cultura, l’investimento nelle arti, nella bellezza (uso volutamente questo termine un po’ desueto) delle città e delle campagne. Questa è una vera rivoluzione produttiva oltre che culturale.”
Io sono del tutto d’accordo. E voi?
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